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Consobir: la presentazione

 Nella recente edizione di Pianeta Birra è stato presentato il primo consorzio italiano di produttori di birra artigianale, ConsoBIR (che sta per Consorzio Birrai Italiani Riuniti). I birrifici fondatori sono otto: Baladin di Piozzo, Beba di Villar Perosa, Birra del Borgo di Borgorose, CitaBiunda di Neive, Cittavecchia di Sgonico, Maltovivo di Capriglia Irpina, Petrognola di Piazza al Serchio, Scarampola di Cairo Montenotte.

Le finalità e gli obiettivi del consorzio sono ben elencate nel comunicato stampa diffuso di recente. I punti cardine (italiana, genuina, controllata, artigianale, cruda) sono riportati sul logo, di forma pentagonale: un simbolo che direi molto impegnativo e che immagino non sia stato scelto a caso: ha un lato in meno rispetto a quello che è probabilmente il logo più famoso in ambito birrario (quello delle birre trappiste, ovviamente), oltre ad essere sinonimo, in ben altro ambito, della più grande potenza militare mondiale…

Dando per scontato che le ambizioni del consorzio non c’entrino nulla con la politica “difensiva” americana, credo sia opportuno sottolineare la nascita di Consobir, che sicuramente rappresenta un momento importante nell’evoluzione della birra artigianale italiana, un passo assolutamente necessario.

La birra artigianale italiana sta vivendo un momento di grande visibilità, in cui la posta in palio è altissima; dopo una decina d’anni di “rumore” e di “pionerismo” ora è necessaria una seria fase di consolidamento. Purtroppo all’incremento numerico dei birrifici artigianali non è seguito un pari incremento qualitativo; il rischio che l’immagine di tutto il movimento sia danneggiata da qualche produttore poco serio è reale, concreto. Ormai il termine “birra artigianale” è sulla bocca di tutti, anche se probabilmente quasi nessuno sa cosa vuol dire; bisogna imparare a gestire bene la comunicazione in tal senso. Ben vengano quindi tutti gli sforzi che il consorzio potrà fare in ambito culturale, anche se non non va dimenticato l’enorme lavoro svolto da Unionbirrai in questi anni. Ovviamente anche molti altri soggetti si sono dedicati alla “divulgazione” birraria: alcuni con passione e competenza, altri molto meno… Una voce autorevole in più non potrà che far bene, elevando la qualità.

Fin qui dal punto di vista culturale, comunicativo. C’è però un tema molto importante, che non è mai stato analizzato a sufficienza: quello legato alle problematiche produttive della birra artigianale. Fin ora ci si è sempre affidati alla correttezza dei birrai, ma nessuno si è mai assunto il (difficile, me ne rendo conto) compito di mettere nero su bianco le regole, di scrivere un disciplinare articolato. Questo è il momento, fisiologico, in cui i produttori iniziano a farsi delle domande (in qualche caso anche legittime) sul “limite” dell’artigianalità: perché non filtrare? Oppure usare estratti di luppolo? O aggiungere enzimi? Arricchire la birra con aromi di sintesi? Perché infine non pastorizzare? Dormo sonni decisamente più tranquilli nel leggere che uno degli scopi di Consobir (più precisamente sarà il lavoro dei birrifici fondatori per il 2008) sarà proprio quello di stabilire un disciplinare di produzione, che tenga conto di tutti i temi che stanno emergendo. Il disciplinare stabilirà dei paletti per chi vorrà, in futuro, aderire al Consorzio, che sarà aperto a tutti i produttori che vorranno adeguarsi alle regole consortili. È lo stesso iter che seguono i Presidi Slow Food, per fare un esempio che ha avuto molta fortuna: sono i produttori stessi che scrivono il disciplinare di produzione. Disciplinare che deve essere seguito poi da tutti gli altri artigiani che voglio entrare nel Presidio.

Mi fa inoltre molto piacere leggere nel comunicato stampa come uno delle cinque parole d’ordine del consorzio sia “italiana”, con particolare attenzione alle materie prime. Ritengo infatti, come ho scritto sullo scorso numero di questa testata, che quello delle materie prime sia un tema centrale, sul quale sia necessario riflettere; il consorzio va oltre la riflessione, e presenta un progetto concreto di coltura del luppolo. Il progetto, finanziato dalla Regione Piemonte, vede la messa a dimora di 2 ettari di luppolo, di varietà Hallertauer Hersbrucker e Brewers Gold: sono sicuro che già dal primo raccolto avremo qualcosa di molto nuovo, nella birra italiana; sono infatti luppoli classici, ben noti, ma che crescendo su terreni e in un clima diversi sicuramente daranno delle nuances insolite, uniche. Da questo progetto potrà passare la prima vera caratterizzazione della birra artigianale italiana: se tutti i consorziati useranno (magari in aggiunta ad altre varietà) i luppoli italiani, sicuramente ci sarà un’impronta comune nelle loro birre. Ovviamente la bravura e la fantasia dei birrai faranno in modo che le birre, pur avendo un quid comune, avranno ciascuna la propria personalità, il proprio carattere.

Sottolineo ancora, infine, una delle cinque parole chiave riportate sul logo: “controllata”. Si garantirà, con controlli periodici e approfonditi sui prodotti, la correttezza rispetto a parametri qualitativi. Controlli sui quali potrà essere avviata una proficua collaborazione con Assobirra, magari anche grazie all’aiuto di Flavio Boero (Carlsberg Italia), che da tempo collabora con le iniziative culturale di Unionbirrai. Anche da questo punto di vista sarà un netto passo in avanti, una maggiore sicurezza sia per il produttore sia per il consumatore. Non ci si può più permettere di sbagliare (o almeno bisogna tentare di limitare gli errori): stappare una bottiglia di birra artigianale che non è in buone condizioni non danneggia soltanto il produttore della bottiglia in questione, ma l’immagine complessiva della birra artigianale italiana se non addirittura della birra in generale.

Alcuni hanno pensato che la nascita di Consobir andasse in qualche modo a ledere Unionbirrai o che comunque ne limitasse l’importanza; credo proprio si sbaglino. La presenza di Agostino Arioli alla presentazione di Rimini sottolinea come non ci sia assolutamente alcuna volontà “secessionista” e, anzi, come vi sia comunità di intenti. Dopodiché è evidente che la natura stessa dei due soggetti è profondamente diversa. Uno è un’associazione culturale senza scopi di lucro, l’altro un consorzio di produttori. Uno è necessariamente più ampio e più istituzionale, mentre l’altro dovrà essere molto più snello, operativo, efficace sui temi che hanno bisogno di una risposta concreta, oltre che rapida. Penso ad esempio al lavoro che andrà fatto sulla semplificazione della gestione delle accise, oppure al modo in cui verrà gestito il “problema” alcol; dopo il tabacco la prossima vittima sull’altare del moderno e ottuso salutismo sarà certamente l’alcol. Gli etilometri del sabato sera sono solo la punta dell’iceberg: in Inghilterra è già emersa la proposta di scrivere sulle birre messaggi simili a quelli riportati sui pacchetti di sigarette, il rischio concreto è quello di veder demonizzata la birra in quanto alcolica; bisogna riuscire a far uscire la birra artigianale da questo tunnel. Ecco perché credo che la presenza di un soggetto forte, operativo, economicamente solido, che affronti queste problematiche sia assolutamente necessaria, oltre che benvenuta.

 

 di Luca Giaccone

2 Commenti

  1. E’ fantastico che alla presentazione di un marchio “forte”, nella foto di gruppo ci siano 6 degli otto soci fondatori.
    Partono uniti come una falange macedone….

  2. Ma poi dove sono, sul ponte di una nave mercantile?
    Comunque l’idea mi sembra buona è la struttura che mi sembra troppo “TEOcentrica”, nel bene e nel male.