A Pianeta Birra UnionBirrai presenta il progetto Marchio di Qualità
A Pianeta Birra, la fiera riminese dedicata al Beverage, Unionbirrai ha presentato un progetto sulla creazione del marchio di qualità “Birra Artigianale Italiana”. Ce ne parla Matteo Bonfanti uno dei protagonisti di questo lavoro.
È tempo per un disciplinare e per un marchio per la birra artigianale italiana?
A questa domanda ha cercato di dare risposta una tesi di laurea in Qualità e Sicurezza dell’Alimentazione Umana dell’Università degli Studi di Milano realizzata in collaborazione con Unionbirrai.
Il lavoro si è concentrato inizialmente sull’analisi dei dati di produzione e di consumo della birra nel mondo, registrando il trend positivo di entrambi i dati in Italia. Inoltre il nostro paese presenta una crescita impressionante dei piccoli produttori di birra che sono passati dalle poche unità dell’inizio degli anni Novanta fino ai circa 250 attuali. Questi fattori uniti alla richiesta dei produttori di essere più rappresentati e dei consumatori di birre con un livello qualitativo e una costanza sempre maggiori, oltre che al rischio di abusare del termine “artigianale” hanno fatto sorgere la domanda sull’utilità della creazione di un marchio collettivo per la birra artigianale italiana.
Un marchio collettivo è un marchio di proprietà di un’associazione, un ente o un gruppo di produttori che realizza un disciplinare e, dopo averne verificato il rispetto dei parametri, concede agli associati l’utilizzo del marchio stesso. Gli obiettivi del marchio “Birra Artigianale Italiana – Unionbirrai” sono quelli di garantire una maggiore visibilità per i piccoli produttori e per le loro birre, stabilire quali materie prime e quali processi siano permessi nella realizzazione della birra artigianale e soprattutto quello di realizzare controlli sul processo e sul prodotto finito.
Questi controlli presentano un duplice aspetto: da una parte permettono al consumatore di acquistare una birra che rispetti determinati parametri microbiologici e sia conforme al disciplinare del marchio. D’altro canto anche i produttori potranno trarre giovamento dai controlli effettuati sulle proprie produzioni, riuscendo ad individuare eventuali punti critici del processo produttivo e potere così tendere a un miglioramento continuo delle birre realizzate. Un disciplinare non è un documento rigido e immutabile: nel tempo può cambiare perché il suo scopo è quello di migliorare continuamente e portare anche i produttori che vi aderiscono a un miglioramento costante.
Prima di procedere con la realizzazione del marchio collettivo e del disciplinare collegato, è stata fatta un’indagine presso i consumatori per verificare il loro interesse e la loro opinione sulla birra artigianale. Il questionario è stato compilato da circa mille persone presso brewpub, microbirrifici e beershop. Alcune delle risposte emerse sono molto interessanti: secondo gli intervistati una birra artigianale deve essere “prodotta in quantità limitata e distribuita per lo più localmente” (20.8%), “non pastorizzata” (18.6%), deve utilizzare “materie prime selezionate e grande cura nel processo produttivo” (17.6%). Le altre caratteristiche importanti sono la “varietà di stili” (16.3%) e “l’assenza di filtrazione” (8.1%).
Alla richiesta di indicare le principali differenze tra una birra artigianale e una industriale, quasi il 50% dei consumatori ha indicato le “caratteristiche sensoriali”, il 15% “l’attenzione del mastro birraio” e l’11% ancora una volta la “varietà di stili”. Da sottolineare come il 6.7% dei consumatori indichi come differenza importante la “carbonazione della birra”. Il 78% degli intervistati crede che un marchio collettivo per la birra artigianale italiana possa essere utile perché garantisce che il prodotto sia realmente artigianale, permette maggiori controlli e porterebbe miglioramenti al movimento della birra artigianale. La restante parte (22%) pensa che un marchio sia solo una strategia pubblicitaria o effettua le sue scelte d’acquisto in base a requisiti diversi dalla presenza di un marchio e quindi lo ritiene poco utile.
Per la realizzazione del disciplinare per la birra artigianale italiana si è fatta un’ampia ricerca bibliografica e si sono studiati i marchi collettivi per le birre già esistenti in Europa e nel resto del mondo, contattando produttori e associazioni di categoria. I marchi collettivi per la birra esistenti non sono molti, ma alcuni di questi sono molto famosi (Authentic Trappist Product) e presentano spunti interessanti. È il caso del disciplinare della Society of Independent Brewers (SIBA) del Regno Unito. Il “Code of Practice” della SIBA riporta limiti microbiologici e chimici ben precisi per le birre dei piccoli produttori associati.
Anche nel disciplinare “Birra Artigianale Italiana – Unionbirrai” si è deciso di inserire dei limiti microbiologici che fossero semplici e al tempo stesso risultassero degli efficaci indicatori di qualità. La scelta è caduta sui batteri lattici, sui contaminanti non lattici e sui lieviti selvaggi. Questi microrganismi sono i maggiori responsabili delle contaminazioni che avvengono nei birrifici; secondo alcuni studi i generi Lactobacillus e Pediococcus sono considerati responsabili di circa il 70% delle contaminazioni nei birrifici. Per stabilire un limite adeguato da inserire nel disciplinare sono state svolte delle analisi su dei campioni di birre artigianali italiane in collaborazione con il laboratorio del CNR-ISPA di Milano. In questo modo si è ottenuto un primo quadro generale della situazione microbiologica delle birre prodotte dai microbirrifici italiani. I parametri fissati indicano che le birre dovranno contenere meno di 1000 unità formanti colonia per millilitro di batteri lattici, meno di 20000 ufc/ml di contaminanti non lattici e meno di 1000 ufc/ml di lieviti selvaggi.
Parte delle birre analizzate era in concorso a “Birra dell’Anno 2008” organizzata da Unionbirrai; i valori microbiologici di questi prodotti sono stati confrontati con i giudizi espressi dai giudici del concorso. Il raffronto ha confermato la bontà dei parametri scelti come indicatori di qualità: le birre classificate agli ultimi posti delle categorie del concorso erano effettivamente quelle che riportavano una maggiore concentrazione di contaminanti e di batteri lattici. Si è potuto quindi procedere con la registrazione presso la Camera di Commercio del marchio con il suo logo e con la stesura del disciplinare. Oltre ai limiti microbiologici indicati in precedenza il disciplinare richiede altri requisiti. Per quanto riguarda il microbirrificio, deve avere una capacità produttiva annua non superiore ai 10000 ettolitri e deve essere indipendente, ossia non più del 25% della sua proprietà può appartenere o essere controllata da un produttore industriale di bevande. Non sono ammesse la pastorizzazione o altri trattamenti termici sul prodotto finito, non ci sono limiti sulle materie prime utilizzabili, ma non è consentito l’utilizzo di estratti di malto, coloranti e conservanti. Il produttore deve riportare in etichetta una breve descrizione delle caratteristiche sensoriali della sua birra (aspetto, aromi, gusto, colore…) in modo da caratterizzare il prodotto e da avere un riferimento per la valutazione. La rispondenza a questa descrizione sarà verificata periodicamente da un gruppo di degustatori. Le analisi e le ispezioni saranno garantite da un ente terzo.
di Matteo Bonfanti