Le migliori birrerie di Firenze: S.M. Novella e dintorni
Il nostro beer tour a caccia dei migliori locali parte dalla Stazione di Santa Maria Novella, punto naturale di arrivo per molti viaggiatori. Percorrendo via Nazionale ci imbattiamo nella birreria del Mostodolce, birrificio pratese tra i precursori della nouvelle vague artigianale italiana e tra i primi a sorgere sul territorio toscano all’inizio del nuovo millennio (2003). Lo spazio è ampio, vivace, sempre affollato soprattutto da ragazzi, dominato all’ingresso dal bancone centrale dove sorgono le spine dell’impianto in rame, esclusivamente dedicate alle produzioni del birrificio, e il forno a legna capace di sfamare fino a tarda notte avventori di ogni tipo, turisti, comitive fiorentine e straniere, in un vortice di chiacchiere e allegria. Anche se ci si ferma qui per caso, per una sosta veloce, se ne esce comunque con il ricordo di una bevuta semplice ma incisiva, come quella lasciata dalla pils Pepita, fresca e cristallina, dalla suadente bock Volpe e dalla dry stout Black Doll.
Una volta fuori basta prendere via Faenza e dirigersi verso il mercato di San Lorenzo per raggiungere il Brewdog Firenze. Una volta entrati si ha l’impressione buttando l’occhio sull’offerta birre, di essere tra il locale “meno Brewdog” rispetto agli altri fratelli, pur essendo stato il primo in Italia (2014). Si respira infatti una spiccata personalità e un’identità chiara, oltre i dettami del franchising di una rivoluzione, oggi diventata impero, partita da Aberdeen, Scozia. Infatti, se il cinquanta per cento delle vie, 16 totali, è dedicata alle creazioni di Watt e Dickie, l’altra metà del cartellone presenta sempre proposte interessanti, equamente divise tra nazionali e fuori confine (Spagna e Inghilterra soprattutto), senza considerare le cinquanta referenze in frigo tra lattine e bottiglie. A volte il rischio di pagare nella pinta un servizio uniformato agli stili e alle caratteristiche del marchio scozzese è dietro l’angolo, ma niente che freni la sete di un appassionato che qui è ripagato anche con un calendario di iniziative tambureggiante curato dal publican Lapo Ricci: tap takeover con birrai stranieri e italiani, fanno del Brewdog un punto di riferimento imprescindibile per gli amanti della buona birra. Dalla cucina escono piatti facili, riempitivi, e non mancano tra le righe delle proposte audaci di abbinamento tra cocktail e luppoli.
Dopo aver costeggiato la basilica di Santa Maria Novella, e aver imboccato via del Palazzuolo, troveremo il riconoscibile drappello di allegri bevitori sull’esterno che ci segnala l’arrivo al Public House 27. I toni dark del passato sono oggi coperti da un look più moderno e luminoso, così come la proposta al bancone, attualizzata con proposte craft. Non cambia invece la colonna sonora tipicamente rock, i trofei di caccia, i poster cinematografici, e il clima accogliente e spensierato da vero pub di quartiere: in un angolo si gioca a freccette, mentre qualcuno segue il calcio su uno sgabello, ragazze confabulano ad un tavolo. Il bancone è subito lì, all’ingresso, pronto a servire birra e a sparare shot e cocktail. Un locale che ha giocato da protagonista gli ultimi dieci anni partendo nel 2007 con una proposta tutta industriale, ma avvicendando anno dopo anno le spine con una scelta più variegata che oggi conta sette vie dedicate alla produzione artigianale sulle tredici totali. Public House offre anche una propria etichetta, la Ifix Tcen Tcen, una IPA brassata in collaborazione con L’Olmaia. Pochi passi più avanti, su via della Scala, c’è il Joshua Tree, un pub storico con un’offerta recentemente ampliata e che ha letteralmente diviso a metà il bancone: tra il blocco solido di birre industriali e otto vie dedicate alla produzione artigianale. Servizio cortese, arredi in legno, playlist valida, offerta di cucina semplice, atmosfera calda e accogliente, creano l’ambiente giusto per chi vuole vivere un’esperienza da pub di altri tempi, affidandosi ad una proposta limitata che ha comunque il merito di essere attenta al territorio.