Approfondimenti HBHomebrewing

L’homebrewing: l’arte di stupire con la propria birra

Attenzione, non sto scoprendo l’acqua calda. Lo sappiamo tutti quanti, anche fuori dal giro di esperti e addetti ai lavori, che si può fare birra in casa, il cosiddetto homebrewing. Si può fare e con risultati lusinghieri. Quello che voglio dire è piuttosto diverso e per nulla scontato: a casa si può arrivare a produrre birra di livello professionale, di qualità paragonabile a quella che bevete al pub, spesso e volentieri pure migliore. Lo dico per esperienza diretta. È una riflessione tutto sommato banale per chi pratica con cura questo hobby ma credo per nulla scontata per tutti gli altri. Mi ha colto qualche tempo fa quando un giorno mi sono chiesto: varrà la stessa cosa per il vino, la bevanda di tradizione nazionale? Probabilmente no, presumo. Non ne so nulla di produttori casalinghi di vino. Sicuramente esistono, qualcuno avrà magari una sua vigna, altri compreranno le uve altrove. Non sono a conoscenza di concorsi per produttori casalinghi di vino come avviene per la birra. Sono anche sicuro che ci sarà sicuramente l’eccezione, il garagista che realizza a casa sua qualcosa di meraviglioso, ma conoscendo le peculiarità della materia prima e del prodotto vino immagino sia difficile eguagliare il risultato di un prodotto professionale di livello. Il nodo sta nella materia prima: uve di qualità non possono crescere ovunque, nell’orto ad esempio. E senza uve di qualità non si riesce a fare vino di qualità. Immagino non sia nemmeno tecnicamente semplice né soprattutto economico andare in una zona vocata a farsi vendere delle uve da vinificarsi in casa. Oltretutto si tradirebbe un po’ uno dei presupposti culturali del vino come lo abbiamo conosciuto finora, il radicamento e l’espressione del territorio. Non ce lo vedo un brianzolo che va in Monferrato a farsi dare una mezza quintalata di Barbera da spremere. Più probabile che riempia direttamente la damigiana. Tutto questo senza nemmeno affrontare il tema della cura della vigna stessa e del processo produttivo. La birra invece è una ricetta e si apre un mondo di possibilità.

Le materie prime
Chi si vuol fare birra in casa ha accesso alle stesse materie prime di un birrificio. Dico proprio le stesse, uguali uguali. Il malto che si acquista è identico, stessi maltifici, stessi sacchi. Riguardo al luppolo, è ragionevole che i birrifici più grandi e scrupolosi si adoperino per trovare direttamente alla fonte luppoli di qualità superiore e selezionarli, ma spesso, spessissimo, l’homebrewer acquista il luppolo dagli stessi rivenditori da cui si riforniscono i birrifici. Certo, può capitare ogni tanto una partita di bassa qualità, come può capitare ai birrifici peraltro, ma in genere non ci sono problemi e la qualità è soddisfacente. Per i lieviti, se possibile, gli homebrewer hanno addirittura più cartucce da sparare dei birrifici. Chiariamo, non c’è nulla che un birrificio non possa fare se lo desidera, soprattutto negli ultimi anni grazie alla presenza sul mercato di alcuni laboratori che propagano su richiesta qualsiasi specifico ceppo di cui un professionista faccia richiesta. Quasi sempre però i birrifici pescano da un catalogo preconfezionato di starter di lieviti liquidi messi a disposizione oppure, molto più spesso, utilizzano lieviti commercializzati in forma secca, più semplici da trattare e la cui varietà non è particolarmente ampia. Gli homebrewer invece, grazie alla inferiore quantità di birra prodotta, hanno accesso a un numero estremamente elevato di differenti ceppi di lievito, in pratica tutti quelli usati professionalmente più altri che nessun laboratorio inserisce nel proprio catalogo ma disponibili per l’homebrewing. È possibile acquistarli nelle piccole quantità disponibili e propagarseli senza grossi problemi in casa. Riguardo all’acqua, sono sicuramente avvantaggiati i birrifici, quantomeno quelli tecnologicamente più avanzati che dispongono delle analisi dell’acqua di rete e almeno di un addolcitore, se non di un impianto a osmosi, per trattarla. La birra è composta per la maggior parte di acqua, che nonostante questo resta l’ingrediente in qualche modo più sottovalutato. È vero anche che, a meno di non avere a disposizione un’acqua particolarmente salina, sbilanciata o di avere la necessità di realizzare stili come le Pils, fra tutti quanti l’acqua è un ingrediente sì importante ma certo non il più importante. Il problema a casa non è quello di aggiungere determinati sali all’acqua, quello lo si può fare esattamente come nei birrifici. Il problema è toglierli. Diciamo che nella stragrande maggioranza dei casi ce la si riesce a cavare egregiamente partendo dall’acqua di rete a disposizione. Se proprio la falda acquifera dovesse essere delle più reiette oppure lo stile in questione richiedesse un’acqua particolarmente leggera si può sempre andare al supermercato a comprare un paio di cestelli di una più adatta.

Il processo tecnico
Non c’è nemmeno bisogno di dirlo: è ovvio che lavorare con un impianto professionale è meglio. Lo è sotto tutti i punti di vista, ma soprattutto da quello della facilità produttiva, dell’efficienza nell’utilizzo delle materie prime e della ottimizzazione delle risorse e delle ore lavorate. La drammatica realtà però è che dal solo punto di vista qualitativo anche con due pentole, qualche fermentatore di plastica e altra attrezzatura hobbystica si riescono in molti casi ad ottenere risultati comparabili a un impianto professionale. Non in tutti, non per ogni stile, ma in moltissimi sì. Sembra incredibile, ma le cose stanno proprio così. Ci sono birrificatori casalinghi che vanno oltre una attrezzatura basilare, investono in acciaio e in attrezzature spesso piuttosto sofisticate che permettono di controllare meglio il processo e di facilitarlo, ma anche senza tutto questo è possibile con materiale meno evoluto produrre birre di assoluta eccellenza. L’importante è essere molto attenti a quei dettagli dell’impianto produttivo casalingo che contano davvero: non starò ad elencarli, ce ne sono alcuni che fanno una certa differenza e avere un sistema casalingo efficace, per quanto possa essere rozzo, è la chiave per farsi in casa birre che possono superare anche molti esempi commerciali. Anche gli strumenti di misura sono importanti: non è necessario investire un patrimonio in attrezzatura professionale ad alte prestazioni e che spacchi il capello, ma un paio di centoni per avere un controllo sufficiente del processo sì. Fra i dettagli dell’impianto, ce n’è uno su cui non si può sgarrare: una camera per controllare la temperatura di fermentazione. Senza controllo della temperatura di fermentazione non è possibile fare grande birra. Punto. E senza l’abbattimento di temperatura a fine fermentazione non è possibile decantare il lievito e tutti i residui dalla birra in maniera efficace e in tempi ragionevoli. Il tempo trascorso (al caldo) fra fine fermentazione e confezionamento, insieme ad un eccesso di residuo, sono nemici della buona birra. Nulla comunque che non si possa risolvere con un vecchio frigorifero e un termostato. C’è un solo elemento critico nel processo di produzione che a livello casalingo non può essere controllato con l’efficacia di un impianto professionale: il contatto della birra con l’ossigeno. Una volta iniziata la fermentazione, l’ossigeno diventa il nemico numero uno della birra. Travaso e confezionamento sono fonti potenziali di ossidazione: mentre in un impianto professionale l’esposizione all’ossigeno in tutte queste fasi viene limitata al minimo, a livello casalingo è estremamente più difficile controllare questo fattore di rischio. Certo, alcune efficaci precauzioni possono essere prese, ma senza le soluzioni tecniche di un impianto professionale non ci si può aspettare miracoli. La conseguenza di tutto questo è che a livello casalingo il metodo di confezionamento privilegiato, se non l’unico possibile, è quello che prevede la rifermentazione in bottiglia, una tecnica di carbonazione e maturazione che ha maggiori effetti protettivi rispetto all’ossidazione. Gli stili di birra che si esprimono meglio con il confezionamento isobarico (o contropressione), vale a dire mediante la carbonazione forzata nei maturatori con anidride carbonica invece che rifermentando in bottiglia aggiungendo zucchero, hanno poche possibilità di essere riprodotte ai livelli più alti fra le mura di casa, anche se risultati di buon livello possono comunque essere raggiunti lavorando con grande scrupolo. Stiamo parlando delle Pilsner e degli stili di bassa fermentazione, ma anche le American IPA potrebbero un po’ soffrire ad esempio. Per tutti gli altri invece le possibilità di successo restano intatte, nonostante l’handicap di un limitato controllo del contatto con l’ossigeno, mettendo magari in conto una vita del prodotto un po’ più breve rispetto a quelli professionali.

Le competenze e le capacità di chi fa birra
L’ingrediente principale per me resta sempre uno: la bravura di chi realizza una birra, che si trovi nella cantina di casa o presso un impianto da decine di ettolitri. Bravura che può esplicitarsi attraverso due aspetti, entrambi necessari: quello tecnico e quello della composizione della ricetta. Da un punto di vista tecnico un birraio casalingo per fare grandi birre deve avere le stesse identiche conoscenze di birrificazione di un birraio professionale. Forse addirittura superiori, per supplire ad impianti più rudimentali, con minore margine di errore. Quello che un produttore casalingo non avrà mai è la conoscenza tecnico-impiantistica di un birraio professionale ovviamente, non avendo la necessità di operare su attrezzature professionali, ma tutto il bagaglio di competenze teoriche riguardo alla birrificazione, alla maniera migliore di realizzare il prodotto, quelle sulla conoscenza degli ingredienti e delle loro caratteristiche in determinate condizioni di lavoro deve saperle padroneggiare. Anche in questo caso, pare impossibile, ma ci sono frotte di homebrewer che possiedono queste competenze e spesso le padroneggiano anche meglio di molti produttori professionali! La capacità di comporre una buona ricetta è altrettanto fondamentale. In molti casi non si scopre nulla di nuovo, in tante ricette di molti stili il canovaccio da seguire è noto e spesso stringente. Però sono sempre i dettagli a rendere una ricetta speciale rispetto ad altre simili, la cura nella scelta di un ingrediente piuttosto che un altro, nel dosarlo, nell’eliminare ciò che è superfluo, nel contestualizzarlo. Un bravo ed eclettico birraio, sia esso professionale o casalingo, non può poi non essere anche un buon degustatore, attento nel valutare un prodotto in maniera severa e critica per decidere che direzione prendere. E soprattutto deve avere le idee molto chiare riguardo al prodotto che ha in testa di realizzare: senza una direzione precisa, una ricetta non potrà che avvitarsi su se stessa.