Birra in botte: Birrificio del Ducato
Sono passati quindici anni dalla nascita dei primi micro birrifici italiani e da allora ricerca e sperimentazione non hanno mai abbandonato i nostri birrai, anzi, seppur con eccessi e deviazioni modaiole del “famolo strano” la produzione made in Italy si sta distinguendo per originalità e per capacità di battere sentieri in parte inesplorati. La mancanza di una certa rigidità nel gusto e nella produzione, vedi il tedesco Reinheitsgebot, ha portato alla nascita di nuove tipologie come la birra alla castagna o la birra con il mosto d’uva ad esempio. Un altro filone che comincia a prender corpo è quello della birra maturata in botte. Ovviamente non c’è innovazione in senso assoluto, dato che la maturazione in botte è pratica secolare, però da paese vinicolo per eccellenza sicuramente avremo molto da dire e modo di stupire. Già in tempi non sospetti alcuni sperimentatori italiani, come Panil di Torrecchiara, hanno cominciato a percorrere con successo la strada dell’affinamento in botte. Oggi visitando un microbirrificio è praticamente impossibile non notare almeno una botte o addirittura uno spazio dedicato dove la birra riposa in caratelli o barrique in cui ha soggiornato magari un Brunello di Montalcino o un Barolo piemontese.
Tra i micro più attivi su questo fronte troviamo il Birrificio del Ducato. Ci siamo accorti della loro voglia di sperimentare con la botte durante la nostra ultima visita al birrificio di Roncole Verdi di Busseto (Parma), dove vengono prodotte le birre della gamma “storica”, mentre la linea Bia viene da un anno prodotta nel birrificio di Fiorenzuola. Una volta entrati furtivamente dal retrobottega troviamo il birraio, Giovanni Campari, impegnato in una visita (non fate come noi, prenotate per sentire la disponibilità…). Con affetto ci passa subito il suo bicchiere prima di dileguarsi con gli altri ospiti. Tra le mani ci troviamo una birra scura dalle note torbate, inusualmente morbide e dalle splendide sfumature tostate. Si tratta di una particolare versione della Black Jack Verdi Imperial Stout invecchiata in botti di whisky scozzese, un affinamento che dona alla birra un elegante aromatizzazione torbata. Con il bicchiere in mano, incuriositi dall’esperimento, cominciamo a cercare le botti. Ma non facciamo fatica, per il semplice motivo che non è facile nasconderne settanta (!!). Stampati sopra le doghe i nomi di produttori famosi di whisky come Glenlivet, Macallan, Bowmore, o ancora di bourbon, anche particolari, come quello svedese nel quale per sette mesi ha sostato la Black Jack premiata nel 2010 con la medaglia d’Oro all’International Beer Challenge nella categoria “Birre invecchiate in legno”. Ogni botte naturalmente cede alla birra aromi particolari, lo sanno bene anche quelli del Ducato, che segnano nel retroetichetta il numero di serie della birra, così da individuare subito la botte dove la stessa ha riposato.
Dalle parole di Giovanni si capisce subito che per lui l’utilizzo della botte non è una moda. O meglio, è consapevole dell’euforia mediatica e di alcuni consumatori per questo tipo di prodotto, ma giustamente ci confida come i suoi esperimenti siano mossi da passione e poi sono “nicchia nella nicchia” e quindi non certo interessanti da un punto di vista economico. Insomma, non è con questi prodotti che il suo birrificio fa cassa, ma incetta di premi sicuramente. Oltre al ricordato IBC, bisogna aggiungere i freschissimi riconoscimenti al concorso “Birra dell’Anno 2011”, dove una giuria di esperti ha premiato la Luna Rossa e l’Ultima Luna come migliori birre rispettivamente nella categoria “Birre acide” e in quella “Birre affinate in legno”. Non solo non si tratta di un amore passeggero, ma di una vera e propria passione che nasce lontano, come ci spiega lo stesso Giovanni (nella foto con la sua Luna Rossa): “La birra in botte è adesso una moda sicuramente, però alla lunga può diventare un italian style. Per quanto mi riguarda sono un appassionato di vino da sempre, così come sono affascinato dai buoni whisky. Soprattutto con birre come Luna Rossa o L’ultima Luna, dove la botte gioca un ruolo fondamentale, il momento topico è quello dell’affinamento in cantina. Da birraio mi trasformo più in enologo, proprio perché la partita si gioca in botte. Premetto che sono un amante delle birre, soprattutto perché amo la bevibilità, la facilità e la piacevolezza del loro consumo, però ci sono birre complesse che si ritagliano un consumo diverso. L’importante è ricercare l’equilibrio sia nel prodotto più semplice che in quello complesso. Ovviamente nelle birre invecchiate in botte e nelle birre acide le variabili crescono esponenzialmente e soprattutto alcune sono fuori controllo. Però il birraio può ridurre la percentuale di errore lavorando sulle caratteristiche della birra da mettere in botte, limitare i rischi di infezioni, ad esempio sanificando le botti con il vapore anche se questo toglie aromi e complessità all’affinamento, bisogna monitorare e valutare continuamente lo stato di salute della botte. Poi fondamentale è l’esperienza acquisita con gli esperimenti. Abbiamo parlato di birra e vino che si incontrano grazie all’utilizzo della botte, ma un differenza c’è e grande tra i due mondi: il viticoltore ha una produzione all’anno che cambia ogni volta, noi birrai abbiamo la possibilità di provare e riprovare con continuità. In fase sperimentale monitoriamo molto le birre, le assaggiamo e poi decidiamo come fare il blend. Ecco ,anche il blend aiuta molto a riproporre una birra con le medesime caratteristiche”.
E proprio dal blend di varie birre nasce la pluripremiata Luna Rossa. Giovanni parte da una base di una birra acida, che tra un anno circa sarà inserita in gamma con il nome di Crisopolis, prodotta con una lunga fermentazione in botte dove partecipano anche batteri lattici, e una successiva macerazione con amarene per alcuni mesi. Questa birra viene poi tagliata con l’Ultima Luna, un barley wine macerato con marasche e con una birra giovane. L’annata 2009 ora in commercio si contraddistingue per una gasatura prossima allo zero, mentre quella del 2010 sarà leggermente più effervescente. Una birra “evocativa” così la etichetta lo stesso birraio che la definisce una flemish red “kriek”, per via del suo bouquet fruttato, amarena, marasca, e delle note acide accompagnate da sentori di cantina, di muffa, e dalle speziature del legno. Compratela e riponetela in luogo sicuro: scade nel 2040.