Barley Wine: quando il tempo migliora la birra

D’accordo, il periodo non è esattamente il più adatto, però… però l’argomento ci stuzzicava parecchio, e così abbiamo deciso di dedicare un po’ di spazio a questo prodotto particolare, una birra-vino o vino-birra che dir si voglia che sta vedendo aumentare in maniera sempre più decisa la sua schiera di estimatori. La necessità è quella di un palato se non necessariamente esperto quantomeno curioso, più che altro pronto a confrontarsi con sensazioni – ed emozioni – che, inutile nasconderlo, si discostano e non poco da ciò a cui siamo abituati pensando alla birra. Gli appassionati del genere avranno già capito: stiamo parlando del Barley Wine, tipologia nata in Inghilterra che deve il nome proprio a una certa analogia con il vino. Vuoi infatti per l’elevata gradazione alcolica, che supera facilmente gli otto gradi, vuoi per alcune sensazioni che ricordano il nettare di Bacco, o ancora per la capacità di migliorare con l’invecchiamento, questa birra si è fatta conoscere con l’evocativo nome di “vin d’orzo”. In genere i Barley Wine si presentano con un colore che va dal ramato al bruno, caratterizzati da una schiuma non eccessiva, a volte addirittura assente, e da un naso intenso e variegato con profumi che spaziano dal fruttato al tostato, uniti molte volte a spunti vinosi e maltati. Per la loro complessità e struttura possono essere definite “birre da meditazione” meritevoli di essere degustate in ampi bicchieri e servite a temperatura di cantina.

Fra le prime birre commercializzate in Inghilterra sotto questo stile ricordiamo la Bass No.1, che una famosa quanto vecchia pubblicità britannica definiva la “birra raccomandata dai medici”, probabilmente per la capacità di scaldare e rinvigorire (10,5% alc.) e per le sue sensazioni balsamiche. Parlando di questo stile è pressoché impossibile non citare l’inglese Thomas Hardy’s Ale, storico Barley Wine nato nel 1968 su richiesta della fondazione Thomas Hardy per celebrare il quarantesimo anniversario dalla morte del celebre scrittore. Birra complessa, ama sostare in cantina per lunghi anni, anche oltre i trenta, regalando emozioni intense e complesse simili a quelle di un pregiato cognac.

Da diversi anni ormai anche in Italia, merito soprattutto dei birrifici artigianali, è possibile degustare ottimi esempi di Barley Wine, a volte rivisitati e personalizzati dall’estro creativo dei nostri mastri birrai. Tra i molti esempi autorevoli di “vin d’orzo” italiano ricordiamo la Draco del birrificio piemontese Montegioco (AL), una birra di undici gradi complessa e pericolosamente fresca grazie ad una aromatizzazione con sciroppo di mirtillo. In Abruzzo il birrificio Almond’22 produce un  Barley Wine molto apprezzato prodotto con l’aggiunta di una piccola percentuale di malti torbati, gli stessi utilizzati per i whisky scozzesi. La Torbata è una birra dai profumi affumicati e terrosi, intensi ma mai arroganti, ben ingentiliti dalle note fruttate e mielate, ottima sposa di un cioccolato fondente. In Toscana, nel grossetano, il birrificio Amiata stupisce invece con la sua Cinabro, birra dal color rosso mattone ricca al naso di profumi di frutta matura dolce, prugna e uva passa, ottimamente bilanciati dalla lunga corsa del piacevole amaro. Una birra da invecchiamento, alla stregua dei grandi barley wine, la propone il birrificio laziale Birra del Borgo con la sua Sedicigradi, così chiamata per l’inusuale quanto sostenuta alcolicità. In questo caso la birra si avvicina sfacciatamente al mondo del vino grazie ad una fermentazione con lievito di champagne in botti di legno francese per ben 12 mesi. Il risultato è una birra scura, piatta e complessa dai profumi speziati e vinosi. Come dire, non di sole “bionde” è popolato il mondo della birra.