I difetti della birra: il diacetile
Elusivo e subdolo per alcuni, quasi tollerato da chi in fondo fra i tanti difetti possibili neppure lo disdegna, insopportabile anche quando ai minimi livelli per molti altri, il diacetile è croce e delizia di ogni degustatore, esperto o imberbe che sia. Nei discorsi fra appassionati spesso parlare di diacetile è divenuto una retorica scherzosa per schernire chi, a volte troppo propenso alla critica e poco al piacere, esagera un po’ nello spaccare il capello. Al di là delle critiche più o meno opportune che ognuno decide di portare – l’importante è che l’analisi abbia un fondamento e che non si perda mai di vista la gioia del bicchiere che si ha in mano – ciò rende l’idea di quanto questo difetto possa manifestarsi piuttosto di frequente e, allo stesso tempo, di come possa essere inafferrabile e apparire a volte una suggestione. La domanda arriva di frequente dal neofita: “ma di che cosa sa il diacetile?”. La risposta secondo me è che il diacetile sa di… diacetile! Non è così facile descriverlo a parole, motivo per cui passa spesso inosservato ai birrofili meno navigati. Spesso viene descritto come burroso, o meglio ancora come butterscotch inglese, prodotto con burro e zucchero caramellato.
È un burroso però piuttosto irrancidito e sgradevole. La maniera migliore per fissare le caratteristiche di questo difetto è sentirlo direttamente da una birra in cui è presente in maniera copiosa, ad un corso di degustazione oppure grazie ad un amico esperto che ce lo indica. Se a parole, oltre che con questa sensazione di burro rancido, non è possibile in- quadrarlo più nitidamente, al naso e in bocca, una volta individuate le peculiarità, difficilmente lo scorderete. Il diacetile non è un difetto che possiamo definire “assoluto”, come altri che sono invece sempre considerati inopportuni e disgustosi, anche quando ai minimi livelli, a prescindere dallo stile di birra. In generale nelle ricche Ale del Belgio e in quelle americane dal profilo di lievito pulito e neutrale è assolutamente da evitare, come allo stesso modo non è tollerabile neppure in esigue quantità per tutti gli stili di bassa fermentazione. Fanno eccezione alcune tipologie tipicamente inglesi, dove una bassa concentrazione di diacetile non è da considerarsi un difetto ma una peculiarità propria dei lieviti che vengono utilizzati.
A mio modo di vedere anche in questi casi sarebbe comunque opportuno limitare il più possibile la dose presente: anche se non dovesse disturbare troppo è un composto di cui difficilmente si sentirebbe la mancanza. Si può integrare con qualche successo soprattutto in quelle birre ricche e ambrate della tradizione anglosassone, come ad esempio le Old Ales, dove gli aromi caramellati dei malti ambrati possono incontrarsi per analogia con i sentori di butterscotch. Anche in questo caso la quantità giusta non dovrebbe mai oltrepassare il livello “c’è, ma faccio fatica a sentirlo”. Ovviamente, come per ogni difetto, il livello di sensibilità di ognuno resta fisiologicamente soggettivo: potrebbe stupirvi come questo difetto, che il vostro naso allenato individua immediatamente come spiacevole, possa passare in secondo piano nella valutazione di un altro naso pure esperto.
L’analisi organolettica dovrebbe essere il più possibile oggettiva, ma non è una scienza esatta e le differenze sono inevitabili, motivo per cui si utilizzano panel formati da più degustatori. Sono due le cause che possono portare a una presenza eccessiva e problematica di diacetile nella birra: una fermentazione svolta non in maniera ottimale o una contaminazione batterica. Sulla seconda causa non vale la pena dilungarsi molto: un’infezione non dovrebbe mai verificarsi e, nel caso in cui essa si manifestasse nel prodotto finito, il diacetile potrebbe non essere nemmeno il più grave dei problemi riscontrati. Alla base del ciclo produttivo di qualsiasi birrificio che si rispetti c’è sempre una grande cura per la pulizia e la sanitizzazione, quindi il diacetile come risultato nefasto di una contaminazione dovrebbe essere un evento assai raro, se non impossibile. Molto più probabile che esso provenga da una fermentazione non svolta a regola d’arte, e su questa eventualità vale la pena concentrarsi. Da un punto di vista chimico il diacetile è un composto organico che appartiene alla famiglia dei dichetoni vicinali. Viene prodotto dal metabolismo del lievito durante la fermentazione del mosto soprattutto nelle fasi immediatamente successive all’inoculo: quella del lag, durante la quale l’azione del lievito non è ancora evidente e quella seguente, che ne vede la moltiplicazione esponenziale. In queste fasi dalle pareti cellulari del lievito fuoriescono composti chimici, come proteine e amminoacidi che gli torneranno utili per svolgere in modo efficace il suo lavoro, molti dei quali non avranno effetto sulla birra da un punto di vista organolettico. La creazione di uno di questi amminoacidi, la valina, passa per un precursore chiamato acetolattato. Non tutto l’acetolattato prodotto dal lievito viene però trasformato in valina: una parte fuoriesce dalla membrana cellulare del lievito e finisce nella birra, dove at- traverso una reazione chimica di ossidazione influenzata dalla temperatura si trasforma in diacetile.
Ci sono diversi fattori che possono influenzare la produzione del diacetile, come l’insufficienza di nutrimento per il lievito – la valina appunto – che forza lo stesso a crearselo da sé producendo maggiore acetolattato e quindi maggiore diacetile, ma quello cruciale riguarda il ceppo di lievito utilizzato: abbiamo già menzionato i ceppi inglesi in quanto famosi per la generosa produzione di diacetile, mentre ad esempio quelli americani dal profilo neutrale sono conosciuti ed apprezzati anche per apportarne livelli molto bassi.
La produzione di acetolattato prosegue per tutto il processo di fermentazione degli zuccheri presenti nel mosto, dopodiché si arresta. La buona notizia è che il lievito, grande fabbricante del temibile diacetile, è anche in grado di neutralizzarlo nel proseguimento del suo lavoro durante la fase stazionaria in cui la fermentazione rallenta la sua attività mentre la birra inizia a maturare e trovare il suo equilibrio. Le cellule del lievito riassorbono il diacetile al loro interno per trasformarlo attraverso un processo enzimatico in acetoino e quindi in 2,3-butandiolo, composti sostanzialmente ininfluenti da un punto di vista organolettico.
Affinché la riduzione del diacetile abbia successo è fondamentale concedere al lievito il tempo necessario, senza abbattere repentinamente la temperatura non appena lo stesso abbia raggiunto il livello di attenuazione di fine fermentazione: un paio di giorni dovrebbero essere sufficienti, dopodiché si può procedere al raffreddamento della birra per stabilizzarla e de- cantarla. Un altro fattore che può facilitare la riduzione del diacetile è una buona ossigenazione del mosto, necessaria alla corretta riproduzione del lievito. Come si è detto la produzione e il riassorbimento del diacetile dipendono fortemente dalla temperatura, ottimale quando sui 18°-20°C. Nelle birre prodotte con lieviti lager, che lavorano a temperature inferiori, ne viene prodotto meno ma è anche più difficile la sua eliminazione. Per questo motivo è bene facilitarla con un diacetyl rest a fine fermentazione, portando la birra a temperature più elevate per un paio di giorni. Prima del raffreddamento è importante lasciare un lasso di tempo per il riassorbimento del diacetile anche nel caso in cui esso non sia avvertibile: potrebbe infatti essere presente un alto livello del suo precursore, l’acetolattato, pronto a trasformarsi nella vita successiva della birra. A quel punto, decantato e messo fuori combat- timento il lievito, non ci sarebbe più nessuna possibilità di eliminarlo. Per questo stesso motivo può rivelarsi utile la presenza di lievito nelle bottiglie in rifermentazione: il diacetile potenzialmente derivabile dall’ossidazione dell’acetolattato verrebbe rimosso proprio dai microrganismi vitali ancora presenti. Per esperienza personale posso testimoniare che il diacetile presente pur in quantità non esorbitanti all’imbottigliamento di Ale fermentate con lieviti inglesi può venire completamente riassorbito dopo una corretta rifermentazione di alcune settimane. D’altro canto la presenza di diacetile viene ridotta anche durante la maturazione di birre imbottigliate senza presenza di lievito, si presume grazie a una lenta azione chimica di riduzione. La pastorizzazione, invece, accelerando la decomposizione dell’acetolattato può favorirne la presenza.