Guai se il movimento artigianale, gratificato (legittimamente, sia chiaro) dalla propria crescita, finisse per “specchiarsi” perdendo contatto con la realtà in cui è immerso: se rimanesse, per usare un immagine un po’ più ruspante, a guardarsi l’ombelico, prestando poco interesse alle manovre che si svolgono attorno. Per questo riteniamo importante pubblicare notizie, anche di taglio economico, che riguardano quei movimenti operati su scale dimensionali migliaia di volte maggiori rispetto alla taglia “craft”, dai grandi e grandissimi gruppi industriali.
Non possiamo quindi ignorare la notizia di questi giorni di una tentata Opa da parte di SabMiller (il colosso sudafricano che detiene la proprietà di tanti marchi nel mondo, tra cui Peroni) nei confronti di Heineken: per la cronaca, approccio fallito, perché l’offerta è stata rifiutata dalla famiglia che controlla il gruppo olandese.
Ciò che fa più riflettere, però, è l’ipotesi per cui la mossa di SabMiller sarebbe stata motivata dalla decisione di imbastire una difesa preventiva verso un pericolo “annusato”: quello di un attacco azionario da parte del trust formato da “Anheuser-Busch” e “InBev” (proprietario di brand quali Stella Artois, Leffe, Beck’s e compagnia cantante). Si parla, insomma di guerre stellari, tra ciclopi che stazzano milioni di ettolitri: Heineken ne vale 107 circa, il suo “corteggiatore” sudafricano 135, per Anheuser Busch & InBev si va, sommandone le doti, sui 340. Una fagocitazione pericolosa quella che le “holding XXL” stanno mettendo in atto, prefigurando scenari pericolosi da monopolio, che vanno ben oltre il già oligo esistente oligopolio.
Quindi, giusto per ricordarlo, quando si sceglie e si beve una birra, esercitiamo un potere che non va mai sottovalutato: gli andamenti del mercato dipendono anche dalle decisioni di ognuno di noi; dalle bottiglie e dalle pinte che decidiamo di consumare.