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Nella Cardiff da bere, un pub tira l’altro

Cardiff, millenaria e orgogliosa. Un nome che, in celtico (Caerdydd), significa probabilmente fortilizio (caer) sul fiume Taff (dydd), dal corso d’acqua su cui sorge, alla sua confluenza nell’estuario del Severn. Alle spalle, una storia lunga e intensa: le origini dell’insediamento risalgono con ogni probabilità a un castrum romano (il caer di cui sopra). Di fronte a sé, un presente in cui la comunità si propone, a sé stessa e agli altri, con un approccio affabile e ospitale. E con un centro urbano tutto da scoprire… di pinta in pinta.

Forse meno gettonata, rispetto ad altre realtà della Gran Bretagna (Londra, Edimburgo, Liverpool, York…), come meta per un viaggio di esplorazione birraria, la capitale del Galles riserva in realtà più di una piacevole sorpresa. A partire da una dimensione a misura d’uomo. E di passeggiata. Le sue proporzioni, sia demografiche (372 mila abitanti) sia edilizie, non sono esorbitanti: lo stesso titolo di città le è stato attribuito solo nel 1905. I quartieri raccolti attorno al castello, arroccato sul lembo meridionale di uno splendido parco, si percorrono agevolmente a piedi, rivelando una ricchezza di locali davvero notevole.

Locali che offrono ghiotte opportunità d’assaggio, in chiave tanto modernista quanto tradizionalista, in particolare per l’appassionato di real ales: birre non filtrate né pastorizzate, confezionate non in keg (fusto pressurizzato) ma in cask (botticella senza CO₂ aggiunta), e spillate a caduta o a pompa, con la sola aria come propellente. Ecco dunque un possibile percorso – uno dei tanti – per il proprio pub crawl, tra banconi e spine disseminati lungo le vie e le piazze sopra cui sventola il gonfalone municipale con il dragone rosso che impugna la bandiera del Glamorganshire, avvinghiata a una pianta di porro.

Partiamo da una delle due tap-room gestite direttamente dal birrificio locale Crafty Devil: per l’esattezza quella situata appunto in centro, al 16 di Llandaff Road (mentre l’altra si trova a Penarth, ovvero l’area balneare più lussuosa della zona urbana di Cardiff). Il bar – con molto legno chiaro, un bancone realizzato con pallet recuperati, alle pareti specchi e lavagne, il tutto con musica di sottofondo – lascia respirare un’aria estremamente informale. Il personale mette a proprio agio, usando modi amichevoli; e i prodotti, di chiaro stampo contemporaneista, si fanno bere con assoluta disinvoltura. Al tavolo adiacente la vetrata che affaccia sull’esterno, arrivano, in mescita da keg, la Lush e la I am the resurrection: la prima una Hazy Pale Ale da 4.2 gradi, abbondantemente luppolata con gettate di Sabro, Waimea e Nectaron; la seconda una Hoppy Amber Ale (5.5 i gradi alcolici) che, al netto della classificazione con cui si propone, risulta decisamente meno siringata in pellet, privilegiando equilibri più favorevoli alla componente maltata.

Giusto due passi (un minuto di orologio) e si arriva sotto le insegne di Slizza Pizza. Un locale assai colorato e simpatico, esso stesso assolutamente non incravattato, la cui offerta, pur ruotando evidentemente attorno alla propria cucina (con prodotti anche senza glutine), dedica alla birra un ruolo non secondario. Tanto che la si include negli impasti; e le si riserva un ben fornito reparto di spillatura. Così l’assaggio si fa variegato… Apre le danze una Golden Ale servita da keg: la Gower Gold (4.5 i gradi) della Gower Brewery (a Penclawdd, nella contea gallese di Swansea), dosatamente luppolata a base di Cascade. A seguire, in mescita a caduta, ecco la Hereford Pale Ale (4 gradi tondi), firmata, con gettate di luppoli Target e Celeia, dal marchio Wye Valley (a Stoke Lacy, appunto nella contea inglese dello Herefordshire). Infine, ancora dal campionario Wye Valley, ma tornando al servizio da keg, si chiude con l’austero color ebano della Night Jar, una Stout da 4.2 gradi ben bilanciata tra dolce e amaro.

Dieci minuti stavolta (sai lo sforzo…), per piazzarsi di fronte a un’altra batteria di spine. Quelle del The Lansdowne, un pub molto vissuto e piuttosto spartano (con legno chiaro e tinteggiato, pareti a intonaco dai colori leggeri e luci ben accese), in cui l’aria è disimpegnata e la bevuta agevole. Il teatro ideale per almeno un paio di assaggi, insomma. La scelta cade su due referenze entrambe da keg: una Bitter da 4.2 gradi, la Usual Suspects di Wye Valley (con luppoli dello Herefordshire); e una Oyster Stout da 4.4 gradi, la Oystermouth Stout di Mumbles Brewery di Llansamlet (una frazione periurbana di Swansaea).

Per la nuova tappa il cammino è un po’ più lungo. Ma val bene una mezz’oretta di marcia la visita a uno dei locali in cui maggiormente si rispecchia lo way of drinking della gente di Cardiff. Parliamo del The City Arms, nei pressi del castello: uno dei locali appartenenti al circuito in gestione diretta della Brains Brewery, marchio storico di Cardiff e del Galles, caratterizzato da un’impronta decisamente commerciale. Di fronte a uno schermo sul quale scorrono immagini di competizioni sportive, scivolano via due pinte della casa, ambedue da cask: la prima di Brains SA Golden, una Golden Ale da 4.7 gradi luppolata con Cascade e Styrian Golding; la; la seconda di Brains Dark, una Dark Mild da 4.1, prodotta fin dal 1920 e dunque tra i classici del repertorio locale.

Di un’altra sempreverde in forza alla scuderia Brains, la Reverend James, si ha modo di fare la conoscenza fermandosi subito dopo aver lasciato il City Arms. Ad appena tre minuti da lì si trova infatti The Owain Glyndwr, locale indipendente di discrete dimensioni, tradizionale negli arredi (legno, moquette, pareti chiare con cornici, quadri e quadretti), la cui tap-list dispone di una selezione di tipo misto, tra fusto e cask, microbirreria locale e marchi convenzionali. Tra le referenze in spillatura a pompa c’è appunto la Reverend James, una Bitter da 4.5 dal pedigree ultraortodosso, la cui ricetta – ruotante attorno all’uso di un lievito di proprietà, il Buckleys – si basa su una formulazione originale risalente al 1885.

Restando in zona, a quattro minuti neanche si cambia completamente scenario entrando alla Mad dog Brewery, il cui locale accorpa impianto (accessibile con visita guidata) e somministrazione da keg. Sfogliando il catalogo della casa – discretamente assortito nella tipologia, provvisto di passaporto vegano ed equipaggiato con una robusta cartuccera di etichette senza glutine – la scelta cade sulla Now in a minute, una Welsh Red Ale da 4.2 gradi interpretata con un tocco di citricità modernista; e sulla Stouty Mc Stoutface, una Oatmeal Stout da 4.5 gradi, rotonda e appagante, tanto da non sorprendere il fatto che sia la campionessa di vendite nella propria scuderia.

Ci si allontana, ma davvero di poco, per raggiungere un altro tra i pub più rappresentativi della scena storica, qui Cardiff. Si tratta del The flute and tankard, il cui allestimento classico – tra pareti in tinte beige, finimenti in legno scuro, specchi e luci soffuse – accoglie musica dal vivo e offre una selezione assortita in Lagers, Ales & Stouts, di provenienza anche internazionale. Nel criterio d’ assaggio, si decide di mantenersi entro i confini britannici: con la Cobnut della Kent Brewery (a Birling, appunto nella contea inglese del Kent), una non meglio definita Ruby Ale da 4.1 gradi, comunque piacevole e bel bilanciata nell’equilibrio dolceamaro.

Sì, il centro di Cardiff dà veramente tanto. Eppure non ci si può congedare dalla capitale del Galles senza aver fatto tappa, spostandosi fino alla vicina Newport (la terza città dello Stato, situata nella contea del Gwent), al quartier generale di Tiny Rebel: marchio che, fin dal suo debutto, nel 2012, ha catalizzato su di sé i riflettori incarnando l’immagine stessa del movimento artigianale attivo nel Paese del dragone, specialmente su un fronte di voluto contemporaneismo. La struttura, imponente, affianca allo stabilimento di produzione (50mila ettolitri), una bella e studiata tap-room: soffitti altissimi (si tratta di un capannone manifatturiero), neon, mattoni, legno e metallo in una fusione calda, luminosità garantita dalle ampie vetrate, file di semplici tavoli alternate a zone con divanetti. E al sabato, nello spazio esterno, un vivace mercatino dei generi più vari. Qui la tasting session non può non essere più corposa (da provare c’è così tanta roba). Così, dal bancone, arrivano nell’ordine la Cwth Welsh Red Ale in cask (4.6 i gradi, un pizzico di nuovo mondo nei luppoli); la Clbw Tropica a carboazoto (una Fruit American IPA da 5 gradi, con luppolatura da Citra, Simcoe e Mosaic, più aggiunta di pesca, maracuja, ananas e mango); la Coal Drop, sempre a carboazoto (una Stout da 4.1 gradi, setosamente appagante); e la Hazelnut Stout in keg (una Sweet Stout alle nocciole da 5.8 gradi, cremosa al limite della masticabilità, eppure maledettamente golosa).

È la degna pinta del good-bye a Cardiff. Con la certezza che, la prossima volta (che ci sarà, eccome), il giro sarà altrettanto intenso e ricco di belle sorprese.