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Cresce il fenomeno birra artigianale italiana in lattina

Che il fenomeno birra in lattina abbia preso piede anche in Italia è fin troppo evidente. I frigoriferi dei locali specializzati si stanno riempiendo di questi contenitori in alluminio esteticamente molto impattanti con grafiche accattivanti, a volte contraddistinte da colori sgargianti a volte eleganti, con stili che spaziano dal fumetto al minimalismo. Se prima la provenienza era rigorosamente USA e poi UK, oggi qualche produttore italiano comincia a seguire il trend e molti altri stanno valutando la possibilità di percorrere la strada al grido di Yes, we can!

All’appello dei primi birrifici italiani che si sono cimentati in questa nuova sfida hanno risposto presente: Baladin, Lambrate, CRAK, Bibibir, Mister B, tutti dotati di impianto proprio, a cui si aggiunge Canediguerra, che recentemente ha sfruttato il contoterzi. Ma molti sono i produttori che stanno chiedendo preventivi e già qualcuno è in dolce attesa come l’abruzzese Opperbacco che in estate potrà realizzare il sogno di vedere la sua birra in lattina. Un desiderio che può costare caro, anche se la forbice di prezzo è molto ampia soprattutto oggi che sono state realizzate soluzioni più economiche rispetto al passato: si può sborsare dai 50.000 ai 500.000 euro e oltre, ovviamente con prestazioni, controllo, tecnologia, livelli di ossigeno residuo, molto diversi tra loro. Probabilmente, soprattutto in una fase iniziale, saranno molte le realtà a optare per le soluzioni di confezionamento proposte da soggetti esterni, rivolgendosi al canning mobile, ovvero farsi recapitare in birrificio la macchina a domicilio e pagare il noleggio per l’operazione assistita di confezionamento. Qualcuno si sta già attrezzando e rumors parlano di servizi già attivi quest’estate, visto che la domanda risulta crescente e un mercato che solo qualche anno fa pareva acerbo ingolosisce ora molti operatori, anche stranieri.

BALADIN

Che fosse Baladin il birrificio italiano a mettere birra artigianale in lattina per primo ha onestamente spiazzato i più. Perlomeno se si pensa a Teo Musso come il pioniere che ha posizionato la birra artigianale sui tavoli della ristorazione prima ancora che nei pub, e al Baladin come grande interprete della scuola belga distante dall’idea moderna di birre luppolate d’ispirazione americana, le più adatte a finire in lattina. Ma, in fondo, era il momento giusto per partire e Baladin non poteva certo abbandonare il ruolo di anticipatore di mode che lo contraddistingue. Non abbiamo intenzione di rinunciare alla bottiglia – precisa Fabio Mozzone, responsabile marketing – perché Baladin è un produttore di birre in bottiglie e il “marker” dei nostri prodotti resta il lievito. Non vogliamo neppure trasferire tutta la produzione in lattina. Abbiamo pensato a un concetto nuovo, creando la POP, un’American Pale Ale, la prima non rifermentata del birrificio, un’unica birra declinata in sei diverse lattine, qualcosa che di solito nel marketing non si fa. Il che, a dire il vero, ha creato, almeno inizialmente, un po’ di confusione, perché non tutti hanno capito da subito l’idea della Pop, dei diversi colori per lo stesso soggetto. Ma nonostante il mercato delle lattine, in Italia fosse ancora agli albori, da allora di POP il Baladin ne ha sfornate e vendute parecchie, 300.000 solo il primo anno. È lo stesso Teo Musso ad insistere sul contenitore: la lattina è un sassolino che volevo togliermi da tempo per sdoganare il concetto di birra di qualità a prescindere dal recipiente. Sarà sicuramente un trend importante. Probabilmente funzionerà con i giovani e l’intenzione è creare una nuova fettina di mercato e farla crescere con loro. In quest’ottica, per lanciare meglio la lattina e vedere da vicino la percezione del pubblico, apriremo a Milano, zona Navigli, un negozio di somministrazione dedicato alla POP: mangi e bevi birra in lattina! Resterà un mistero se il sassolino era quello di essere i primi artigianali italiani in lattina o effettivamente convincere il pubblico nostrano sulla qualità del prodotto, resta che come al solito Teo e il suo team aprono, o quantomeno ci provano, nuove fasce di mercato anziché rimarcare quelle già esistenti e consolidate. E anche il riposizionamento di prezzo delle lattine è un concetto fondamentale per allontanare la sensazione che sia un contenitore “cheap”, da discount, per prodotti di fascia bassa. Per la produzione si sono appoggiati a un partner esterno, inviando la birra già pronta e ricevendo indietro le lattine piene. Nel frattempo il birrificio ha lavorato a stretto contatto con il produttore di impianti Gai per avere la propria linea di lattine in casa. Baladin e Gai sono due aziende che hanno molto in comune, piemontesi entrambe, molto legate al concetto di made in Italy: Baladin con la Nazionale esprime il concetto di prodotto 100% italiano, con materie prime provenienti tutte dall’Italia; Gai si produce circa il 90% direttamente in loco. Tutte e due sono aziende decisamente cresciute e di successo, ma ancora con un concetto familiare molto marcato. Ed è naturale che collaborino con Baladin che in pratica è diventato il centro ricerche di Gai sulla lattina. La prima lavorazione in casa non ha però riguardato la POP bensì la Rock’n’Roll, un’interpretazione di American Pale Ale con luppoli americani e aggiunta di pepe. Ancora da valutare la tenuta nel tempo con la nuova macchina, che comunque grazie a un basso pick up di ossigeno, attorno ai 50PPB e alla velocità di lavorazione tra le 1500 e le 1700 lattine all’ora, garantisce comunque un prodotto di qualità.

LAMBRATE

Lambrate sbarca nel mondo delle lattine con un grande tempismo, come afferma il birraio Fabio Brocca: un anno prima sarebbe stato troppo presto, il mercato non sarebbe stato pronto. Oggi si iniziano a vedere i primi produttori italiani che usano le lattine, oltre alle referenze che arrivano dall’estero, e questo fa sì che il mercato, una parte almeno, sia pronto. E tra l’altro abbiamo riscontrato, nei nostri locali, una grande richiesta di lattine, molto più che di bottiglie rispetto al passato. Inizialmente diffidenti i nostri clienti hanno scoperto che la lattina gli garantisce la stessa qualità del pub. L’idea della linea di lattine Fabio ce l’aveva in testa da un bel po’, dopo aver girato per gli Stati Uniti, aver visto parecchie linee e aver assaggiato parecchie birre in questo formato. Ha guardato con crescente curiosità e interesse l’arrivo di parecchie lattine nei negozi e nei locali italiani, ma le possibilità economiche non c’erano ancora, l’investimento sul nuovo impianto, la cantina e pure la ristrutturazione dei nuovi locali non permettevano ulteriori esposizioni. L’occasione giusta la presenta Comac, azienda produttrice di impianti, la cui sede è vicina a quella del birrificio e che propone loro di diventare testing partner alla nuova linea dedicata alle lattine, così da mettere a punto operativamente la macchina e iniziare a proporla sul mercato, non solo italiano. Comac ha realizzato per Lambrate un macchinario particolare perché riempie tanto le bottiglie quanto le lattine, circa 1200 all’ora, con una particolare attenzione alla “graffatura”, cioè la delicata operazione di chiusura della lattina, e un sistema a raggi X che controlla il livello di riempimento e scarta eventualmente le lattine non riempite a dovere. Attenzione anche al pick up di ossigeno, che si assesta attorno ai 40PPB. Una tecnologia che insomma soddisfa appieno gli standard del birrificio, facile da usare, ma che a breve lascerà il posto a una nuova macchina destinata unicamente alle lattine, con le parti però già testate da Fabio e soci. Perché oramai Lambrate non vuole più rinunciare alle lattine per vari motivi: buona parte delle loro birre è perfetta per dare ai clienti la stessa qualità dei fusti, traguardo che in bottiglia, nonostante ogni accorgimento che si possano adottare, non è possibile raggiungere. Inoltre il mercato delle lattine è percepito come in forte crescita, in Italia e all’estero. Oggi sono tre le referenze in lattina: la Rob de Matt, una Rye IPA, la prima a provare il brivido della lattina, la Gaina e la Quarantot, rispettivamente IPA e Double IPA. Le altre arriveranno man mano, ma sempre con la lattina prestampata, questo allunga i tempi e impedisce l’improvvisazione, ma a nessuno di loro piacciono le lattine con l’etichetta incollata e basta prendere in mano una loro lattina per dargli ragione. Nel frattempo si sfornano circa 15.000 lattine al mese, tutte assorbite dal mercato italiano.

BIRRIFICIO ITALIANO

Nel numero scorso avevamo dato la news della prima lattina del Birrificio Italiano di Limido Comasco, una versione destinata esclusivamente al mercato americano e che viene confezionata dall’importatore una volta sbarcata negli Stati Uniti. La fotografia della prima volta in alluminio del birrificio lombardo aveva però destato qualche mal di pancia ai più intransigenti perché in lattina c’era finito un prodotto simbolo come la Tipopils, considerata da tutti la Pils per eccellenza italiana… la tradizione, la birra primigenia che si prostra alla moda e finisce in un contenitore destinato a birre yankee.. scandalo! È lo stesso Agostino Arioli a spiegarci meglio la sua visione sulla lattina: Abbiamo fatto un’eccezione per il mercato americano, ma non è quella la strada del birrificio. Seguiamo il mercato ma fino ad un certo punto. Come birrificio vogliamo rimanere un classico, essere un riferimento al di là delle mode, per questo non cavalcheremo il trend della birra in lattina. Spero di non far apparire il birrificio come obsoleto ma ci teniamo ad innovare in altre modi. La nostra sfida rimane in produzione, nel controllo qualità, nel capire come si deve lavorare a monte per poi evitare enzimi, centrifughe e pastorizzazioni. Sarò di un altra generazione, ma a me la lattina non piace neanche esteticamente e poi si dimostra un disastro nel servizio, creando una schiuma non all’altezza del servizio in bottiglia.

CRAK

Tra i birrifici italiani che hanno scommesso sulla lattina sicuramente CRAK è quello che ha puntato la cifra più alta, anzi, ha dichiarato direttamente All-in, giocandosi tutto e andando a sostituire in toto la bottiglia. Qualcuno potrebbe pensare che il birrificio si fiondi a capofitto nelle mode, ma i soci fondatori Antony Pravato e Marco Ruffa, hanno le idee chiare e la loro scelta è stata ponderata e dettata non soltanto da aspetti inerenti al marketing, comunque innegabili, ma anche produttivi e qualitativi. Il birrificio fin da subito ha scommesso sul luppolo e su birre di ispirazione statunitense cercando di curare tutti gli aspetti in nome della freschezza, della ricerca delle materie prime, imponendo controllo nella filiera e corta shelf life. Tutto nasce, come ci svela Antony, dalla necessità di sostituire la macchina di confezionamento, un’imbottigliatrice che non garantiva più quelle prestazioni richieste dalla crescita frenetica del birrificio. Ecco così che un’apparente folle idea di spostare tutto in lattina è diventata ben presto realtà, anche perché a ben vedere la scelta prometteva miglioramenti nella tenuta della qualità, livelli di ossigeno inferiori a quelli della bottiglia, performance più elevate per il tipo di birra prodotto realizzato nell’impianto di Campodarsego. Sì perché attualmente la gamma del birrificio padovano conta tutte IPA come la Guerrilla, la session IPA Mundaka, la NEIPA, la New Zealand e, ultima arrivata, la Giant Step, una muscolare IPA (ovvio) da 7,5° alc. Appare chiara dunque la strategia di CRAK che ha scelto senza mezzi termini la strada delle specializzazione e punta dritto al cuore di quel consumatore che vuole birre luppolate con l’ambizione di diventare il riferimento di una categoria, che comunque vale quote importanti perlomeno nel mondo della birra artigianale. L’investimento finanziario è stato notevole e del resto misura il grado di convinzione del team che si è rivolto all’italiana Comac chiedendo una linea completa che parte dal depallettizzatore automatico per poi proseguire con lavaggio lattina, fase di riempimento, chiusura ed etichettattura. Il tutto effettuato con una velocità che garantisce le 4000 lattine ora e un pick-up di ossigeno che non supera le 30 PPB. Anche nella scelta della lattina si è cercato una distinzione rispetto al più gettonato formato da 33cl optando per un contenitore più alto e snello della capienza di 40cl, avvolto da una grafica accattivante e curata nei minimi dettagli. Guardando i primi dati si direbbe che la scelta è stata azzeccata, a partire dai consumi della tap room del birrificio dove, con l’avvento della lattina, si è registrata una crescita sensibile così come del resto nei locali di zona, fino alle richieste dei distributori regionali e non. In birrificio ci si gode il successo anche di critica, si veda il premio come miglior birrificio conquistato a Birra dell’Anno a febbraio, e l’euforia non manca. Certo che servirà del tempo, per capire la portata del fenomeno nel medio-lungo periodo. Al momento comunque l’onda c’è, è un dato di fatto, e i ragazzi di CRAK la stanno surfando con stile.

MISTER B

Un birrificio che recentemente ha fatto parlare, grazie alla scelta audace, perlomeno in Italia, di proporre solo birre in lattina, è il mantovano Mister B. Mauro Bertoletti, fondatore e proprietario del birrificio, attivo da tempo nel mondo della birra con all’associazione Circolo del Luppolo, decide nel 2017 di aprire un birrificio proprio. Colpito dal successo che negli ultimi anni stavano riscuotendo le lattine provenienti dagli Stati Uniti e dall’Inghilterra, anche in una realtà placida come quella della provincia mantovana, si convinse di partire in maniera innovativa e distintiva acquistando una macchina lattinatrice economica dalla canadese Cask Brewing Systems. Un investimento ridotto per un sistema che sforna 700 lattine ora e garantisce dimensioni compatte e che Mauro e il birraio Davide Pessina hanno imparato nel tempo a conoscere bene. Oggi con molta manualità e con duro lavoro, l’abilità nel confezionamento è cresciuta, i ragazzi si sono fatti le ossa e riescono con trucchi ed esperienza a sopperire egregiamente ad alcune mancanze tecnologiche, sia nell’automazione che nel controllo qualità (ad esempio riescono a capire dal peso eventuali riempimenti non andati a buon fine). Un approccio più rudimentale di lavorazione, dettato da un budget ridotto, ma che ha permesso comunque a Mister B di arrivare con successo in molti locali regionali e anche in beershop e birrerie italiane di riferimento incuriosite dal formato. Una strada che molte altre realtà probabilmente seguiranno e che Mister B a battuto per primo, partendo da zero, acquistando un know how che in un futuro prossimo potrebbe persino “rivendere” realizzando un progetto di noleggio assistito. Anche perché a breve la macchina attuale sarà sostituita con un modello in grado di garantire maggiore efficienza, automazione e velocità, così come investimenti sono previsti in un ossimetro professionale e in generale in attrezzature rivolte ad un maggior controllo del prodotto finale. Le birre in gamma attualmente sono otto e ovviamente il luppolo fa da padrone anche se non mancano prodotti alternativi ad alto tasso di creatività. C’è molto entusiasmo e voglia di fare in casa Mister B, tanto che i ragazzi hanno pensato bene di realizzare un festival tributo alla lattina, a Mantova dal 31 agosto al 2 settembre: si chiamerà Via Latta e vedrà 130 lattine provenienti da tutto il mondo, Italia inclusa, oltre a workshop, degustazioni, incontri e concerti live.

BIBIBIR

Una direzione di marcia tutta da sondare nei propri sviluppi, ma che per adesso soddisfa. Così vive la propria esperienza con la lattina Flaviano Brandi, titolare, e manovratore in sala cotte del marchio Bibibir (a Castellalto, Teramo). Un’esperienza avviata nell’agosto 2017 con l’acquisto di un apparecchio di confezionamento piccolo e dalle performance compassate (evade circa 600 unità ora), manuale (esige la presenza continua sul pezzo, come una catena di montaggio). Un giocattolino, dice il diretto interessato, ma che intanto ha consentito di soddisfare una duplice inclinazione: quella per il formato in sé, connesso all’idea della birra come bevanda che debba essere facile nell’approccio, e quell’inclinazione verso una corrente di pensiero che vede, nell’alluminio, una direzione più o meno obbligata per il settore brassicolo. Flaviano insomma legge come strategica la scelta di dotarsi del suo macchinario, che ha reperito sul mercato dell’usato (ma di buona qualità e con il valore aggiunto di un servizio di assistenza tecnica), e che ha implicato un impegno economico sostenibile per il birrificio. Tre le etichette della gamma – White Shock (White Ipa), Zero Tabù (Black Ipa) e Granapa (American Pale Ale) – che sono state immediatamente trasferite alla nuova dimensione del can packaging. Risultati? Tutto sommato confortanti, prosegue Mr. Bibibir: qualche inconveniente (ossidazione) con i primi lotti, risolto diminuendo lo spazio di testa nel singolo recipiente; intervento che, unito alla scelta di procedere a una minima rifermentazione (opzione preferita all’isobarico totale) sembra garantire una ragionevole stabilità dei profili sensoriali. Tanto che, questa la conclusione, a Castellalto con la lattina sembrano averci preso gusto, tanto che se si presenteranno le condizioni propizie e se il mercato della linguetta prenderà piede, si metterà in agenda l’acquisto di un’attrezzatura di maggiori dimensioni e di più incisive prestazioni.

CANEDIGUERRA

Per il birrificio alessandrino l’esperienza della lattina rappresenta al momento un cantiere aperto, una direttrice di interesse ma non necessariamente prioritaria. Avviato ufficialmente dall’inizio di quest’anno, il percorso del canning system riguarda al momento solo una referenza del catalogo, la Pacific Ipa. In un territorio altamento popolato da aziende dedite allo sviluppo di apparecchiature per il confezionamento è stato facile cercare sponda, trovando la collaborazione con aziende conterranee del settore packaging: queste mettono le proprie strumentazioni a disposizione del team di Canediguerra (il quale dunque non possiede, al momento, attrezzature in proprio), in un’ottica di mutua cooperazione, onde verificare, via via, gli esiti di quello che è un iter di sperimentazione. Si potrà arrivare a puntare strategicamente sulla lattina? Da un lato non si escludono formule operative caratterizzate da una maggiore sistematicità. Dall’altro si tiene ben presente di come si tratti di una tendenza fortemente in divenire, parlando di una tecnologia che in Italia sta muovendo i primi passi, con riscontri organolettici attualmente assai diversificati. Inoltre, la propensione di Canediguerra sembra essere, per adesso, di confermare una rotta volta a produzioni in canning di taglio circoscritto: solo alcune tipologie e, in linea di massima, su quantità limitate.