I nuovi mostri, ecco le creature pericolose che si aggirano nel mondo della birra
Drogati cacciatori di acido, instancabili sniffatori di luppoli, rater ossessivo compulsivi! Vi presentiamo alcuni soggetti “pericolosi” che si aggirano nel nostro mondo, riproponendo un vecchio post, aggiornato con qualche nuovo “mostro” che nel frattempo si è aggiunto alla già nutrita lista…
Il successo che in questi anni sta avendo la birra artigianale, italiana e non, ha creato una schiera di consumatori definiti “consapevoli”. Benissimo! Alcuni di questi, purtroppo, si stanno trasformando in macchiette, inconsapevoli della loro valenza quasi ecologica. Cercherò di descriverli, con un “disclaimer” iniziale. Se qualcuno dovesse riconoscersi in alcuni tratti, sappiate che ogni riferimenti a persone o a fatti realmente accaduti non è puramente casuale…
Checciaidinuovo?
E’ l’incubo dei publican. Entra nel locale dirigendosi senza salutare verso la lavagna dove sono elencate le 25 spine e le 7 pompe. Gli basta un occhiata, vive di memoria visiva. Il suo viso quasi sempre si contorce in una smorfia di dolore mista a disapprovazione quando realizza che le 32 linee non saziano la sua brama di novità. La pressione psicologica che trasmette intorno a se è devastante tanto da costringere il malcapitato barista a partire con il suo Doblò alla caccia di Imperial Wit al Krill e Double Quadrupel con torrone. La più grande disgrazia che possa accadergli e trovare una birra che veramente gli piaccia.
IL pH-Metro
La sua passione per la birra è cominciata in modo normale. Fino al giorno in cui ha incontrato il “guru” (come lui lo chiama). A quel punto gli è partita la “scimmia” (come lui la chiama) per le birre acide. Lo riconoscerete dallo smalto dei denti consunto e dai sintomi di diabete mellito fulminante se gli fate assaggiare una birra di Natale. È diventato l’incubo persino del suo guru che non riesce a trovare birre abbastanza acide per lui. Non fategli condire l’insalata.
L’ottocentocinquantasettesimo birrificio
Si aggira per i birrifici più noti fissando appuntamenti di cortesia e spacciandosi per un grande fan della birra artigianale. E veramente lo è! Tanto che la sua passione lo ha portato a partorire la malsana idea di aprire un birrificio tutto suo. Dopo le prime domande, generiche ed inoffensive, sui tempi di fermentazione di una birra e sui fornitori di luppolo australiano, diventerà sempre più ficcante e stringente interrogando il malcapitato futuro (?) collega sulla grandezza della cella fredda, sui metri cubi di gas necessari per una cotta , sui regimi di accisa e sui materiali delle piastrelle. La visita si conclude di solito con offerte di lavoro per i tutti i collaboratori del birrificio e per i passanti.
Il nostalgico
Spesso è un po’ avanti con gli anni, anche se ne esistono di esemplari giovanissimi. Il più attempato rimpiange i grandi classici che, a suo dire, sarebbero stravolti rispetto alla sua giovinezza: “eh… la Pilsner Urquell non è più amara!”; “la Duvel è un po’ etilica da un po’ di anni…”; “una volta la Salvator era una grandissima birra!”. Non contradditelo, a volte ha persino ragione. Ma per carità, non unitevi al suo piagnucolare: dichiarereste solo la vostra età. Il più giovane ha ovviamente bersagli più ravvicinati. Ma, se possibile, è più martellante. Beve un’unica birra per poter dire ogni volta che sta cambiando, in peggio, ovviamente. È l’incubo dei mastri birrai meno esperti, ai quali il contatto prolungato o regolare con questi personaggi provoca episodi di colite spastica.
Il rater stipendiato
In realtà ha sempre avuto questo difetto. Appena ordinava un birra era sempre con l’applicazione aperta pronto a fissare numerini ed elargire pallini a seconda del proprio gusto o simpatie. Ora dopo anni di tentativi è riuscito nell’intento di aggiungere al suo curriculum birrario tre magiche letterine : PRO. Cioè, ha trovato l’ottocentocinquantottesimo birrificio che spera gli piazzi un po’ di cartoni tra parenti, amici ed affini. Come meglio agevolare il proprio lavoro se non inondando di tantissime stellette e recensioni mirabolanti le birre che gli fanno sbarcare il lunario? Del resto l’ha sempre fatto, no?
Indiana Jones
È alla ricerca della “chicca”, della chimera, dell’arca perduta, dell’araba fenice, insomma della birra introvabile. Lo vedrete annoiato mentre sfoglia, svogliato, liste enciclopediche. “Tutte le trappiste, anche le Westvleteren? bah…”; “Real Ales direttamente dal cask? Banale!”; “Verticale di Thomas Hardy’s? Già visto”. Lui è a caccia del Sacro Graal. Birre sconosciute ai più, meglio se di birrerie defunte. Birre ai funghi giapponesi, o cuvée particolari prodotte per il matrimonio del birraio. Quelle cerca. Non importa l’aspetto gustativo in questi casi. Quando finalmente trova una di queste rarità; mentre beve troverete sul suo volto l’espressione di chi sta violando la camera della morte di una piramide egiziana.
L’homebrewer
Un altro esemplare con un rapporto particolare con la birra che ha nel bicchiere. Se gli piace molto si arrovella perché non l’ha fatta lui. Se non gli piace gongola pensando alle sue produzioni. Il suo primo obbiettivo comunque rimane quello di carpire i processi produttivi e i “segreti” del birraio. Beve pensando a luppoli, step di mashing e controflussi. Il massimo è sgattaloiare in sala cottura e perdersi tra whirpool e scambiatori di calore. A volte tenta la violazione del segreto industriale. Esiste la leggenda metropolitana di un homebrewer che avrebbe fotografato la ricetta di una importante birra trappista.
Il collezionista
Vaga per improbabili birrifici della provincia novarese o della campagna polacca alla caccia indefessa di coasters, labels, cans, come li chiama lui (sarebbero sottobicchieri, etichette e lattine). Mantiene contatti planetari con i suoi omologhi neozelandesi e canadesi, bruciando carnet internazionali come una piccola ditta import-export. Si è inserito nel fenomeno della birra artigianale italiana come un’ape sul miele, diventando in poco tempo l’incubo di spillatori e magazzinieri. Inutile dire che dovendo scegliere, per assurdo, se acquistare una grandissima birra o una rara stout africana, non avrebbe dubbi.
Il tifoso
Vive il suo birrificio preferito come la sua squadra del cuore. Segue quindi tutte le partite in casa (è in prima fila alle presentazione di nuove birre) ed accompagna la squadra in trasferta (presidia attento i dintorni della postazione in fiere e degustazioni). Non portatelo a vedere squadre diverse, si annoia e diventa petulante (nessuna birra di un birraio “avversario” potrà mai soddisfarlo).
Lo stagista
Alti apprendistati, Università delle birre, Centri di ricerca birraria. Ogni quadrimestre una nuova sfornata di braccia rubate ai pentoloni della cucina di casa. Ma non alle tonnellate di trebbie da spalare, alle migliaia di cartoni da assemblare , alle centinaia di bancali da scaricare ringraziando il birrificio per l’opportunità concessa. Persino il nome è un optional: stagista 1, stagista 2 e stagista 3.
I “meninos de rua”
Avete presente le gang dei ragazzini che, sniffando colla, terrorizzano i sobborghi delle città sudamericane uccidendo turisti per un dollaro? Immaginate allora dei gruppetti di ventenni che, potete comprendere con quale decennale esperienza, girano per pub e birrifici alla caccia di spillature errate e birre con microdifetti. Per poi tornare a casa da mammà e con pochi colpi di tastiera, emettere sentenze tombali su siti di rating, newsgroup e forum. Tranquilli… diventano meno pericolosi in corrispondenza dell’uscita dell’ultimo videogioco o quando mammà da un’occhiata al libretto universitario.