Matrimoni birrari: fiori di zucchina e Blanche dell’Abbaye des Rocs
Per godere dei piaceri della tavola, non è necessario imbandire un menu da “haute cuisine” e una bottiglia “da svenamento”. Basta apparecchiare la ricetta giusta (anche una “ricettina”, nel senso della facilità d’accesso) e accompagnarla col giusto bicchiere. Concetto scontato? Superlfuo? Vabbuo’, lo abbiamo ribadito: nella peggiore delle ipotesi, repetita iuvant. D’altra parte, la premessa ci stava, accingendosi a proporre una cenetta come quella di cui parliamo. Protagonisti, i fiori di zucchina. Frugali, semplici, senza velleità eccessive; eppure di una gradevolezza antologica. Buoni in tante versioni: fritti, certo, un “must”; e anche, appunto, ripieni. Nella fattispecie (le opzioni per costruire “l’anima” del saccottino sono plurime) arricchiti con una farcitura piuttosto semplice: ricotta, un pizzico di nepitella e una spolverata di noce moscata.
Preparazione idem assai abbordabile: giusto una leggera brunitura in teglia, per rendere croccante l’esterno dei golosi fagottini, con un velo d’olio e, volendo, una striatura di succo di pomodoro. Il gusto è delicato, con “note portanti” di timbro vegetale, speziato e balsamico (la mentolatura mista a lievi suggestioni citriche dell’erba aromatica qui utilizzata), amalgamate e “dilatate”, quasi elevate a potenza (almeno sotto il profilo della struttura complessiva), grazie alla paffutezza lattea della ricotta. Birra candidata all’abbinamento? Una Blanche – la “Des Honnelles”, etichetta storica della Brasserie de l’Abbaye des Rocs (Montignies-sur-Roc, provincia dell’Hainaut, Belgio Vallone) – che a sua volta ha architetture potenziate rispetto alla media dello stile, tanto da meritare, da parte di più di un osservatore, la qualifica di “Blanche Double”.
Dal nostro punto di vista, ha tutto, ma proprio tutto per sedere a questa mensa. Prodotta con malto d’orzo, più frumento e avena, risulta più morbida che acidula: di affilatezza ne ha giusto il necessario per supportare la propria effervescenza (e anche l’alcol dei suoi non disprezzabili 6 gradi) nell’indispensabile opera di detersione dei contenuti in grasso del nostro piatto (la ricotta ne ha quasi un 33%, poi c’è l’olio). Per il resto, si tratta di una Wit di rotondità, più che di “lama”; nelle cui corde troviamo biscotto, frutta bianca (banana e pera) ma ben matura, evidenze mielate e speziature oscillanti tra la dolcezza della cannella e le punture garbate del pepe. Elementi che – al netto della sottrazione di cui si è detto (“lipidi” meno “effetto sgrassante del sorso” uguale, grossomodo, zero) – inondano il cavo orale e le vie retronasali, trovando perfetta sintonia con le noce moscata e la nepitella messe in campo, per l’occasione, con la pietanza.
Per i curiosi: la Blanche si chiama “des Honnelles” in omaggio al lembo di territorio, situato nei pressi del birrificio, che risulta delimitato dal corso di due fiumi, la “Petite Honnelle” e la “Grande Honnelle”, appunto. Per i timorosi: tanta è la leggerezza – alla mandibola e all’ugola – della combinazione proposta, che, sì, esiste il rischio di farsi fuori una teglia intera di fiori ripieni e, di “Blanche del Honnelles”, qualche bottiglia.