Birra artigianale in etichetta: tra sequestri e disegni di legge, ecco la posizione di Unionbirrai
Qualche giorno fa ha fatto alquanto clamore il sequestro (nelle Marche, provincia di Pesaro e Urbino) di bottiglie di birra con etichette recanti la dicitura artigianale, considerate fraudolenti non perché il prodotto artigianale non lo era, ma perché in Italia la categoria artigianale non esiste, non essendo prevista dalla legge. Il fatto avviene in una rivendita di grande distribuzione, estranea però alla vicenda, i cui aspetti di illiceità sono stati contestati al produttore. Passa neanche una settimana e, nel Cuneese, sempre in un supermercato, ecco campeggiare uno striscione con in evidenza la stessa espressione incriminata, Birra Artigianale, sopra un’isola espositiva zeppa di marchi industriali: Nastro Azzurro, Bavaria, Tuborg, Poretti e altro. Insomma, il caos totale.
In questa cornice cade la proposta, avanzata da un deputato ravennate, Alberto Pagani, riguardante – appunto – l’introduzione di norme a disciplina (e tutela) di un segmento manifatturiero attualmente privo di qualsiasi garanzia, giacché, al momento, non possiede uno status di alcun tipo. Tra gli elementi salienti del testo in questione, in ordine ai requisiti per l’attribuzione della qualifica craft, figurano questi punti: divieto di trattamenti di pastorizzazione e dell’esercizio di operazioni di filtraggio in numero superiore a due; obbligo di indicazione del luogo di brassaggio e degli ingredienti; esclusione per le produzioni di aziende (anche micro) il cui capitale sociale appartenga però a grandi gruppi imprenditoriali in quota superiore al 25 per cento.
Di fronte alla sua formulazione e ai suoi contenuti specifici, su quest’iniziativa parlamentare abbiamo chiesto il punto di vista di Unionbirrai, nella persona del direttore operativo, Simone Monetti. La questione – ci dice – non è semplicemente l’approdo a una definizione di birra artigianale; ma la formulazione di una identità della birra in quanto tale. Partire, insomma, a monte, ma molto a monte. Perché sono gli stessi aspetti generali sulla birra e la birrificazione a dover essere aggiornati o inquadrati. Le normative attuali risalgono al 1962: sono quelle che tengono in vita la dicitura Doppio Malto; che non prendono in minima in considerazione metodiche come la rifermentazione; che non fanno accenno alcuno a tipologie peculiari come le acide. In base alle disposizioni vigenti, v’immaginate quante bottiglie e fusti dovrebbero considerarsi irregolari? e allora, altro che il termine “artigianale”: prima c’è tutta una serie di altre aggettivazioni e categorizzazioni di cui occuparsi. Occorre dunque agire in modo organico. Ripensare la birra in sé, darle una denominazione d’identità, creare una griglia tributaria congrua, ragionevole e così via. Perché se, invece, ci si limita a legiferare su un punto specifico, lasciando inalterata la cornice complessiva, corriamo il rischio, serio, di introdurre solo altre gabbie di obblighi, di prescrizioni e di controlli; con l’allegato, ulteriore, impianto sanzionatorio. E non è proprio ciò di cui il settore ha bisogno! Serve un raccordo tra i vari disegni di legge sul tavolo, per muoversi, ripeto, in modo organico: di concerto – se possibile… – con gli operatori del segmento e i loro organismi rappresentativi.