Fermento Italia

Una Stella Danzante? Libere riflessioni sul mondo della birra artigianale italiana

Bisogna avere un caos dentro di sé, per generare una stella danzante. (Nietzsche)

Chi non conosce questo aforisma, cosi profondo e al contempo semplice e immediato fino al punto di trovarsi a suo agio perfino su una semplice t-shirt? Prendo spunto da un articolo di Luca Giaccone, amico e stimatissimo conoscitore di birre, per buttare giù, anche un po’ a casaccio per la verità, una serie di cupi pensieri sull’attuale caos birrario, nella speranza di liberarmene e ottenere sicuro sollievo dello spirito.

Sia chiaro da subito che sarò il primo a gettarmi sul malto e sul luppolo italiani quando avranno la qualità e soprattutto la varietà che oggi trovo dispersa in almeno tre nazioni birrarie di grande tradizione! Credo però che prima di occuparsi della scelta della tappezzeria di casa, il “buon padre di famiglia” si debba preoccupare di costruire le fondamenta della stessa, e che esse siano le più solide possibile.

 

In Italia, nonostante enormi progressi, i problemi principali sono la preparazione tecnica dei birrai, il basso, spesso infimo, livello tecnologico e la conseguente bassa qualità dei prodotti. Giorni fa un cliente dal quale mi stavo riportando una bottiglia di Amber Shock perché gasata fino a essere inservibile, mi ha detto sconsolato che purtroppo ognuna delle artigianali da lui vendute sembrava avere almeno un problema! Al mantenimento di questa situazione, purtroppo inconsapevolmente, collabora chiunque manifesti apprezzamento per una birra in base alla ricchezza e all’originalità, al di là di un fondamentale indicatore di qualità che è la costanza, riflesso cristallino e immediato della conoscenza tecnica del birraio! Ciò è anche peggio quando la persona in questione è riconosciuta da altri come esperta di birra!

Artisti sì, eccome, ma prima facciamo come i grandi pittori, tutti “a bottega” per imparare l’essenza profonda della materia e del colore o, nel nostro caso, delle materie prime e dei veri birrai, i lieviti! Quando l’anno scorso sono andato all’estero a seguire un corso di produzione di due settimane, alcuni colleghi mi guardavano un po’ meravigliati dicendo: “ma come, proprio tu?”, oppure “come docente, vero?!”. Quando sono tornato ero invece ancora più dolorosamente conscio della modestia delle mie conoscenze tecniche.

Oggi gli “esperti degustatori” del settore birra artigianale, di cui alcuni veri e altri sedicenti, sono tutti beerhunters, tutti a caccia del fenomeno birrario del momento. Il birraio viene letteralmente pompato fino a che non si trova un altro fenomeno da osannare. Questo perverso sistema (al quale mi è capitato di partecipare, lo ammetto) è in realtà diffuso in tutti i paesi birrari di mia conoscenza e sembra anzi essere proprio lo stile dei nostri tempi. La grande differenza tra noi e questi paesi sta nei nostri infimi consumi pro capite e nel fatto che loro sanno fare la birra e sanno benissimo come il mercato vero, quello che può sostenere economicamente un’azienda e quindi un movimento, spesso si fa con le birre di carattere ma beverine e relativamente “facili” per il consumatore. Per questo consiglio sempre di imparare a fare delle birre base e poi, a completamento della gamma e per piacere personale, buttarsi su specialità birrarie anche estrosissime. In Italia, oggi, troviamo microbirrifici che propongono esclusivamente specialità. Io credo che confondano l’interesse dei “soliti esperti” con l’interesse del mercato, fondamentale per vendere, produrre, guadagnare e campare onorevolmente. Se la birra artigianale viene associata all’idea di birra strana, potremo arrivare solo a quote di mercato infime, visto che saremmo solo una supernicchia nel mercato già moscio della birra in Italia oppure ci ritroveremmo a dipendere dalle esportazioni in paesi birrari oppure ancora ci estingueremmo!

Certo anche in Italia c’è spazio per qualche vero  artista “maledetto” della birra come se ne trovano in Belgio, ma non possiamo pensare di esserlo tutti.

Ancora, sono  le lacune di formazione che lasciano spazio al fiorire di miti come quello della rifermentazione in bottiglia che sarebbe la panacea per curare tutti i mali, oppure ancora l’idea, da qualcuno presa addirittura come unico parametro per una selezione di birre artigianali italiane, che le alte fermentazioni durino di più! La generalizzazione di concetti veri solo in alcuni casi crea grossi pasticci e confonde, come grave ultimo effetto, le idee già confuse del nostro potenziale consumatore che, spaesato, fugge!

La provenienza locale delle materie prime è senz’altro da perseguire ma prima di parlarne con tanto realismo abbiamo, soprattutto sul luppolo, molto serio lavoro da fare, in sordina e a testa bassa! Il concetto del “chilometro zero” in questo momento è di difficilissima applicazione per la birra se non a costo di enormi restrizioni nella libertà di scelta dei birrai e, soprattutto, perché uno dei successi sbandierati delle nostre birre è il fatto che vengono esportate (tra le altre le mie, sia chiaro) in tutto il mondo! Non perdo tempo ad evidenziare la palese, enorme, contraddizione… Diciamo pure, invece,  che l’attenzione di una parte dei consumatori è molto attratta dalla provenienza locale, e che, soprattutto, molti enti ed istituzioni sono molto più disponibili con i produttori che si mostrano sensibili all’argomento, ma non facciamone la nuova crociata perché oggi la birra artigianale italiana ha bisogno di tutto tranne che di mistificazioni.

Abbiamo bisogno di serietà, di formazione, di chiarezza e di informazione del consumatore. Altrimenti perdiamo un treno che corre verso meravigliose destinazioni!!! Insegniamo al consumatore cos’è la birra artigianale italiana, nella sua varietà enorme e nelle enormi possibilità di abbinamento a cibi e situazioni più diverse, ma facciamo di tutto perché sappia distinguere tra una birra di qualità e un accrocchio casuale confezionato con luppoli o malti o altri ingredienti di qualsivoglia provenienza. Questo è, a mio parere, la virtuosa pressione selettiva che ogni amante e conoscitore della birra dovrebbe esercitare in questa epoca, al fine di sostenere il movimento e quindi sperare di avere a disposizione nel futuro sempre più birre artigianali italiane buone e adatte ad ogni occasione!

 

di Agostino Arioli
(mastro birraio del Birrificio Italiano,
Vice Presidente di Unionbirrai per il ramo professionale)

 

6 Commenti

  1. Tutti argomenti dal mio punto di vista più che condivisibili.
    Il successo vero e non temporaneo del prodotto birra artigianale passa certamente attraverso un miglioramento del livello tecnico-qualitativo delle produzioni ed attuando una corretta e capillare informazione di tipo culturale nei confronti dei consumatori.

  2. Secondo me quando si fanno queste affermazioni, alcune condivisibili, per carità, bisognerebbe avere il coraggio di attaccarci anche qualche nome.
    Sennò resta la solita cosa all’italiana.

  3. quoto in pieno quello che dici,Schigi, ma purtroppo penso che Ago sia in una posizione troppo delicata per poter esprimere al 100% il suo pensiero e tirare in ballo nomi e cognomi. comunque hai ragione.

  4. Non voglio dire che le iniziative per far conoscere la birra non ci siano state ma, secondo me, sono state rivolte solo a una nicchia di mercato composta da intenditori e coloro che possono spendere, oltre a essere con una diffusione in alcune zone. Ok che la birra di qualità costa di più ma il prezzo è ancora troppo alto e ciò non la può far diventare una birra “quotidiana” e per tutte le tasche.
    Ci vorrebbe un miglior piano strategico di comunicazione e vendita.
    Ciao!

  5. La birra artigianale in Itala è ancora quello che gli economisti definiscono un “mercato giovane”, dove le opportunità di crescita e i margini di guadagno sono ampi e dove, pertanto, anche numerose realtà meno forti e competitive sopravvivono. Col tempo, quando sarà diventato un “mercato maturo”, emergeranno i birrifici migliori a scapito di quelli che, per carenze tecniche, tecnolgiche o “imprenditoriali” in senso lato, non reggono il confronto.
    Viviamo in un Far West, concordo con l’autore dell’articolo, ma aggiungo che preferisco questo caos all’omogeneizzazione birraria che si avrebbe se in Italia vi fossero solo grandi gruppi industriali.