Matrimoni birrari: Polenta al ragù e Italian Grape Ales
Dici polenta e pensi Italia. Declini polenta in tutte le sue versioni dialettali (polenda o pulenda in Toscana, pulenta in Marche e Umbria, poenta in veneto) e visualizzi tutte le latitudini e le longitudini dello Stivale alle quali questo piatto – fra i più veracemente tradizionali del Paese – è diffuso ed è sinonimo di appartenenza a una cultura, a un costume, a un modo di vivere la tavola e il rapporto col territorio. Infine, pronunci la parola polenta e senti nell’aria il profumo della stagione invernale: giornate rigide durante le quali, in modo particolare, si è un poco più benevoli con se stessi nel concedersi un piatto sostanzioso, con qualche caloria in esubero e con tempistiche di digestione un poco più pazienti
La polenta si prepara partendo da un impasto in acqua di farina, prevalentemente di mais, sebbene, anche rispetto a questo punto, di varianti ne esistano un bel po’, essendo – di zona in zona – utilizzati anche farro e segale, grano saraceno, le stesse castagne.
Ci riferiamo, qui, alla ricetta maggiormente in uso, quella a base di granturco; e ci riferiamo, ancora più specificamente, a una delle sue molteplici possibilità di elaborazione: quella con ragù di carne (bovina in primis, con tagli suini e insaccati misti eventualmente a sostegno). Non dilungandoci troppo sulle procedure di cottura del sugo – giusto basterà ricordare la densità sensoriale e la sapidità che gli derivano dalle lunghe ore sui fornelli e dall’aggiunta di Extravergine d’oliva, cipolle e altri ortaggi, sale e pepe – e andiamo velocemente a descrivere, momento importante per l’abbinamento, gli esiti prodotti dall’abbraccio con la densa massa di cereale. Quest’ultimo mitiga le vigorie del condimento, in cambio, gli assicura una corporatura senza dubbio sostanziosa e cremosa. Profumata, decisamente saporita (pur con un sostrato di panificata dolcezza), dotata di sottili acidità (non sottovalutiamo la cipolla e l’olio stesso, nel soffriggere del sugo) e di buona struttura proteica (i valori nutrizionali ne indicano un 15%, contro il 25% dei lipidi e il 60% degli zuccheri amidacei): la polenta al ragù chiede una partnership con birre di disinvolta capacità sgrassante, tendenzialmente morbide (l’amaro è poco indicato, dato il ruolo del sale nel piatto), provviste di corporatura e alcolicità all’altezza della muscolatura della pietanza.
Data la forte connotazione tricolore del piatto, suggeriamo l’abbinamento con le nostrane Italian Grape Ale, le birre prodotte con aggiunta di mosto d’Uva, scegliende quelle con una taglia etilica “dalla cintola in su”. Si va da alcune tra le edizioni con mosto cotto – BB Evò (sapa di uve Nasco, alcol 10%), BB9 (di Malvasia, 9%), BB Boom (sapa di Vermentino, 9%) – che concorrono ad alimentare la celebrità del marchio Barley (Maracalagonis, Cagliari); alla voluttuosa Moscata – alcol 10%, il riferimento alla varietà dei grappoli è esplicito – firmata dalla scuderia Birranova (Triggianello di Conversano, Bari); e per chiudere si può risalire in Piemonte, trovando la TiBir (al Timorasso, alcol 7.5%) di Montegioco (Montegioco, Alessandria), o – per i palati più inclini a sperimentare – le venature wild della BeerBera (8%), in cui gli acini di Barbera (di LoverBeer, marentino, Torino) apportano al processo anche i loro lieviti autoctoni, o ancora, rimanendo in zona, optando per la Samos del neonato birrificio Sagrin, dalle stuzzicanti note floreali e fruttate.