Non si corre certo il rischio di annoiarsi, di fronte al getto continuo di etichette segnalate in entrata sugli scenari delle produzioni internazionali, né per la mancanza di estro nella composizione delle ricette, né per la scarsa fantasia nella ricerca degli spunti d’ideazione. Una prova? La prima protagonista di questa tornata, ovvero la Lucille, referenza statunitense che va ad arricchire il panorama dei crossover tra mondo della birra e altri ambiti creativi. Il nome ricalca infatti quello della mazza da baseball impugnata da Negan, personaggio cardine della serie fumettistica “The Walking Dead”. Sotto il profilo stilistico, si tratta di una Imperial Stout elaborata con melassa e vaniglia, per poi essere maturata in botti di hickory, acero e frassino bianco ovvero le tre varietà di legno impiegate per la realizzazione, appunto delle mazze da baseball. Artefici del progetto la Terrapin Beer Company (di Athens, Georgia) e la Skybound, casa editrice del fumetto ispiratore dell’operazione.
Spostiamoci in Texas, dove il team di Jester King (Austin) – folgorato sulla via di Anderlecht nel 2012, nel corso (facila da immaginare) di una visita a Cantillon – ha nel corso dei 4 anni seguenti lavorato a un progetto che ha visto la luce nelle scorse settimane: la Jester King SPON 2016 Méthod Gueuze (denominazione nella quale il termine Méthod ha la stessa valenza assunta nella locuzione Méthode Champenoise), la prima fermentazione totalmente spontanea del marchio americano, elaborata in 4 blend sulla base di una percentuale di prodotto più lungamente invecchiata.
Restiamo al di là dell’Atlantico dove in casa Stone (Escondido, California) arriva la Ripper Pale Ale. Riservata al mercato del proprio Stato fino ai giorni scorsi per essere, da questo mese, posta in distribuzione nell’intera Federazione (e quindi a livello internazionale), si presenta come una Pale Ale di marca pacifica, combinando, in un’esecuzione da 5.7 gradi, le peculiarità di due hop cultivar fortemente identitari come lo yankee Cascade e l’australiano Galaxy.
Non ci allontaniamo troppo per la nostra prossima fermata. Sempre in California, a Boonville, la Anderson Valley lancia la (poco accattivante nel nome: tradotto suona “lingua di cavallo”) Horse Tongue ovvero una Wilde Ale, frutto – come spesso accade – di un errore dal quale, poi, si è tratto spunto per un esperimento. In origine era stata un’altra fermentazione con frumento di stampo (cioè con lievito) belga; la quale, però, si era contaminata. Anziché buttare tutto quanto, si è deciso di recuperare la coltura sviluppatasi di batteri lattici e brettanomiceti, replicando il processo, stavolta intenzionalmente. Il risultato ha compiuto 6 mesi di maturazione in acciaio e altrettanti in botte di legno dai trascorsi vinicoli; l’esito finale è una bevuta da 5.3 gradi dalle ovvie “inclinazioni” funky.
Restiamo negli Usa, per una performance dagli obiettivi e dal profilo sensoriale del tutto diversi. La firma in calce, stavolta è quella di Founders (Grand Rapids, Michigan), che lancia sul mercato la Frootwood, una robusta Fruit Beer da 8 gradi, derivante da una Cherry Ale elevata a lungo in botti di rovere nelle quali erano in precedenza passati sia bourbon, sia sciroppo d’acero. Vaniglia, tabacco, acidità e una filigrana di terrosa tannicità equilibrate dalla potente gittata etilica.