Estero

Problemi e responsabilità di un “attivista brassicolo”

Come i 65.000 appassionati di birra provenienti dalla Gran Bretagna e dal resto del mondo, ho passato la seconda settimana d’Agostoa Londra per il Great British Beer Festival. Al pari dei mille e più volontari presenti ho lavorato lì, fornendo il mio contributo alla causa. Ma, diversamente dagli altri, parte del mio lavoro consisteva nel seguire le degustazioni aziendali.
Una degustazione aziendale altro non è che un incontro organizzato dal GBBF per gli impiegati di compagnie, che utilizzano questi eventi come forma di incentivo. In parole povere l’azienda paga i cosiddetti “corporate hospitality” (no, non “corporate hostility”) ai suoi impiegati più meritevoli, una sorta di riconoscimento consistente in un’ora o due di degustazioni private. E così eccomi qua.
Le degustazioni aziendali sono di solito viste da chi le conduce come un lavoro duro, perché questi gruppi di uomini in completo non aspettano in genere che un momento di libertà per poter scappare ed ubriacarsi il prima possibile. Per chi guida la degustazione la cosa rischia di diventare una sofferenza, poiché tali soggetti possono essere incredibilmente maleducati e arroganti… e questo ancor prima di essere completamente ubriachi!!
Ad ogni modo non ho personalmente problemi con questo tipo di lavoro, perché mi dà comunque la possibilità di parlare di birre buone, di sfatare falsi luoghi comuni in materia e di cercare di aprire nuovi orizzonti alla gente. Questo è il vero attivismo birrario.
Delle due degustazioni condotte quest’anno una è andata molto bene, con un gruppo di persone interessate che hanno trovato molto piacevole l’appuntamento. Ed è stato un vero piacere per me, attraverso una conversazione informale, guidarle nell’assaggio di una selezione di cinque birre provenienti da varie parti del mondo.
L’altra, invece, è stata da incubo. Era iniziato tutto bene, alla presenza di sei uomini seduti al tavolo, quando all’arrivo del settimo, in leggero ritardo, gli eventi presero una brutta piega. Immaginatevi un trentenne ben vestito e di bella presenza, ma al tempo stesso arrogante, senza un briciolo di coscienza… e già completamente ubriaco. Da quel momento mi è toccato rispondere ad una serie di domande su birra, alcol, ecc.., nessuna delle quali attinente alle cinque birre belghe che dovevo presentare. Era il tipico furbone: in sostanza non sapeva nulla sulla birra, o quantomeno aveva paura di ascoltare quello che le sue papille gustative gli suggerivano e di descriverlo a parole. E così provava a mettersi sulla difensiva attraverso una serie di domande depistanti. Pessima idea. Anche se sono ormai 15 anni che non insegno più nelle scuole, non ho infatti ancora dimenticato come sistemare un adolescente indisciplinato.
Iniziai cercando di spiegarmi in un modo che fosse comprensibile a tutti. A un certo punto, però, cominciò una conversazione alquanto surreale:
Non bevi mai lager, vero? (Sottotitolo: “Sei un fottuto snob bevitore di Ale, e non ci puoi capire)
Beh, in realtà posso berne più di quanto possiate fare voi..  Vedete, io vivo in un Paese dove la maggior parte delle birre sono lager, e sono di facile reperibilità. Quella che voi chiamate lager e viene venduta nei pub del Regno Unito non è veramente lager. Non ha un invecchiamento abbastanza lungo per esempio..

Poi, due minuti dopo:

Quindi se vai a prendere una birra nel West End che cosa ordini?
Tanto per cominciare non vado a bere nel West End perchè non sono residente a Londra…
Ok, ma se dovessi uscire nel West End, cosa ordineresti in un pub?
Se non ci fosse birra decente? Acqua naturale.
Ma non hai risposto alla domanda. Devi bere qualcosa. L’acqua non e’ un drink..
E che cos’è allora?
E’ acqua.
E’ liquida, puoi berla, per cui è un drink.
No, non lo è.  Devi bere un drink.
Vuoi dire che non è un drink se non c’è dell’alcol dentro?
Esatto.
Ma perchè, un drink non puo essere analcolico per te? Cosa c’è di sbagliato nel non bere alcol?
…..

 

Il botta e risposta andò avanti, diventando abbastanza teso, ma io mi divertivo parecchio nel tentativo piuttosto arduo di renderli consapevoli sui rischi legati all’abuso di alcol. Una sorta di educazione di base insomma, ma in un Paese come l’Inghilterra dove i ragazzi non possono entrare nella maggior parte dei pub e le persone crescono senza modelli comportamentali, privi della benché minima idea su cosa significhi un consumo di alcol responsabile e moderato.

E ciò mi porta a una prima considerazione: sono tante le persone in giro per il mondo che non hanno ricevuto alcun tipo di educazione a riguardo. E, parlando di birra, uno non può avere paura di affrontare l’argomento.

Dopo 40 minuti, questo ubriaco non riusciva ancora a dire niente sulla birra:

Che cosa ti piace di questa birra?
Non mi piace.
Mi puoi dire almeno perche’?
No, soltanto che non mi piace.
Troppo dolce, troppo corposa, troppo amara?
No…ehm, volevo chiederti qual’è la differenza fra una birra dolce e una amara, perche sai…
(E così via, svicolando dalle domanda ogni volta con una scusa diversa)

A questo punto, altra piccola dose di educazione di base, gli feci notare il suo comportamento, la sua incapacità di ascoltare per più di dieci secondi un discorso sulla birra o di esprimere qualsiasi sensazione in proposito, escogitando sempre delle distrazioni per evitare l’argomento. Parlai con tono calmo, ma senza pietà. Il che lo zittì per gli ultimi venti minuti.

E questo mi porta al dunque, ossia la sorprendente incapacità della maggior parte delle persone, e degli uomini in  particolare, nell’esprimere ciò che sentono al palato. D’accordo, è qualcosa di personale, potresti sentire sensazioni diverse da chi ti sta vicino, ti prendi un rischio se mi dici che una doppeldock ti ricorda l’odore di cacca di cavallo… Il punto è che noi uomini siamo profondamente limitati nell’esternare quello che sentiamo, che la maggior parte di noi non è capace di dire una parola su gusti e aromi. E, certo, a peggiorare ulteriormente le cose anche il fatto che la maggior parte di noi non ammetterebbe mai di non aver niente da dire, di non avere un’idea. Non siamo forse famosi per il perderci in macchina pur di non chiedere indicazioni?

Invertire questa tendenza, infondendo nelle persone – e negli uomini specialmente – fiducia sulla loro capacità di comunicare quanto naso e palato gli dicono, è probabilmente una delle sfide più difficili per tutti gli attivisti di birra (e cibo). Sarebbe molto più facile quando si fa un degustazione darsi delle arie, snocciolare nomi e parlare di dozzine di altre birre, creando un’atmosfera snob e distaccata: uno spettacolo in cui qualsiasi idiota con una buona memoria e un portofoglio spesso può passare da esperto.

Se noi attivisti ed amanti della birra vogliamo cambiare le cose, quando ci troviamo davanti a chi sembra proprio non voler ascoltare dobbiamo sforzarci di capire la fonte del problema, consapevoli che tante persone sono senza speranza quando devono parlare di gusti e aromi. Dobbiamo essere pronti ad affrontare questa – brutale – realtà, cercando di fornirgli gli attrezzi con cui costruirsi la loro soggettiva ed articolata cultura del gusto.

Siamo pronti per questa sfida?

di Laurent Mousson