Beerj: Luna Rossa del birrificio del Ducato e Miles Davis
Come lo stesso birraio, Giovanni Campari, la definisce, la Luna Rossa è un ibrido fra una Kriek e una Flemish Red, dall’impenetrabile color ruggine. Avvicinando il bicchiere al naso svela il suo originale bouquet dove fanno capolino odori “off-limits” come muffa, cantina, formaggio, assieme a sensazioni fresche ed invitanti, come quella netta dell’amarena. Sempre più curiosi, beviamo il primo sorso: sapida, acida, dalla gasatura praticamente assente, fluida, regala aromi freschi di marasca, ed una piacevole astringenza. Tutto questo è il prodotto di un lungo lavoro in cantina, dove una birra lasciata invecchiare almeno due anni in botte viene aromatizzata con amarene e marasche, e successivamente con alcune parti di Ultima Luna e di una birra più giovane.
Senza dubbio è un prodotto che merita attenzione e stuzzica, per una degustazione lunga e profonda da svelare sorso dopo sorso. Merita una colonna sonora adeguata, e qualche brano da Bitches Brew di Miles Davis può sostenerla a dovere. L’album del 1970 prosegue la ricerca elettrica del trombettista, che si circonda di un folto numero di musicisti (fra gli altri Wayne Shorter, Joe Zawinul, Chick Corea, John McLaughlin, Dave Holland, Jack DeJohnette, Billy Cobham, Airto Moreira) e li porta in studio per una session di tre giorni.
Le indicazioni per loro sono molto scarne, poche prove e semplici sequenze di accordi. La formazione quantomeno originale: due batterie, basso elettrico e contrabbasso, due piani elettrici, chitarra, tromba, clarinetto, sax e percussioni, tutti contemporaneamente. Ne vengono fuori lunghe composizioni, un portentoso amalgama in cui convergono jazz, rock, funk, sfilacciati e dilatati, la sezione ritmica getta le basi su cui i fiati distendono temi e improvvisazioni, che si rincorrono e si intrecciano con le tastiere. Il lavoro fu ulteriormente raffinato dal produttore Teo Macero, che rielaborò i nastri originali, li rimontò, mise in loop delle parti, aggiunse effetti, usando lo studio di registrazione (la cantina?) come un ulteriore componente della band. Un ascolto non basta: è musica (e birra) che vuole attenzione, sfaccettata, ricca, che si rivela con il tempo e la dedizione.
Miles Davis
Playlist:
Miles runs the vodoo down – “Bitches Brew” (Columbia Records, 1970)
Pharaoh’s dance – “Bitches Brew” (Columbia Records, 1970)
Bitches brew – “Bitches Brew” (Columbia Records, 1970)