Maiale con patate e purè di carote: ménage à trois con la Irish Red Ale
Immaginate un arrosto di maiale (già ghiotto di per sé) e pensatelo accompagnato da una tradizionale dadolata di patate e, insieme, da una più inusuale, ma non meno efficace, purea di carote. Insomma, una ricetta verace, genuina, per niente nouvelle cuisine, tutta semplicità e sostanza. Senza addentrarci nel dettaglio delle preparazioni, basterà scorrere le lista degli ingredienti necessari: la carne suina; aromi come aglio, cipolla, prezzemolo, rosmarino; i due ortaggi coprotagonisti; sale, pepe e olio d’oliva extravergine, per rendersi conto di come il secondo piatto in questione abbia consistenze da vendere.
Partiamo dall’apporto proteico, di carboidrati e di grassi, oltre che di densità sensoriale complessiva. Il tutto in una struttura gustolfattiva generale imperniata attorno ad alcuni assi portanti: la dolcezza (introdotta da zuccheri e lipidi appena citati, senza trascurare le rosolature e le caramellizzazioni di cottura); la sapidità (un fondamentale, pur ovviamente variabile in funzione della mano del cuoco); le delicate tostature (connesse alle rosolature); le lievi acidità legate all’extravegine e alla doratura con cipolla. Di fronte a un simile scenario (acquolina in bocca a parte), la riflessione si orienta verso prodotti nell’insieme morbidi; che tengano sotto sorveglianza le voci amaricanti; che dialoghino con il boccone (tenendogli testa) anche con proprie tostature, e con una corporatura non eccessivamente scorrevole; che affrontino la pinguedine del morso con un minimo di acidità sotterranea (senza scomodare protocolli di brassaggio di tipo sour).
Ecco allora che si concretizza la possibilità dell’accompagnamento con uno stile i cui cultori, diciamocelo francamente, di questi tempi non è che si contino a schiere, ma la cui fisionomia, invece, su questo ring avrebbe i numeri occorrenti a fare la sua figura. Parliamo delle Irish red Ale: che il Bjcp descrive assai evocativamente come un qualcosa a metà tra le rotondità delle Scottish Ales (ma meno paffutelle, meno toffeish) e le luppolature palatali delle Bitter inglesi (rispetto alle quali c’è molta più rotondità e levigatezza). Quanto ad alcune delle referenze portabili ad esempio, ecco qua: la Irish Red Ale targata O’Hara (marchio di proprietà della Carlow), da 4,3 gradi; la Smithwick’s Ale (etichetta della Diageo, gruppo di cui è pilastro il colosso Guinness), da 5 gradi; la Red Ale della Porterhouse, da 4,4 gradi; la Samuel Adams Irish Red (5,8 gradi) commercializzata dalla Boston Beer Company.