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Addio a Moes di De Dolle

Il mio post su Facebook terminava con queste parole “pensavo fosse immortale ma forse credo lo sia davvero” e proprio da queste stesse parole voglio ripartire per scrivere di lei, di Germana Passchyn vedova Herteleer, da tutti conosciuta come la Moes!

Credo che tutti conoscano lo stretto rapporto affettivo che ho l’onore di avere da tanti anni con quello che io chiamo “Universo De Dolle” formato da straordinarie belle persone, con caratteri diversi, ma tutte dotate di rara umanità che sgorga spontanea e straripante nella meravigliosa, solare Els e che si dipana col passare dei minuti da Kris scontroso e scorbutico con chi gli stia sulle palle, ma di grande generosità con gli altri. Ma la star incontrastata era lei, la Moes che, ogni domenica, dopo essere arrivata con la sua auto da Roeselare, conduceva due leggendarie visite guidate, alle 14 in punto in inglese (il suo inglese) e subito dopo alle 15 in olandese (ovviamente con il caratteristico accento del Westhoek).

Tra i mille aneddoti legati a queste visite, una perla immancabile veniva sempre regalata quando, parlando della storia della birreria dalla famiglia Nevejan alla Costenoble, raccontava delle prostitute nascoste in cantina per sfuggire alle rappresaglie naziste. Il tutto legato alla stretta vicinanza nella pronuncia delle parole “oer” cioè primordiale, usata dai fratelli Herteleer per la loro prima birra, la Oerbier appunto, e di “hoer”, cioè prostituta.

Ricordo quella volta che, appena appollaiatasi sulla scala di legno per iniziare la visita, aggredì, tipo pitbull e cazziò in modo brutale, un componente del mio gruppo che parlava disturbando lei e chi la stesse per ascoltare. Episodio indimenticabile, specie per chi lo subì. A proposito di cazziate, clamorosa e rimasta negli annali, quella rivolta al figlio per avere affettato male il pâté alla Oerbier, quasi azzannandolo davanti agli esterrefatti presenti. Ebbene, questa donnina di un metro e mezzo e quaranta chili ma dal carattere forte, degna rappresentante della dura tempra fiamminga, si lasciava baciare da me dietro il collo ogni volta che le arrivavo di spalle, esclamando divertita “hier is mijn lieve Italiaanse vriend”.

Si sa come una donna fiamminga sia già di per sé dotata di carattere forte e risoluto ma se poi deve anche affrontare grosse difficoltà e superare ardui ostacoli ecco che diventa ancor più temprata nell’acciaio, proprio come avvenne nella vita della nostra Moes. Kris mi ha raccontato la vita non certo facile che sua mamma aveva dovuto affrontare essendo rimasta vedova nel 1963, a soli 46 anni, con quattro figli da crescere da sola, tre maschi, Ward di 13 anni, Kris di 8 e Jo di 6 e una figlia, Lieve di 11 anni. Due anni dopo la morte del marito decise di prendere, per necessità, la patente e guidò l’auto fino all’età di 95 anni percorrendo ogni domenica i venti chilometri che separano Roeselare da Esen per essere sempre puntuale nel condurre i visitatori nell’universo De Dolle, per poi godersi un meritato riposo, gustandosi a piccole sorsate, seduta nell’Oerbar, attorniata da tonnellate di affetto, la sua prediletta Arabier.

L’età che avanzava e superava il secolo di vita le portava prima problemi di deambulazione e poi una sedia a rotelle ma la sua mente restava lucida. Mi aveva detto come sin dall’inizio si fosse trovata bene nella casa di riposo e poi, ogni tanto, la si poteva incontrare, di domenica, nell’Oerbar con una Arabier in mano ricevendo coccole da tutti ma, solo da me, il consueto bacio dietro al collo. Grazie all’infinito affetto che ci lega, io e Els siamo sempre stati in costante contatto ma ora, durante questo surreale periodo di confinamento che determina l’impossibilità di poter viaggiare, il nostro rapporto via messengers e whatsapp era diventato pluriquotidiano e quindi venivo sempre aggiornato sulle novità in casa De Dolle e sulla salute della Moes che, a dire il vero, fino a pochi mesi fa non destava grosse preoccupazioni, tenendo ovviamente conto della bella età che aveva brillantemente raggiunto.

A partire dallo scorso autunno però mi giungevano notizie meno rassicuranti corredate da foto in cui la Moes, il giorno del suo centotreesimo compleanno, era sdraiata a letto dicendosi annoiata oppure, pochi giorni dopo, seduta sul letto con una flebo al braccio. Ma poi una bellissima foto di lei con mascherina, elegante vestito a fiori con tanto di collana, mentre viene vaccinata sul braccio destro da una giovane infermiera, mi aveva fatto dimenticare il resto. Una sciagurata caduta con frattura dell’anca ci riportò tutti alla cruda realtà. L’operazione riuscì bene e la Moes sembrava in ripresa poi però gli ultimi messaggi non lasciavano speranza fino a quando Els mi scrisse “hanno appena chiamato i figli, temo che stiamo per perderla”. Pochi giorni dopo mi passò la triste notizia e che la Moes era morta nel sonno nella casa di riposo Armonea Woonzorgcentrum De Hovenier a Rumbeke, uno dei piccoli comuni di Roeselare. Dalle mie parti si dice che la morte nel sonno sia “la morte dei giusti” e così è stato per lei. Els mi chiese di non divulgare la notizia. Lo avrebbe fatto ufficialmente lei tramite la loro pagina Facebook. Questo maledetto Covid mi ha impedito di andare al funerale, ma io quel martedì ero lì col cuore. La prova che era tanto amata ci viene dagli articoli della stampa locale e dalle migliaia di testimonianze sui social da parte di tantissimi appassionati ed estimatori tra i quali non poteva mancare la nostra agguerrita e appassionata beer community che ha fatto sentire alla famiglia il calore e l’affetto che ci caratterizza.

Ho chiesto anche brevi contributi a Manuele Colonna e Anna Borrelli, entrambi intimi con la famiglia Herteleer nonché al danese Tony Trondhjem Sørensen e moglie Jonna, entrambi gravemente ed irreversibilmente malati di “De Dollite acuta”. Manuele mi ha scritto così: “Moes era parte di un mondo della birra che piano piano sta scomparendo. La sua figura era Casa, Tradizione, parte di una famiglia meravigliosa che è patrimonio di tutti gli amanti della vera Birra. Non poteva dirsi completa una visita nel magico birrificio di De Dolle senza un suo saluto. Mancherà.” Anna cita, di primo acchito, un tris di aneddoti: “Mi vengono subito in mente due immagini: la prima volta da De Dolle nel 2012 durante la nostra visita con Kris lei dietro con un gruppo in fiammingo che riprendeva suo figlio perché troppo lento con noi italiani; l’altra lei con il grembiule rosso ed il suo volto con espressione ferma e dolce allo stesso tempo mentre serviva i clienti allo shop. Ricordo anche il suo arrivo in birrificio con la sua macchina con targa DDB alle 14:00 pronta per tenere le visite in inglese e poi in fiammingo.” Tony e Jonna con immenso affetto mi scrivono così: “Cara Moes, quando abbiamo fatto con te il tour del birrificio, c’è stato sempre umorismo e belle storie da ascoltare. Rispondevi alle nostre domande soltanto se ritenevi fossero abbastanza buone e noi ti abbiamo amato per questo. Facile capire da chi abbia preso Kris.