Dolomiti Beer Tour: un viaggio imperdibile nel Cadore
La montagna, per chi la guarda da fuori, da un imprecisato punto nello spazio e nell’anima, è qualcosa di immutabile, di statico, sempre uguale a se stessa. Eppure ci sono poche cose più sbagliate da intendere. Non ci sono due montagne realmente simili, come diverse sono le persone che le abitano, le ore di sole che il monte regala, il taglio del vento che attraversa le valli, le storie piccole che si dipanano e quella con la lettera maiuscola, che a volte passa e poi si fa desiderare per generazioni o secoli, persino. La montagna è spesso terra di confine, una porta chiusa oppure aperta che segna comunque un prima e un dopo, un di qua da quello che sta oltre. Così capita di incamminarsi lungo una strada tutto sommato breve, poche ore appena e di incontrare mondi paralleli, culture complementari dalle identità forti. Felici o decadenti, rampanti o resistenti. Ma pur sempre uniche e vive nell’abbraccio dei monti.

Questa volta amici birrovaghi, andiamo in Cadore e non solo. Infatti ho pensato per voi un itinerario ad anello che inizia e finisce sul bellissimo Lago di Auronzo, ma attraversa il confine tra le Dolomiti Bellunesi e quelle Friulane passando per borghi suggestivi, panorami mozzafiato, salite epiche e, naturalmente, birrifici. Il tutto, se ci fermiamo alle semplici notazioni stradali, dura solo tre ore, ma io vi consiglio di viverlo con la dovuta calma in un intero week end. Diciamo due notti e tre giorni. Vedrete che non ve ne pentirete.
Come spesso capita ci sono molti modi di affrontare un percorso ad anello non troppo lungo e sono tutti validi, dipende soprattutto da voi e dalla stagione che scegliete. Per inciso, escludendo forse il mese di novembre, ogni periodo dell’anno offre ricompense di grande fascino, da queste parti. Ad ogni buon conto le alternative più praticabili possono essere: in auto, avendo Auronzo come campo base. In bicicletta, facendo una tappa intermedia per un pernottamento, o in camper, se vi piace giocare con le stelle e vivere un’esperienza un poco più wild. In effetti, soprattutto durante l’estate non è da escludere neppure il trekking attraverso valli e passi alpini, considerando qualche giorno in più. Ma adesso basta tergiversare, en marche!
Immaginiamo di incontrarci tutti in una mattina di mezza estate, sulle rive di un lago azzurro, incoronato dai Cadini di Misurina e dal Monte Paterno, con Le Tre Cime di Lavaredo appena dietro, nascoste ma sempre presenti. Il punto di ritrovo potrebbe essere la cinquecentesca chiesetta di Santa Caterina, da cui deriva l’altro nome del Lago di Auronzo, perché qui termina la diga alta 55 metri che nel 1930 sbarrò il fiume Ansiei dando vita al bacino idrico. Come prima cosa andiamo ad esplorare il borgo di Auronzo, che negli ultimi vent’anni ha letteralmente scoperto una nuova identità. Non parlo di quella turistica, ma di quella storica. Alla fine del XX secolo infatti, grazie alla disponibilità del proprietario della casa Molin in via Tarin, sono state rinvenute strutture di età romana e da quel momento le scoperte si sono susseguite su tutto il territorio comunale arrivando a dimostrare come la val d’Ansiei fosse abitata sicuramente fin dal II secolo avanti Cristo. Di certo la costruzione nel I secolo dopo Cristo della via Claudia Augusta che collegava il Mar Adriatico al Danubio, passando anche dal Cadore, contribuì ulteriormente allo sviluppo urbano e commerciale del territorio. Sul monte Calvario, dietro la chiesa di Santa Giustina a Villagrande, è in corso di scavo uno dei siti archeologici più importanti del Veneto, un luogo di culto attivo dal II secolo a.c. al IV secolo d.c. Le iscrizioni ritrovate nel sito dimostrano inoltre l’uso della scrittura venetica almeno fino a tutto il I secolo d.c., quindi molto più tardi rispetto a quanto accaduto in pianura e stabiliscono un probabile collegamento con la nascita della scrittura runica. E non finisce qui: sono stati rinvenuti resti di vasellami in località che da tempo immemore sono protagoniste delle leggende locali che parlano di cimiteri pagani e, presso Malon (1300 metri s.l.m.), sono ancora visibili grandi muri a secco, a dominare le scarpate sottostanti. Ma la prova più suggestiva della presenza di una civiltà pre-romana è data dagli imponenti terrazzamenti (alti 3 metri), chiamati dai valligiani “i altare dei pagane”. Insomma tra natura, storia, architettura e aggiungo pure la cucina, di ragioni per venire in questo angolo di Cadore ce ne sono molte.

Ma adesso per noi è tempo di partire alla volta del primo birrificio di giornata, che si trova a mille metri di altitudine in località Presenaio, nel verde Comelico a due passi dal borgo duecentesco di San Pietro di Cadore, un tempo detto Oltrerino (Otarìn in dialetto), per via del torrente Rin che faceva da confine con il vicino comune di Santo Stefano. Sto parlando dell’Artigianale del Grillo. Per raggiungerlo basteranno circa venti minuti di auto, lungo la SS52, per passare poi alla SR355 a Santo Stefano di Cadore. Il Birrificio DEZ&DEB nasce nel 2007 grazie alla passione e all’impegno del fondatore e mastro birraio Luca De Zolt, figlio del celebre fondista Maurilio De Zolt, detto il “grillo”, che alla tenera età di 44 anni vinse l’oro olimpico a Lillehammer nel 1994 dopo una carriera già densa di successi. E proprio da qui arriva l’idea del brand “Artigianale del Grillo”. Ad oggi le referenze sono otto e prendono quasi tutte il nome da parole del ladino locale. Iniziamo con la ZD, birra allo Zafferano delle Dolomiti, un’interessante Ale da 6% vol., pulita e di ottima beva. Poi ci sono i cavalli di battaglia come la Parnei, Pils da 5% vol. (dal nome del Paese “Presenaio” ma anche la birra “Per noi”); la Weize Nei (5% vol.), weizen che gioca su quel “nei” che significa “nostra”; e la Piai, in onore del Piave, una speziata American Amber Ale da 6.5% vol., la cui base caratterizza anche la MC, Amber al miele di castagno. Chiudono la batteria quattro stagionali, la Par Nada’, robusta Strong Ale natalizia supportata da un’importante trama alcolica, la Comelgo, Pale Ale dedicata alle valli del Comelico, e le due ultime nate in birrificio: la Rada, realizzata per Birra de Belun, una Pils con resina estratta dagli alberi caduti nella tempesta Vaia (nota di merito) e un classico dell’autunno, la Birrzucca, con zucca varietà Caorera, in uscita proprio in queste settimane.

Terminata la degustazione si riparte lungo la SR355 e, dopo aver fatto una sosta per ammirare la Cascata di Acquatona, si raggiunge l’abitato di Sappada. Ci vogliono appena una decina di minuti. Il borgo, inserito nel prestigioso novero dei più belli d’Italia è davvero suggestivo, con le sue tradizionali case in legno e circondato da foreste di conifere, all’ombra del monte Peralba e delle altre vette delle Alpi Carniche. Siamo nei pressi del confine tra Friuli e Veneto, in una valle dove un migliaio di anni fa si trasferirono alcune famiglie dall’Austria e successivamente dalla Val Pusteria, per coltivare la terra e allevare bestiame. Un fatto notevole e decisamente curioso nella storia di Sappada è legato alla prima guerra mondiale, quando, a seguito della disfatta di Caporetto, il paese fu evacuato, anche a causa del sospetto serpeggiante sulle possibili simpatie filo austriache della popolazione. La quasi totalità della popolazione fu spostata in Toscana, così come la sede del Comune, che per due anni, dal 1917 al 1919, fu posta ad Arezzo.

Lasciata Sappada, si prosegue sempre lungo la SR355 per circa mezz’ora fino a Comeglians, da cui si imbocca la Strada Provinciale 465 fino al ponte sul torrente But e da lì si raggiunge Sutrio, sede del nostro secondo Birrificio. Prima di immergerci nella nostra bevanda preferita tuttavia, da appassionato di ciclismo quale sono, non posso tralasciare il fatto che proprio da Sutrio inizia la salita per il mitico Monte Zoncolan (1750 metri slm), frequentato dalle due ruote che contano fin dal 1997, anno del primo passaggio da parte del Giro d’Italia femminile, con la vittoria della grande Fabiana Luperini in Maglia Rosa. Lo Zoncolan non è una montagna epica né per altitudine né per impatto visivo, eppure la sua conformazione offre tracciati che sono entrati di diritto nella leggenda dello sport. Per la rubrica “non tutti sanno che” aggiungo che l’ascesa dal versante di Sutrio, pur vantando una pendenza media del 13% negli ultimi tre chilometri, con punte del 23%, non è in realtà la salita più dura. Quella affrontata a partire da Ovaro infatti è più breve ma nel complesso più impegnativa, con una pendenza media del 11.9% che si alza al 15% con punte del 22%, dopo circa due chilometri quando si incontra la frazione di Liaris. Il Giro d’Italia è passato su questo incredibile nastro d’asfalto la prima volta nel 2007, con la tappa iniziata a Lienz e la vittoria di Gilberto Simoni che quattro anni prima aveva conquistato anche il versante di Sutrio, vincendo la classifica finale del Giro per la seconda volta. Chiusa la parentesi ciclistica andiamo a far visita al Bondai, microbirrificio di montagna creato in piena pandemia. L’apertura è infatti datata 14 febbraio 2020, e vede come artefici il trevigiano Luca Dalla Torre e Arianna Matiz, coppia animata dalla voglia di raccontare territorio, tradizioni, stili e linguaggi. Lo stesso nome scelto per il progetto è un intreccio tra la celebre Bondai Beach di Sidney, dove i titolari si sono appassionati al mondo birrario durante un viaggio nel 2006 e l’intercalare dialettale “Bon, dai”. La produzione è collocata all’interno di un ex mobilificio ristrutturato per ospitare attività commerciali, in un crocevia tra l’ingresso di Sutrio e l’inizio della salita per lo Zoncolan e comprende anche una tap room realizzata in legno, con mescita alla spina e disponibilità di bottiglie da asporto.

In appena due anni di vita, il birrificio è già riuscito a farsi conoscere e apprezzare nel panorama brassicolo nazionale, grazie a birre di grande bevibilità ed equilibrio. Luca, che ha iniziato come moltissimi suoi colleghi da l’homebrewing, per poi formarsi anche grazie alle visite presso il vicino Birrificio Foglie d’Erba, segue pervicacemente l’idea che la birra più che stupire la si debba bere serenamente. Tra le tante referente in carta e collaborazioni cito con piacere subito la Pacific Lager Lamrock62 con luppoli Motueka e Nelson Sauvin, ricca al naso con sentori tropicali e agrumati e scorrevolissima in bocca. Molto buone anche la Heya, America Amber Ale da 5% vol., con note tostate di caramello, toffee e biscotto e la Beib, una German Pils da 4.6% vol. Da non perdere anche la Rauchbier Ben Fumade – il cui nome gioca sull’idiomatismo /Ben-fu-ma-de/ ovvero “Ben fumata”, “Hai fatto bene” – dal colore rosso intenso e utilizzo di malti affumicati con legno di faggio. Ma in quel di Sutrio sono attivi più fronti, quindi via libera alla Lost Paradise, godibilissima Berliner Weiss e alle referenze in abito scuro: la Porter Paura Paura (5% vol.) e l’Imperial Stout Perla (% vol.). Tra le collaborazioni riporto l’ultima in ordine di assaggio, la Lucy, interessante Sour Ipa realizzata col friulano Antikorpo. A questo punto è arrivato il momento di ripartire, ma i birrovaghi senza fretta possono approfittare della bellezza del luogo per concedersi una notte in più e godersi la zona in santa pace, magari con una bella gita mattutina sullo Zoncolan a piedi o in bici (o una sciata in inverno). Per quelli come me sempre in cerca dell’orizzonte oltre la prossima collina invece il richiamo della strada è troppo forte ed è impossibile indugiare oltre, ci saranno altre occasioni.
Percorriamo la SS52 che passa per Tolmezzo, cittadina che sorge ai piedi del Monte Strabut e si trova al centro delle sette valli carniche, di cui è considerato il capoluogo. Nell’antichità si trovava lungo la via Iulia Augusta, che conduceva in Austria. La prosperità della cittadina friulana, crebbe in epoca alto medievale grazie ai Patriarchi di Aquileia, i primi governatori, che fecero anche costruire un castello a protezione e per meglio controllare il traffico commerciale sul territorio. A quel tempo Tolmezzo era fortificata, ma le mura persero sostanzialmente di utilità quando venne invece annessa alla signoria di Venezia prima e al Regno d’Italia poi, nel 1866. Oggi sono ancora visibili i resti di quelle antiche fortificazioni nella zona del Borgàt, il centro storico. Del possente castello patriarcale invece rimangono solo poche tracce in zona Pracastello, ma salendo al pianoro che sovrasta la città è possibile godere di un panorama superbo, che spazia fino alle Dolomiti Friulane.

Rinfrancati dalle bellezze tolmezzine, proseguiamo il viaggio lungo la SS52 fino ad Ampezzo e da lì imbocchiamo la Provinciale 73 che conduce a Sauris, enclave germanofona nella Val Lumiei a circa 1200 metri slm, il cui nome in dialetto è Zahre. Leggenda vuole che il paese sia stato fondato nel trecento da due disertori, ma la storia propende per un più probabile flusso migratorio dalla Val Pusteria e da alcuni comuni della vicina Carizia austriaca. Tuttavia noi, oltreché per le incontrovertibili bellezze naturalistiche e antropologiche, siamo qua per altri degni motivi. Il primo non può che essere il maestoso prosciutto di Sauris, IGP dal 2009, che deve la sua unicità al particolare metodo di affumicatura, effettuato bruciando legno di faggio dei boschi locali nei tradizionali caminetti e convogliando il fumo nei locali destinati all’affumicatura. Ma, ça va san dire, a ruota c’è sempre la birra, bussola e cometa dei nostri viaggi. A Sauris si trova infatti il Birrificio Zahre, che ho il piacere di conoscere da molti anni. Il progetto nasce nel 1999 a Sauris di Sopra, 1400 metri di altitudine, con tutte le complicazioni del caso. Siamo di fronte a un vero e proprio birrificio della prima ora nella scena italiana, tra i primi anche a utilizzare malto da produzioni proprie. La spinta innovatrice di questa impresa familiare guidata da Sandro e Massimo Petris, la si vede anche nella capacità di coinvolgere la comunità e di impiegare ingredienti meno comuni all’epoca, come la canapa. Nel bicchiere troviamo birre pulite e piacevolmente rassicuranti, come la Pilsen da 5% vol., con orzo distico 100% local, la Ouber Zahre, APA da 6% vol. equilibrata e non troppo spinta sui luppoli e la Weiß, interpretazione ben eseguita dello stile weizen. Da citare anche la Canapa, uno dei cavalli di battaglia della casa, lager erbacea e leggera prodotta ovviamente con aggiunta di Canapa. Il birrificio è anche molto attivo nell’organizzazione di eventi ed esperienze e collabora, per gli alloggi, con l’Albergo Diffuso Sauris. Un motivo in più per visitare il borgo.

Riprendiamo ora la Strada Provinciale, tornando sui nostri passi fino ad Ampezzo e da lì proseguiamo lungo la SS52 fino a Forni di Sopra, ultima attesa tappa del nostro itinerario. Considerate circa 45 minuti di auto. Forni di Sopra, di probabile origine celtica, si trova nell’alta Valle del Tagliamento, al cuore delle Dolomiti Friulane ed è un borgo “leggero”, nel senso che le case sembrano essere ospiti di una natura cortese, benevola, ancorché mai facile. È un luogo di tempi lunghi e sguardi alti, i cui abitanti dormono sotto le splendide vette dolomitiche dei monti Cridola (2.581 m) e Monfalconi (2.548 m) a ovest, e Pramaggiore (2.478 m) a sud-ovest, a far da confine con l’alto pordenonese. Qui da generazioni si trova l’Hotel Cotòn, che ospita la storica pizzeria omonima, ove prese le mosse nel 2008 quello che sarebbe poi diventata una realtà di prima grandezza a livello nazionale: il Birrificio Foglie d’Erba del birraio e fondatore Gino Perissutti, “sperimentatore assennato”, classe 1972. Solo il chiaro riferimento ai versi di Walt Whitman basterebbe a descrivere la forza che muove questo progetto; Foglie d’Erba è probabilmente la silloge più importante del poeta statunitense, pubblicata nel 1855 e considerata la Bibbia Democratica americana. Le parole d’ordine del birrificio sono sempre più territorio e sostenibilità, che si traducono con un legame forte con la comunità, i prodotti e il lavoro. Non a caso, quando alcuni anni fa Gino ha spostato la sede, e ampliando la produzione, ha anche aperto uno spaccio aziendale nella medesima struttura, ristrutturando un edificio che ospitava una ex falegnameria e mantenendo il filo conduttore con l’anima del luogo in un modo molto speciale: l’acqua unica della sua montagna (che non è mai trattata) viene riscaldata mediante una caldaia che utilizza segatura delle vicine falegnamerie, abbattendo così drasticamente l’utilizzo del gas. Una cosa da non sottovalutare, specialmente di questi tempi. Il laboratorio si compone di una sala cottura con un tino di ammostamento e un tino di filtrazione tipo “Spadoni micro birreria MBS 2000”, da circa 27 hl, mentre in cantina trovano posto dieci fermentatori, da 10 a 50 hl di capienza. Sul fronte birra, dovendo fare una difficile sintesi, cito le birre a mio modesto avviso maggiormente simboliche. Comincio ovviamente con la Babél, etichetta storica, una Pale Ale da 5% vol., prodotta con malti Maris otter, Pale, Pilsner e luppoli Tettnanger, Mandarina bavaria, Citra, Chinook, Centennial e Simcoe. Beva appagante e scorrevolissima ad ogni sorso, cifra distintiva da sempre, peraltro, della filosofia del birraio. Altro gioiello della casa è la Hopfelia, che ha contribuito ad innovare la famiglia stilistica delle IPA in salsa italiana. I 6.7 gradi alcolici non compromettono la bevuta, che risulta invece intrigante e sorniona. A farla da padrone ovviamente sono i luppoli, in questo caso provenienti dal sud della Germania e della Pacific West Coast americana. Molto buona anche la versione più strong della famiglia, l’Imperial Ipa Freewheelin, da 8.5% vol. Tra le birre in abito scuro da non perdere la Robust Porter Hot Night at the Village (7% ABV) con malti Pale malt, Brown malt, Chocolate malt, Crystal malt e la sua versione monumentale, la Breakfast Edition, irrobustita nel tenore alcolico e impreziosita dall’aggiunta di vaniglia e cacao, dalle suadenti note di caffè, cioccolato e liquirizia, e un finale lungo, leggermente erbaceo. Se poi come il sottoscritto siete amanti delle Tripel, procuratevi anche una bella bottiglia di Gentle Giant.

Bene amici birrovaghi, il nostro viaggio termina qui. Giusto il tempo di completare l’anello e tornare dove lo abbiamo iniziato, ad Auronzo di Cadore, magari dopo una piccola sosta per salutare la sorgente del fiume Tagliamento, ricordando proprio il lucore offerto dai versi di Walt Whitman.
Canto me stesso, e celebro me stesso,
E ciò che assumo voi dovete assumere
Perché ogni atomo che mi appartiene appartiene anche a voi.
Io ozio, ed esorto la mia anima,
Mi chino e indugio ad osservare un filo d’erba estivo.
