Iniziamo a vedere un po’ in dettaglio cosa compone il pannello di aromi della birra. In questo post ci occupiamo degli esteri. Chimicamente, gli esteri derivano dagli acidi carbossilici e sono di frequente utilizzati in profumeria perché hanno spesso profumi floreali o di frutta. In pratica possiamo dire che sono composti che derivano dall’unione di alcoli con acidi carbossilici. I nomi sono composti da due parti: la prima, che termina in –oato designa la catena principale che proviene dall’acido carbossilico, la seconda, che termina in –ile, si riferisce al gruppo alchilico dell’alcool. Gli esteri più piccoli sono anche spesso chiamati esteri di frutta, per i loro profumi. Quelli a catena media sono le cere, quelli più grandi i gliceridi (ad esempio i trigliceridi che ogni tanto il medico ci fa misurare nel sangue).
I più interessanti per i degustatori sono naturalmente i primi, molecole volatili che portano profumi ben caratterizzati. Ad esempio, l’acetato di amile profuma di banana (in realtà è il contrario, la banana profuma di estere), così come il butirato di etile ed altri acetati. Nelle birre invernali anglosassoni si può incontrare l’etil cinnamato che richiama la cannella ed isobutil formiato che richiama il lampone ed i frutti rossi. Si può andare avanti per centinaia di esempi. Una cosa che l’appassionato di birra ed il degustatore professionista devono sapere è che gli esteri liberano i propri profumi quando sono esposti all’aria ed all’ossigeno. Hanno quindi bisogno di ossidarsi brevemente (in realtà di idrolizzarsi) per poter liberare la parte più volatile della molecola. A questo fenomeno contribuisce il far girare il liquido nel bicchiere, per poter esporre la massima superficie della birra all’aria e poter liberare gli esteri ed altre molecole che rendono profumata la nostra birra.