Poeti, Santi e Birrai: appunti di viaggio tra Pesaro e Urbino
Le Marche non sono probabilmente la regione più conosciuta d’Italia, me ne rendo conto. Eppure vale la pena dedicare una storia proprio a questa terra, o meglio: di articoli ce ne vorrebbero tanti, ma da qualche parte si dovrà pur cominciare, no?! E a proposito di inizi, cari amici birrovaghi, per questioni affettive stavolta ho scelto la provincia di Pesaro e Urbino. In totale qui si contano ad oggi cinque birrifici artigianali, pattuglia rappresentativa dei 17 produttori marchigiani. Come si vede non parliamo di numeri stratosferici, se pensiamo che in Lombardia siamo arrivati a 87 birrifici, 65 in Piemonte e oltre 40 nella mia Toscana.
Ma le Marche potrebbero diventare un interessante laboratorio a livello nazionale se il progetto di dar vita ad un Consorzio di produttori presentato quest’anno al Festival della birra di Apecchio saprà rafforzarsi e dare i suoi frutti. Anche perché l’idea prevede una reale collaborazione di filiera, vedremo concretamente in che forme e fino a che punto. Un gioco di squadra insomma, per portare in alto la bandiera della birra artigianale. Non facile certo ma, ripeto, un ottimo modo di dare il buon esempio. Rimango profondamente convinto che iniziative come queste meritino ascolto, poiché nel nostro come in molti altri campi, il totale può davvero essere più della somma delle parti.
Ma sto divagando, torniamo ad Urbino. La frequento da quasi vent’anni. È una città bellissima, quasi surreale da un certo punto di vista. Ricordo quando negli anni Novanta andavo a frequentare i seminari del filosofo Carlo Bo all’Università e mi stupivo, oltre che per la genialità delle sue lezioni, di come esistesse una vera e propria città nella città. Un dedalo di stanze e corridoi sotterranei costruiti per ricavare spazio alle aule in barba all’urbanistica ardita dell’esterno. E sopra, in alto, la città, ripida e contorta con i celebri torricini a segnarne il profilo. A pochi chilometri dal centro, a Fermignano, incontriamo il primo birrificio del nostro itinerario: Il Brew Pub Mulino Vecchio. Mi è capitato di visitarlo un paio di mesi fa e a colpirmi è stata prima di tutto la location. Un casale del 1700, vicino alle rive del Metauro, il fiume che vide Roma battere i cartaginesi nel 207 a.C. Impianto a vista, grande sala da pranzo poiché siamo in un agriturismo (con quattro camere e cucina tipica) e tre tipologie di birra prodotte in quello che a tutti gli effetti si configura come un birrificio agricolo della “nuova guardia”, nel senso che qui si coltiva l’orzo conferito poi al COBI, il maltificio di Ancona, di cui il birrificio è socio. Il risultato sono una pils beverina (denominata Bohemian), l’Ambrata, leggermente pastosa, e la Rossa Doppio Malto, stile bock da 6,5° alcolici. Nel complesso c’è forse ancora da smussare, ma il percorso intrapreso è di sicuro interesse.
Da Fermignano ci si inoltra ancora verso l’interno fino a giungere ad Apecchio, simbolica capitale birraria della regione per il già citato Festival ma soprattutto perché qui hanno sede i due maggiori produttori (in termini quantitativi) delle Marche: Amarcord e Tenute Collesi. Il primo, classe 1996, fu tra i primi ad aprire i battenti in Italia, mentre il secondo, nato nel 2008, sta riscuotendo notevoli successi anche fuori dai confini nazionali. Sei le etichette prodotte in casa Collesi tra le quali consiglio di provare la Triplo Malto, una belgian ale da nove gradi alcolici di beva calda e avvolgente, buon corpo e persistenza soddisfacente, e la Maior, una sweet stout da 8°, con tutte le carte i regola. Interessante anche la Ego, una ale di 6°, birra che, come un po’ tutta la gamma, risente di un approccio chiaramente “belgiofilo”. C’è da dire che in questi anni ho sentito e visto crescere costantemente le birre di Collesi in qualità e pulizia, cosa che non può che far piacere. A questo punto la sfida potrebbe essere quella di una maggiore identità. Completano la proposta aziendale Alter, Ubi e Fiat Lux, tutte comunque corrette.
E adesso, dai più grandi al più piccolo! E non scherzo, perché il prossimo birrificio che visitiamo è realmente il più piccolo d’Italia, con un impianto da appena un ettolitro fortemente voluto dai tre patron Duccio e Metello Antognozzi ed Elia Adanti. Sto parlando del Birrificio Pergolese di Pergola, nato nel 2008 e reso ancor più particolare dalla scelta di affidare la propria immagine a Simone Massi, disegnatore e tecnico di animazione cinematografica. Quattro le “birre in carta”, tutte di alta fermentazione e decisamente personali. Si parte con la Susi, una sorta di pale ale da 5,2° con spezie, luppoli tedeschi e zucchero di canna (quest’ultimo utilizzato per la verità in tutte le ricette). Naso floreale e lievemente maltato, bocca corrispondente ma leggera, con una punta di speziato (coriandolo). Si prosegue con la Lola, golden ale da 5,5° alcolici, color giallo intenso aromatizzata con salvia e ricca di note fresche e balsamiche, ma anche calde e mielose. Birra impegnativa, ma molto gradevole. Bene anche la Jacaranda, prodotta con luppoli neozelandesi, e buona prova infine pure per la bruna Bombay da 5,8°, dai sentori di caramello e tostato, spezie e frutta candita. Lasciamo anche Pergola e chiudiamo l’anello.
Sulla via che ci riporta verso Urbino due tappe d’obbligo: la magnifica Riserva Naturale della Gola del Furlo, con i suoi panorami mozzafiato, e il borgo di Acqualagna, celebre per i tartufi che, fra l’altro, ben si sposano in stagione anche con alcune tipologie di birra. A nord, sul versante opposto al capoluogo, in località Mercatale si trova l’ultimo birrificio (agricolo) del nostro itinerario, La Cotta, nato nel 2006 all’interno dell’azienda agricola Colleverde, dove viene coltivato l’orzo per la produzione delle tre tipologie di birra di questo bel Brew Pub situato nei pressi di un lago, a due passi da importanti vestigia medievali. Anche qui, come al Mulino Vecchio, si può mangiare in un locale bello ed informale, oltre che naturalmente gustare alla spina le birre di casa. Semplicissimi i nomi, ma buona la qualità: Chiara, Rossa e Ambrata. Prova soddisfacente soprattutto per quest’ultima, brassata con luppoli bavaresi (come la Chiara, mentre la Rossa vede l’impiego di luppoli inglesi). E così siamo giunti davvero alla fine. Certo, di storie birrarie da raccontare da queste parti ce ne sarebbero ancora tante e prossimamente non mancherò di farlo. Le Marche sono capaci di sorprendere. In fondo sono pur sempre la Patria di Leopardi e, di là da “l’ermo colle”, lo sguardo può spaziare in lungo e largo, dai monti alla costa, dentro e fuori di noi. È proprio vero: “il naufragar m’è dolce in questo mare”.
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Articolo tratto da Fermento Birra Magazine n. 6