Grandi birrifici per grandi progetti. Come abbiamo visto negli ultimi tempi la battaglia nel settore brassicolo tra grandi e piccoli marchi è decisamente nel pieno del suo svolgimento, e non stupisce dunque che i grandi attori siano in continuo movimento. ABInBev ha annunciato un piano di investimenti chiamato “100+ accellerator”, nel quale selezionerà progetti capaci di rispondere alle sfide in tema di sostenibilità ambientale individuate dal birrificio stesso. L’idea alla base è quella di “progettare il birrificio dei prossimi cento e più anni”. Una strategia condivisibile che punta anche a rafforzare l’immagine di good company che il gruppo vuole dare di sé. AB-InBev ha inoltre annunciato la collaborazione con Beam Suntory, altro colosso americano del settore dei distillati, per unire i propri marchi di punta, rispettivamente Budweiser e Jim Beam. Una collaborazione dal sapore molto true american che prevederà un merchandising incrociato già dall’inizio della stagione di baseball per culminare in una birra invecchiata in botti di Jim Beam, la Reserve Copper Lager, che verrà lanciata nel giorno dell’ottantacinquesimo anniversario della revoca del proibizionismo. Anche Constellation Brand non sta con le mani in mano. I proprietari di Ballast point e Corona hanno infatti annunciato un investimento da 900 milioni di dollari nel loro impianto messicano al fine di raggiungere i 5 milioni di ettolitri di produzione annua.
Runnymede investments ha comprato Smuttynose. Finalmente il birrificio del New Hampshire ha trovato un nuovo proprietario: Runnymede Investments ha infatti comprato la proprietà del birrificio da Provident Bank, che a sua volta lo aveva comprato in seguito ai noti problemi finanziari. Tutte le parti coinvolte si dicono soddisfatte e convinte di poter ridare prestigio al rinomato birrificio.
Le “juicy” diventano ufficialmente uno stile. Verso la fine di marzo Brewer Association ha rilasciato la guida di massima 2018 per identificare gli stili brassicoli. Accanto a numerosi aggiustamenti e correzioni spicca l’introduzione di nuove categorie tra le quali le “Juicy or Hazy Ale” (nella triplice versione pale ale/IPA/double IPA”) e le Contemporary American Pilsner. Entrambe queste aggiunte prendono atto di due sottocategorie già esistenti e decisamente “di moda”: se infatti oramai le New England IPA sono una produzione decisamente consolidata anche nel nostro Paese, a molti non sarà sfuggito l’aumentare dell’offerta di basse fermentazioni decisamente luppolate con luppoli e tecniche “moderne” decisamente mutuate dal mondo APA/IPA e da qualcuno chiamate India Pale Lager.
Nelle scorse settimane Brewers Association ha rilasciato la classifica annuale della produzione in volume dei birrifici statunitensi, craft e non. Le novità più rilevanti riguardano il cambiamento di Ballast Point e Lagunitas, ora registrate sotto i nomi dei proprietari, ovvero Constellation e Heineken. Nella classifica generale l’ordine dei primi dieci è: AB-InBev; Miller-Coors; Constellation; Heinenken; Pabst; Yuengling; North American Brewers; Diageo; Boston Beer Company; Sierra Nevada. Nella sezione craft: Yuengling; Boston Beer Company; Sierra Nevada; New Belgium; Duvel Mootgart; Gambrinus; Bell’s; Stone Brewing; CANanarchy; Deschutes.
Jester King realizza un vigneto da 1500 piante. Alla fine di marzo il produttore texano ha finito di realizzare il proprio vigneto. Un fatto che non stupisce più di tanto chi conosce il brand: Jester King possiede già una fattoria, dei campi e un frutteto ed è molto attento all’ambiente circostante e al legame con la natura, come dimostrato anche dalle loro produzioni a fermentazione spontanea o con frutta. In un comunicato il team si dice amante delle sfide e di tutto quello che è fermentato, vino compreso (che inoltre già servono alla tap room). Tutto fa pensare che anche i vini verranno fermentati in maniera spontanea. Per ora le varietà piantate sono: Lenoir e Blanc du bois, per via della buccia spessa che bene si adatta al clima texano, ma sono anche presenti Albariño, Tempranillo, Carignan, Cinsault, Counoise, Dolcetto, Graciano, Grenache Noir, Malvasia Bianca, Marsanne, Mourvedre, Primitivo e Roussanne.
Negli Stati Uniti si produce troppo luppolo. Nello scorso numero avevamo dato conto della produzione di luppolo nell’anno precedente senza però sottolineare un problema: il mercato non sembra assorbire tutta la produzione. Secondo lo USDA infatti nei magazzini dei produttori ci sono quasi 77 mila tonnellate di riserve di luppoli, un valore pari ad aumento del 20% rispetto all’anno passato e il dato più alto da decenni. Evidentemente questa situazione è frutto di grandi investimenti dettati da una errata valutazione dell’espansione del mercato brassicolo e della conseguente crescita della domanda, decisamente rallentata negli ultimi anni, ma anche dalla carestia del 2008 che alimentò la paura dei birrai di rimanere senza materia prima con il conseguente aumento della stipulazione di contratti sulle forniture future. Proprio questi contratti, molto utili per mantenere stabile il mercato, potrebbero venire meno a fronte di variazioni così importanti. Questo stato di cose si conferma anche nell’abbandono della produzione da parte di alcuni coltivatori che si trovano a dover vendere praticamente sottocosto, cosa decisamente impensabile qualche anno fa quando il luppolo era una delle colture che facevano registrare i maggiori margini di guadagno. Insomma il futuro non è tutto rose e coni.
CAMRA: si cambia, ma non troppo. Nel week end del 21-22 aprile i soci del CAMRA hanno votato su alcuni importanti punti riguardo l’ammodernamento dello statuto. Le tematiche sono state individuate all’interno di un processo durato due anni e chiamato Revitalisation Project, il cui scopo era quello di rendere più rilevante l’associazione all’interno di un panorama brassicolo decisamente cambiato dall’inizio della Campaign for real ale. Il risultato delle votazioni ha manifestato una volontà di cambiamento, anche se moderata. Nei fatti si è dato il benestare ufficiale alla partecipazione di birre in fusto ai festival organizzati dal CAMRA (originariamente erano ammessi solo cask), ma è stata respinta la mozione di fare dell’associazione il portavoce di tutti i consumatori di birra e non solo per quelli di real ale. Benché non sia passata per pochi voti (è stato raggiunto il 72% contro il 75% richiesto) la divisione di posizioni sull’argomento a livello intellettuale è netta. Alcuni lo vedono come una apertura ad un contesto molto cambiato in cui le keg craft beer devono essere guardate come alleati e non come minacce nei confronti delle Real Ales; ma per altri l’apertura avrebbe portato ad aprire il fianco alle incursioni del mondo industriale. Quello che emerge è che, anche se parzialmente, il cambiamento all’interno di una delle associazioni più importanti del settore brassicolo mondiale è cominciato.
Arrivano le Extra Brut IPA. La California risponde al New England, un west coast vs east coast a colpi di pinte, che vede protagonista una nuova variante di IPA caratterizzata dall’estrema secchezza finale data dal totale svolgimento degli zuccheri presenti nel mosto. Un obiettivo raggiunto grazie all’intervento di particolari enzimi che vengono inoculati durante la produzione e facilitano la disgregazione degli zuccheri complessi. Le birre di questo presunto nuovo stile si presentano in antitesi alle Juicy IPA, perlomeno all’aspetto: brillante e dalla schiuma vigorosa. Le Hop Champagne saranno una moda effimera o si tratterà di un approccio con sviluppi futuri, magari anche in altre produzioni? Ai posteri l’ardua sentenza.