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Fare la birra in casa: conoscere la maltazione

Chi produce birra in casa è ben conscio del laborioso procedimento che lo attende durante la giornata produttiva: ammostamento, filtratura, bollitura, lavaggi ecc.. Ma dietro alle materie prime spesso vi sono processi altrettanto impegnativi, spesso al di fuori della portata hobbystica. L’ammostamento è solamente una piccola parte di quel procedimento che permette di sciogliere lo zucchero contenuto nell’orzo in acqua ottenendo il prezioso mosto. E’ la punta dell’iceberg, l’ultima di lunghe reazioni biochimiche il cui controllo viene chiamato maltazione.

Molti cereali possono venire facilmente maltati, ma solamente l’orzo possiede quelle caratteristiche organolettiche superiori necessarie alla produzione di birra. Il chicco d’orzo maturo, raccolto e stoccato in grandi silos, è un piccolo serbatoio di sostanze nutritive e enzimi. Lo scopo perseguito, comune alla malteria e al birraio, consiste di utilizzare gli enzimi in maniera controllata per trasformare le grosse riserve di amido in zuccheri per la fermentazione. Le riserve servono all’orzo per germogliare, per cui la chiave del procedimento consiste nel monitorare l’evoluzione di modo da interromperla prima che l’embirone intacchi sensibilmente queste riserve energetiche.

L’acqua, come nell’ammostamento, è il mezzo fondamentale grazie al quale possono avvenire tutte le reazioni enzimatiche necessarie. L’orzo viene idratato con tempistiche ben definite, il chicco si idrata velocemente, l’embrione all’interno inizia una fase di respirazione che prevede il consumo di riserve energetiche.

A questo punto inizia la fase di germinazione. In ambiente umido e caldo, l’embrione si sviluppa creando gli enzimi (tra cui le amilasi, che andremo ad utilizzare anche in ammostamento) che servono per scomporre le lunghe catene di amido immagazzinato nel chicco e le pareti dell’endosperma, che lo avvolgono. Durante questa fase l’embrione è vivo e respira, consumando una parte degli zuccheri. E’ importante perciò il controllo da parte della malteria per massimizzare il procedimento in rapporto ai carboidrati utilizzati. Dopo un breve periodo il processo raggiunge il suo apice, l’amido è perlopiù degradato in catene più corte e lo sviluppo si può interrompere. I fattori che determinano il momento adatto sono molti, la presenza di zuccheri o il quantitativo proteico libero per esempio, ma solitamente sono tutti valori pressoché corretti nel momento in cui all’esterno del chicco di malto si è sviluppata una radichetta la cui lunghezza è quasi la medesima del chicco stesso.

Per interrompere lo sviluppo, la tecnica adottata è l’essicazione. Tramite il calore, si rimuove l’acqua dall’orzo interrompendone la crescita e bloccando ogni azione enzimatica. Solamente gli enzimi più resistenti supereranno questa fase, e solo per i malti piu chiari, i cosiddetti malti base (pale, pils e parzialmente monaco e vienna). Gli altri ne saran privi, tuttavia adotteranno delle caratteristiche aromatiche o coloranti assolutamente uniche, in grado di dare al birraio la capacita di creare note colorate o profumate caratteristiche degli stili ambrati o scuri. Grossolanamente possiamo distinguere in due grandi famiglie i malti speciali: i caramellati e i tostati. I primi sono più chiari, hanno caratteristiche di caramello, biscotto e zucchero, sono tostati a temperature elevate, ma non estreme, e conservano ancora una discreta dose di estratto. I secondi invece sono spesso tostati, bruciati, anneriti, sono indispensabili per le birre scure e hanno le caratteristiche note di caffé, di cacao, di affumicato.

A questo punto, il malto raffreddato viene lasciato maturare per almeno un mese, quindi stoccato in silos o in sacchi pronti ad essere utilizzati dai birrai, che con un arcobaleno di tecniche naif svilupperanno la punta dell’iceberg, estraendo l’amato mosto.