Matrimoni birrari: risotto ai funghi e Bock
C’è un grido di mobilitazione capace – ben oltre le possibilità di un qualsiasi motto politico – di raccogliere noi italiani sotto le insegne di un comune obiettivo. una voce che sale, inarrestabile, quando la stagione, da calda che era si fa freddina e umida; quando il bisogno di piatti caldi, e sostanziosi, fa levare all’unisono le parole Risotto, risotto, risotto.
Primo piatto tipico della nostra tradizione, certamente diffuso più a nord (dove le coltivazioni segnano in profondità territorio e culture attraverso tutta la pianura padana), ma preparato, apprezzato e adottato un po’ in tutto lo Stivale. La sua cremosità conferita dalla cottura dall’amido, dai grassi utilizzati in mantecazione è il punto di partenza per dire che, in abbinamento, servirà a noi una birra di buona corporatura e dotata di propensione a detergere. Poi, ovviamente, bisogna decidere come lo si voglia, questo risotto. Dato il contesto autunnale, beh, come non proporlo ai funghi? E dunque sia! E’, appunto, una delle ricette più classiche; nella quale – ne prendiamo una versione standard – intervengono olio e/o burro, formaggio da grattugia di latte vaccino (diciamo un Parmigiano), del brodo per idratare e gestire la cottura, sale, pepe e aromi (cipolla, prezzemolo, aglio). Quali i connotati gustolfattivi salienti? Sostanziosità, densità strutturale, data sia dagli amidi di base, sia dai grassi degli appena citati olio, burro e formaggio; in più una bella carica odoroso-vegetale; e infine, punte di diamante dell’arsenale, da un lato una buona sapidità (tenuta in alto dal sale direttamente aggiunto e da quello contenuto nel Reggiano), dall’altro l’aroma caratterizzante dell’ingrediente-cardine. Siamo allora pronti per l’identikit della birra che ci occorre. Di nerbo muscolare; di buona effervescenza (magari con una corrente acidula, con in alternativa – o in aggiunta – una discreta spalla alcolica); tendenzialmente morbida, se non proprio dolce, per dialogare armonicamente con la salatura; e, possibilmente, dotata di profumi in grado di armonizzarsi con quelli del piatto e di garantire un respiro retrolfattivo alla loro altezza.
La scelta cade su alcune esponenti della vasta famiglia delle Bock di ascendenza tedesca: di sana costituzione (gli spessori non mancano; specie se ammostate in decozione), di tante alcolicità (siamo da 6 gradi abbondanti n su); di inclinazione abboccata; e spesso, se in veste bruna (il filone Tradition), portatrici di note odorose tra le quali si trovano esplicitamente quelle dei porcini secchi. Nomi e cognomi? Ad esempio la Volpe – Bock ambrata da 6.3 gradi di Mostodolce (Prato) – o la Amber Shock – stesso stile e tinteggiatura ma un grado in più – targata Birrificio Italiano: entrambe peraltro segnate da venature amaricanti che, pur sottili, consigliano al risotto ai funghi di star leggero con il sale. E ancora la Sylvie, Doppelbock (medesimi colori delle precedenti, ma taglia etilica a quota 7) di BiRen (Sant’Agostino, Ferrara); oppure la Augustus Weizendoppelbock, Weissbier scura e maggiorata (8 i gradi), firmata da Riegele (Augusta, Germania).