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Ensemble d’autunno: prosciutto e fichi incontrano la Brown Ale

fichi-prosciuttoOltre che un classico della tavola italiana, il team prosciutto e fichi è anche una combinazione didattica, in qualche modo propedeutica a molta parte della teoria degli abbinamenti tra la cucina e la birra (o il vino). Nel senso che in questa portatavtroviamo uno di quegli esempio di contrasto armonico che sono alla base, appunto, della dottrina degli accostamenti: la giustapposizione tra il dolce e il salato.

Quest’ultimo contributo è ovviamente a carico del salume, sia esso di una varietà in cui la sapidità sia più spiccata (come il crudo toscano o di Norcia) oppure più contenuta (il Parma o il San Daniele). L’apporto zuccherino è invece compito spettante al frutto protagonista; uno dei primi attori – con le sue più di 700 qualità censite – delle diete tricolori autunnali e immeritevolmente indiziato di conferire contenuti calorici al limite, quando in realtà lo stesso zucchero medio messo in circolo (11 grammi per etto) è paragonabile, per dire, a quello delle assai meno sospette mele Golden (10,7) o Imperatore (11.3). Fornitore di fibre e antiossidanti (con le sue antocianine), il fico appaga e gratifica, soddisfa la gola e pesa assai meno di altre voci dell’almanacco culinario internazionale. E, nella fattispecie, ammansisce, compensandola, la veemenza saporita del prosciutto, gettando le basi per un connubio inossidabile.

Al quale cosa davvero vale la pena aggiungere, correndo magari il rischio di spostare equilibri tanto calibrati? Premesso che, dopo una gustosa masticazione, vale sempre la pena far seguire un buon bicchiere all’altezza, ecco che – secondo noi – quel bicchiere, trattandosi di pinte, dovrà appunto avere il pregio, non semplice, di evitare qualsiasi alterazione dei rapporti di forza già esistenti nel morso, introducendo anzi qualche valore aggiunto. Ecco, quest’ultimo potremmo andare a cercarlo nella capacità di procurare vibrazioni acidule (e, perché no, etiliche), atte a gestire – con lo stimolo alla salivazione – tanto la frazione grassa del maiale, quanto la densità glucidica del frutto partner; frutto di cui vorremmo, d’altra parte, assecondare le inclinazioni caramellate e le risonanze olfattive vagamente vegetali, occhieggianti, talvolta, al tabacco. Quale allora la birra candidata alla convocazione? La lancetta si orienta verso una Brown Ale, quanto più possibilmente convenzionale, sebbene anche versioni più marcatamente Usa (a patto di non perdere  mai di vista l’amaricante da luppolo) potrebbero non disdire. E per dare alcuni esempi del genere, volgiamo gli occhi prima sul mercato internazionale e poi su quello interno: all’estero le nomination sono per la Jackie Brown Mikkeller (6 gradi alcolici) e per la Nut Brown Ale di AleSmith (5.25); in casa, puntiamo sulla Vecchia Volpe di Valcavallina (5 gradi) e sulla Santa Giulia del Piccolo Birrificio Clandestino (6 gradi).