Recentemente abbiamo parlato in maniera generale delle abbazie, dei monaci e del loro lavoro. Vediamo ora di analizzare un po’ più a fondo quanto emerso, o per tornare alla mia domanda iniziale (quella difficile): ma quali sono le caratteristiche di una birra trappista?
Se apri una bottiglia di Orval, meritevole del premio-design, accanto ad esempio ad una Rochefort 10, e per completare ci aggiungi una bottiglia di Westvleteren (tappo giallo) e una di Achel De Drie Wijzen 75 cl, allora sì che ti potresti sentire davvero lontano da una risposta certa. L’assaggio confermerà infatti che non c’è niente di più diverso da una Trappista di un’altra Trappista. Una dichiarazione questa che potrebbe candidarsi come grande aforismo di Joris Pattyn, anche se temo non verrà ricordata per l’eternità.. ma non perché non sia vera!
Tanto per cominciare diciamo anzitutto che alcune Trappiste sono fra loro “parenti”, e non solo perchè nascono all’interno della stessa abbazia. Le Rochefort 6°, 8° e 10° condividono ad esempio la medesima ricetta, in cui cambia solamente le proporzione fra massa secca ed acqua. Sempre parlando di Rochefort forse non tutti sanno che la ricetta della prima birra lì prodotta fu fornita ai monaci dal birrificio Chimay, in particolare dal suo leggendario padre-birraio. Il monaco Rochefort che iniziò la produzione aveva poi imparato il mestiere in un altro birrificio della zona, ed egli stesso proveniva da Achel, abbazia ‘madre’ di Rochefort! Allo stesso modo Chimay seguì l’esempio di Wesvleteren, anche in questo caso sua abbazia ‘madre’.
Qualcuno potrebbe argomentare che il fattore più importante nel determinare il gusto di una birra, il lievito, si adatta ad un ambiente caratterizzando la birra. Molto tempo fa, quando Westvleteren aveva il proprio lievito, il birrificio St. Bernardus, dopo aver ottenuto una licenza per le birre “St. Sixtus” dall’abbazia di Westvleteren, ottenne anche il suo lievito. Pensate che quelli di St. Bernardus affermano che ancora oggi usano il discendente di quel lievito! Westvleteren invece, che ha messo fine alla terziarizzazione quindici anni fa, non ha ancora i laboratori per provvedere ad una coltura stabile del lievito, vedendosi così costretta a rivolgersi a Westmalle per ottenerne di fresco. Il lievito di Westmalle è poi usato anche da Achel, il più nuovo dei birrifici Trappisti (la produzione di birra nell’abbazia trappista di Limburg è infatti rimasta ferma dal 1917 al 1998!).
Ma non è certo il lievito a svelarci cosa intendere per birra Trappista. Anzi, voglio osare e dire più di ciò che hanno scritto gli altri finora: ritengo che la risposta all’ormai fatidica domanda debba essere ricercata in quella regola cistercense generale secondo cui i monaci hanno il permesso di “creare solo bevande locali”. Sapendo che i primi monasteri Trappisti – nati come comunità più rigorose all’interno di quella cistercense – erano francesi, cosa immaginate potessero produrre da bere? No, non era il vino, bensì il sidro, la bevanda tipica della Normandia, la regione di cui erano originari. Può darsi stia forse un po’ esagendo con questa bella immagine, ma rivendico il mio diritto: un birrificio Trappista deve essere considerato nel suo contesto, sia spaziale che temporale.
La birra era nutrimento liquido durante i giorni di digiuno, momenti piuttosto comuni nella vita del monastero. Quando i monaci producevano birra da vendere fuori dal birrificio la facevano più forte, in grado di piacere ai consumatori e di competere con quelle degli altri birrifici. Ma, in ogni caso, pur sempre una bevanda locale.
Ora, prendiamo una birra particolare come la Orval. Anche considerando elementi di colore come il suo leggendario mastro birraio del passato – Pappenheimer il suo nome – questa birra è oggi senza dubbio meno esotica se paragonata ad altre quali la Picardian Saisons o la Bières de Garde. Una domanda che mi viene fatta spesso in questo caso è: quale altra birra assomiglia allora alla Orval? Di solito la risposta è “uno dei ‘cloni’ della Orval”, o un’altra birra particolarmente amara. Questa volta dirò la Saison Dupont, l’ultima Saison tradizionale: la Orval è nata in effetti proprio come una Saison ante litteram.
La Westvleteren 8, almeno ai nostri giorni, è dolce quando è giovane, diventando leggermente amara man mano che procede la sua maturazione. Ma un tempo la stessa 8, così come la 12, certamente la 6 ed anche la 4, prodotta per un consumo quotidiano, erano ale scure dalle sfumature gustative dolci-amare, al pari di tante loro parenti diffuse in quella remota zona occidentale della Fiandre. Van Eecke, ovviamente St. Bernardus, ma anche Desplenter i loro modelli (Vondel, Van den Bossche, Costenoble, etc…) brassavano ales forti, scure, dolci-amare.
Westmalle sarà ricordato per l’eternità per aver “inventato” lo stile della bionda “tripel”. Per me questa birra è in realtà molto simile alla Duvel prodotta da Moortgat, che non è mai considerata una tripel.. ma è chiamata strong Belgian blonde ale… Come? Ma non è esattamente la stessa cosa di una Westmalle tripel?
La Rochefort 8, la 10 e la Chimay tappo blu? Sono birre valloni fruttate, speziate, dal lievito ben presente, secche ed amare, in perfetta sintonia insomma con la loro regione di nascita, proposta diciamo in una versione più forte.
Che La Trappe crei la varietà più ampia di birre – dalla bionda (nel passato “Enkel single”) alla Quadrupel – deriva non solo dal fatto che la ricerca di fondi per l’abbazia del Northern Brabantha sia piuttosto difficoltosa, ma anche da una questione di cultura birraria: il mercato olandese è infatti da sempre caratterizzato da una forte attenzione alle mode, da consumatori piuttosto volubili sotto questo punto di vista.
Nel ventunesimo secolo tutto è diventato piuttosto ambiguo, reso ancor più confuso dai moderni mezzi di trasporto, dalla globalizzazione dell’offerta, dalle imitazioni, dalle sperimentazioni. Le ales trappiste sembrano diventate una semplice tipologia di birra fra le tante speciali esistenti, ormai prodotte dalla Groenlandia alla Nuova Zelanda. Il Belgio rimane un piccolo pallino su di un globo grande e interconnesso, ma se si pensa a queste birre dal punto di vista storico si scopre come abbiano saputo cucirsi addosso il loro habitat naturale. E ai miei occhi ciò le rende ancor più eccezionali, e al tempo stesso molto moderne.
Leggere che la Duvel è esattamente la stessa cosa di una Westmalle Tripel,fa venire molti dubbi sulle capacità  degustative dell’estensore dell’articolo.
A me sembra invece che tu non sappia leggere….ma tu sai sempre tutto….
Ti virgoletto il pezzo che magari ti è sfuggito e lascia poco spazio ad incomprensioni
” Per me questa birra è in realtà  molto simile alla Duvel prodotta da Moortgat, che non è mai considerata una tripel.. ma è chiamata strong Belgian blonde ale. Come? Ma non è esattamente la stessa cosa di una Westmalle tripel?”
Sul fatto che io sappia sempre tutto , non posso che darti ragione.
Ciao.Schigi.
Mi fa piacere notare di non esser stato l’unico ad aver visto una grandissima str*@#¶ta in quella frase…
I have been told that a certain sentence, concerning Westmalle Tripel and Duvel, sollicited some comments. I cannot really read the Italian, but know that:
Whatever, I’m not stating that they are the same beer. I claim that the two are made in the same mindset: a rather dry, well-attenuated strong blond beer, Duvel being more neutral from character.