I vantaggi del mashing ripetuto
Un articolo di BYO che ha suscitato minore curiosità (e nessuna polemica), ma che per me è stato interessante, riguarda il “reiterated mashing” (vedi numero di BYO di Dicembre 2007).
Prima di esaminare l’idea alla base dell’articolo, vediamo di inquadrare il problema: quello di produrre birre (all grain) di alta gradazione, ovvero mosti ad alto contenuto zuccherino. Escludendo l’uso di estratti e zuccheri e tecniche di concentrazione per congelamento come nelle eisbock, le strade sono essenzialmente due: quella di effettuare un mashing e sparging normale, con le usuali quantità di acqua (o ridotte di poco), per poi effettuare una bollitura prolungata, anche di diverse ore; oppure quella di effettuare uno sparging ridotto o anche inesistente, a vantaggio della praticità ma a scapito dell’efficienza – con una grande quantità di zuccheri rimasti nelle trebbie. Una variante di questo metodo, di interesse sia pratico che storico, è quella di usare solo il mosto così ottenuto per una birra forte, poi effettuare comunque un risciacquo e destinare il secondo mosto più debole e acquoso alla produzione separata di una birra più leggera.
L’articolo di Chris Colby propone un metodo diverso, che si può sintetizzare in questo modo:
– impiegare metà dei grani previsti, effettuando un mashing e uno sparging (con le tecniche preferite) con le proporzioni di acqua abituali;
– riutilizzare il mosto così ottenuto al posto dell’acqua per il successivo mashing e sparging della seconda metà del malto.
In questo modo si otterrà una quantità di mosto ridotta rispetto ad un mash/sparge classico (perché l’acqua utilizzata è ovviamente minore) e quindi più concentrato, ma senza la perdita di efficienza di un metodo no-sparge. Ad una prima lettura ho avuto qualche perplessità: succede spesso di avere idee apparentemente geniali per poi accorgersi, conti alla mano, che il nuovo metodo equivale esattamente a quelli conosciuti. Mi è capitato ad esempio di pensare di poter fare il secondo risciacquo di un batch sparge riutilizzando lo stesso primo mosto raccolto… per poi realizzare che il processo sarebbe stato del tutto ininfluente: sciacquando i grani impregnati di un mosto ad un a certa concentrazione zuccherina con altro mosto della stessa gradazione non guadagno assolutamente nulla!
In questo caso un piccolo “esperimento mentale” mi ha convinto che il metodo “reiterato”, pur non riuscendo probabilmente ad ottenere allo stesso tempo la stessa concentrazione di un no-sparge e l’efficienza di uno sparge classico, riesce a far ottenere un risultato non conseguibile con gli altri due metodi.
Supponiamo per semplicità di operare in ogni caso con un no-sparge, nel senso di applicare a seconda dei casi le quantità di acqua previste, ma aggiungendo subito dopo il mash tutta l’acqua dello sparge. Per semplificare consideriamo il processo come una semplice infusione e diluizione nel mosto degli zuccheri ottenuti dal malto. Sotto questo punto di vista, l’efficienza dipende essenzialmente dagli zuccheri lasciati nelle trebbie (se perdo nelle trebbie il 20% degli zuccheri, la mia efficienza è dell’80%), e dato che la quantità di mosto perso a parità di trebbie è la stessa, il risultato è che l’efficienza dipende dalla densità di zuccheri del mosto rimasto nelle trebbie.
Esaminiamo le tre situazioni (le cifre sono solo una aprossimazione):
1) mash/sparge con quantità standard, esempio 8 kg di mosto con 48 litri totali di acqua, circa 40 litri prodotti ad OG “bassa” (esempio 1050); volendo ottenere una OG “alta” dovrò poi bollire per diverse ore, fino a ridurre i litri a 20 con gradazione raddoppiata (1100)
2) mash/sparge “ristretto” (in pratica senza aggiunta di acqua dopo il mash): esempio 10 Kg di malto, 30 litri di acqua, ottengo subito 20 litri a gravità “alta” desiderata (circa 1100)
3) mash reiterato: primo mash (con aggiunta di acqua), con malto e acqua dimezzati rispetto al caso 1) (quindi stesse proporzioni); 4 kg di malto 24 litri di acqua usata, 20 litri di mosto ottenuto a gravità “bassa”; utilizzo questo mosto totalmente per fare il mash degli altri 4 kg (quindi anche in questo con una diluizione standard), ottenendo alla fine un mosto di gradazione “alta”.
Calcoliamo ora gli zuccheri “dimenticati” nelle trebbie. Nel primo caso tutti gli 8 Kg di trebbie contengono mosto a gradazione “bassa”. Nel caso 2) tutte le trebbie sono invece inzuppate di mosto a densità “alta”, circa doppia, e quindi l’efficienza è decisamente minore. Nel caso 3), invece, metà delle trebbie (quelle del primo mash) contengono mosto a bassa gradazione, e solo l’altra metà mosto ad alta gradazione. E’ quindi evidente che pur non raggiungendo l’efficienza del metodo 1), essa è senz’altro maggiore rispetto al 2), con il vantaggio rispetto all’1) di non avere la necessità di una interminabile bollitura – a spese naturalmente del tempo impiegato per effettuare due mash concecutivi. Oltre a poter rappresentare un buon compromesso sotto questo aspetto, il metodo è anche molto utile per chi abbia delle limitazioni nella capienza del proprio mash tun.
L’articolo di BYO (integrato da un altro articolo in un numero successivo) specifica altri dettagli su quantità e procedimento: nello specifico, l’autore effettua un quasi-no-sparge (non inteso nel senso di utilizzare solo la poca acqua necessaria al mash, ma nel senso di aggiungere dopo il mash quasi tutto il resto dell’acqua prevista) ma direi che il metodo si può adattare a qualsiasi metodo di “raccolta” (sparge classico, batch sparge..), il concetto base è semplicemente quello di riutilizzare tutto il mosto raccolto per una successivo ciclo mash/sparge con l’altra metà dei grani. Mi viene in mente che un batch sparge aprirebbe varie altre possibilità e combinazioni, come riutilizzare separatamente i due volumi ottenuti, uno come “acqua” per il secondo mash e l’altro per il secondo sparge…
Utili anche altre indicazioni, come l’omissione del mash out alla fine della prima fase (in modo da non disattivare gli enzimi, che potrebbero esser utili per il secondo mash), e la necessità di prolungare la durata del secondo mash a causa di una saccarificazione che potrebbe essere più lenta. Gli articoli inoltre descrivono anche il procedimento per un triplo mash ripetuto.
Cercando di analizzare i risultati di questo processo, c’è da dire che fin qui abbiamo schematizzato tutto considerando solo gli aspetti di semplice “diluizione” degli zuccheri e risciacquo delle trebbie, dando per scontato che la saccarificazione avvenga allo stesso modo se il malto è infuso in acqua oppure mosto; intuitivamente penserei che il processo con infusione nel mosto possa essere in parte inibito, d’altra parte si possono tentare considerazioni sugli enzimi (più concentrati nel secondo mash, visto che si sommano i residui del primo con quelli del malto impiegato per il secondo) e di pH che potrebbero addirittura favorire la saccarificazione stessa.
Aggiungo qualche considerazione storica. L’idea dell’articolo è secondo me ottima ma non del tutto nuova. Nel il mio articolo sull’ultimo numero di UBnews, che richiama a sua volta articoli precedenti su due libri del CAMRA che ricostruiscono storia e antiche ricette di Porter e India Pale Ale, sottolineavo un particolare da me riscontrato in diverse ricette storiche: la tecnica cioè di riutilizzare il debole mosto proveniente dal secondo “risciacquo” delle trebbie, quale “Liquor”, cioè liquido per il mashing di una birra successiva – concetto insomma molto affine a quello proposto dall’articolo di BYO. Ricordo anche di aver letto anni fa qualcosa di molto simile riguardo alla produzione della Samichlaus (storica lager fra le più forti in assoluto, circa 14% di alcool), per la quale si utilizzerebbe durante il mashing non acqua ma mosto preparato da una infusione precedente.
In effetti lo stesso Cosby ha precisato che la sua idea non è nata dal nulla ma è ispirata dalla lettura di altre fonti, tra le quali appunto il metodo di produzione della Samichlaus. Insomma, a quanto pare l’arte della birrificazione prevede spesso il riciclo, non solo del mosto ma anche… delle idee!
di Max Faraggi