AbbinamentiBirra in tavola

Lampredotto, che passione!

Frattaglie. Una di quelle parole che evoca rimasugli malconci di poco o nessun valore: scarti inutili, resti esigui, poveri, di qualcosa di meglio che non c’è più. Occhio, però, perché se si parla di cucina la situazione finisce per capovolgersi, visto che una nutrita platea, al contrario, inserisce questo “scarto” nel pantheon delle leccornie. In Toscana, poi, ce ne son di quelle che, nel culto dei golosi, occupano altezze degne – fossimo nell’antico Egitto – di un’Iside e di un Osiride. Basta passeggiare per le strade di Firenze ed è facile rendersi conto di quanto una di quelle interiora abbia status di autentica gloria locale.

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Parliamo del lampredotto, tipicità che merita simpatia già per la genesi del nome, che contiene in sé una decisa propensione a fuorviare l’ascoltatore, essendo stato battezzato con il diminutivo di un pesce. Si tratta infatti della lavorazione di uno dei quattro stomaci dei bovini, l’abomàso, eppure lo si conosce con quello che è un diminutivo di lampreda: vertebrato primitivo simile all’anguilla (un tempo molto diffuso in Arno) di cui ricorda le forme, per la precisione quelle della bocca. E poi, a costruire l’appeal così particolare del lampredotto – tra il bohemien, il radical chic e il genuinamente ruspante – c’è tutta la colorita ritualità del suo consumo legata all’acquistarlo e all’addentarlo al volo, lungo una via o a un angolo di piazza, di fronte a uno dei tanti chioschi ambulanti (i lampredottài).

Come si mangia il lampredotto? Dopo averlo cotto a lungo in acqua con pomodoro, cipolla, prezzemolo e sedano viene tagliato e servito condito da salsa verde, magari con aggiunta di piccante; oppure – ed è il protocollo più amato – fatto a striscioline con cui imbottire un panino (di regola il “semelle”, una tipologia toscana a impasto salato) la cui parte superiore viene, facoltativamente, inzuppata nello stesso brodo di cottura: è norma infatti che chi lo serve domandi: “bagnato?”. Assai votate, poi, sono anche le versioni in umido, o con i porri, o ancora “in zimino”, ovvero con bietola o cavolo nero.

Birra & Lampredotto

E insomma, allo stringere del nodo, volendo abbinare a questo “umile pasto da Re” una birra, dove cadrà la nostra scelta? Vediamo un po’. Partendo dalla materia prima, occorre dire che l’abomàso bovino alla base della ricetta ha una duplice composizione: consta di una parte magra, la gala (caratterizzata da piccolo creste, dette gale appunto), di color violaceo e dal gusto deciso; e di una più grassa, la spannocchia, dalla tinta più tenue e dai sapori più pastosi. Sotto il profilo dei fondamentali nutritivi, su 100 grammi di prodotto se ne contano 16 di proteine, 4 di carboidrati e 5 di grassi. Nell’insieme, il temperamento è morbido: lipidico neanche troppo, ma dalla buona strutturazione materiale, data la forte quota protidica; e, nella versione-bollito, senza guarnizione di sorta (se non magari un poco d’olio), risultano assenti picchi di sapidità che impediscano accostamenti con birre dal palato a inclinazione luppolata: le quali, anzi, nell’abbraccio reciproco orientano la percezione globale verso un abboccato-amaricante nel complesso piuttosto piacevole. E quindi potremo spaziare da basse fermentazioni di buon corpo, più o meno decisamente hopped, quali Braveheart (targata Almond-Foglie d’Erba) o Porpora (Lambrate), a tutto un florilegio di alte fermentazioni, a partire da qualcuna tra le gettonatissime Apa, Ipa e territori limitrofi: Golosa o Verguenza di casa Menaresta; Wild Boar o Axe Edge di Buxton; Amber Ale di Maltus Faber o Torpedo di Sierra Nevada (per citare solo una delle etichette di genere nel catalogo della brewery californiana). Ovvio che se, invece, si opta per un’elaborazione anche solo appena più complessa (dalla semplice aggiunta di salsa verde a quella del pane salato, fino a cotture in sughetti a base di pomodoro) ma tale comunque da spostare il baricentro sensoriale in direzione di una maggiore sapidità, allora si dovrà proporzionalmente arretrare la “linea del fronte” delle amaricature dirottando verso stili più maltati: una rustica Zwickel (la Ungespundet-hefetrüb di Mahrs), una tornita Bock (la Bergbock Hell di Andechs), una fruttata Belgian Ale (la Blond del già citato Maltus Faber).

lampredotto.preparazioneLampredotto in zimino. Qui entra in campo un sughetto, così congegnato. Bietola lessata e ridotta in fettucce grossolane, insaporita in padella con aglio e olio; in una seconda padella il lampredotto, anch’esso tagliato a strisce, viene unito a un fondo già rosolato di olio, altro aglio, più prezzemolo e peperoncino. Su entrambi i fuochi si fa insaporire il giusto, poi si assemblano i rispettivi contenuti, aggiungendo pomodori, sale e pepe, per completare la cottura in una mezz’oretta. Alle morbidezze della carne, dunque, si affiancano aromaticità, spezie puntute, componenti grasse e dolci-acidule. Quale immagine balza alla mente? A patto di non usare la mano pesante con la saliera nella fase finale (andrebbe a “provocare” l’amaricante della birra: questo l’unica accortezza da tenere d’occhio), l’etichetta che si delinea è quella di una birra asciutta in grado di ripulire la pinguedine del piatto, con tratti acidi essa stessa a elidere quelli che trova nel boccone, e ancora dotata di strutture corporee e aromatico-speziate assolutamente in grado di tenere un dialogo tra pari con quelle della pietanza, come, ad esempio, la Wallonië di Extraomnes.

Semelle con lampredotto e salsa verde. Del pane, che è salato, abbiam già detto. Si cala poi il “carico” della salsa verde: ovvero un concentrato di capperi, cipollina, aglio, salvia, basilico, prezzemolo, limone, sale e pepe, con olio d’oliva ad amalgamare. Insomma, un bel crogiolo di intensità gusto-olfattive che, a naso, si traducono in una richiesta – in ordine alla birra da accompagnare – di note acidule o addirittura “wild”, incassate in un esoscheletro di sufficienti abboccature ed evitando rischi amaricanti. E allora, facendo perno sul richiamo consanguineo del citrico, puntiamo su una Oude Gueuze: Drie Fonteinen o Hanssens, ad esempio.

Dove mangiarlo: trippai a Firenze

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Chioschino generalmente mobile – ma fermo da tempo immemore – piazzato in strada, prezzi popolari, consumo in piedi, l’umanità più varia che attende paziente in fila: per chi si trovasse a Firenze impossibile mancare l’appuntamento con i “trippai”, veri custodi della tradizione gastronomica gigliata. Ecco alcuni indirizzi da non perdere:

Mario Albergucci
Piazzale di Porta Romana

Sergio e Pier Paolo
Via de’ Macci (angolo P.zza Sant’Ambrogio)

Il Trippaio di Gavinana
Piazza del Bandino

Nerbone
Mercato Centrale di San Lorenzo

Marco Bolognesi
Via Gioberti (Piazza Beccaria)

Orazio Nencioni
Piazza del Mercato Nuovo (Loggia del Porcellino)

Ricetta

LAMPREDOTTO IN ZIMINO
di Luca Cai

luca caiIl termine “zimino” è classico della cucina toscana e si riferisce ad una preparazione in umido con aggiunta di bietole e spinaci, o anche erbe di campo: tradizionalmente viene con il pesce, come il famosissimo baccalà in zimino, ma anche le frattaglie sono ottime se accompagnate da questo condimento. In zimino si può in realtà fare un po’ tutto, ma l’utilizzo del lampredotto è in grado di regalare un piatto dal sapore davvero unico.

Ingredienti
Olio extravergine, Burro, Prezzemolo, Aglio, Bietole in foglia, 800 gr di lampredotto, 4 pomodori maturi, ½ litro di brodo vegetale, sale, pepe, peperoncino.

Procedimento
Fate rosolare in 4 cucchiai di olio extra vergine uno spicchio d’aglio, un ciuffo di prezzemolo lavato e tritato e un po’ di peperoncino. Prima che l’aglio prenda colore aggiungete il lampredotto (precedentemente cotto) tagliato a quadrelli della grandezza di un boccone: girate continuamente affinché non si attacchi e bagnate con il brodo. Fate cuocere a fuoco lento per circa 5 minuti, quindi aggiungete i pomodori, salate e pepate a piacere. Lasciate andare il lampredotto ancora per 10 minuti, sempre girando spesso. Intanto, a parte, saltate in padella a fuoco vivo le foglie di bietola e spinaci con uno spicchio di aglio e una noce di burro, per circa 5 minuti. Nel piatto servite il lampredotto sul letto di erbe o, in alternativa, potete aggiungere le erbe saltate nella fase finale di cottura del lampredotto e servire tutto insieme Ovviamente accompagnato da un paio di fette di pane toscano, magari abbrustolite: la scarpetta finale è inevitabile!