A guardare con estrema serietà – forse più di ogni altro – all’ascesa dei “piccoli” è (paradosso apparente) il cartello globale largamente più potente sulla scena birraria del pianeta: il trust Anheuser-Busch InBev (AB InBev), in tasca un portafoglio sconfinato (oltre 300 brand) che va da Stella Artois alla Budweiser americana; in archivio una produzione che al 31 dicembre scorso era stata di 458 milioni di ettolitri (fonte statista.com). Ebbene, un colosso di tali proporzioni ha dovuto comunque incassare, idem nel 2014, alcune battute d’arresto parziali, ma significative, sia in assoluto, sia per le implicazioni di lungo respiro. In particolare, proprio nel Nord America (il suo feudo commerciale più solido e redditizio), il volume delle vendite è arretrato dell’1.3% (fonte Bloom- berg.com), e questo, in primis, a causa della declinante popolarità di un’etichetta di punta come la stessa Bud.
Le cui condizioni di salute, non smaglianti, sono del resto inequivocabilmente rappresentate dalle statistiche raccolte direttamente dagli analisti del mega-gruppo: un loro recente studio denuncia impietosamente come, tra i consumatori compresi nella fascia d’età 21-27 anni, il novero di quanti non hanno mai assaggiato una Bud arrivi a coprire il 44% del totale. Il che, tradotto, significa che in quel segmento, la metà della platea potenziale letteralmente ignora il prodotto: un segmento destinato a incidere sulle tendenze d’acquisto future. Ma non sono questi i soli indici preoccupanti per le big company. Un altro riguarda ad esempio il target specifico delle artigianali, la cui piattaforma si colloca prevalentemente (attorno al 60% secondo sitime Nielsen) entro il perimetro dei ceti economicamente benestanti: uno zoccolo duro di ampiezza per definizione circoscritta, però resistente e affidabile.
Allora, ed entriamo nel tema specifico: come reagisce il Ciclope infastidito in maniera così irritante dalla ciurma impudente di Ulisse? In due modi diversi, o meglio, agli antipodi l’uno rispetto all’altro: da una parte l’assorbimento di marchi craft; dall’altra la messa alla berlina di tutto l’universo che gravita loro attorno. Prendiamo in esame, per iniziare, questa seconda risposta, il dileggio. Sì: una delle strade consapevolmente imboccate per affrontare la nuova fase della battaglia della competizione è proprio lo scherno. Molti appassionati si ricorderanno durante il Super Bowl 2015, lo spot della Bud, nel quale – dopo aver esordito con un “fieramente industriale” – e “fatta per essere bevuta e non dissezionata”. proseguiva con uno strafottente: “Lasciamoli sorseggiare le loro Ale alla zucca e alla pesca”.
Ogni commento è superfluo, nel senso che ben chiari sono sia l’intento del messaggio, sia il registro espressivo scelto: quello di un attacco frontale con toni da caserma. Come se AB InBev – con spot di questo taglio – tentasse di recuperare al prodotto macro (forte, al di là di tutto, del suo basso costo) quelle frange di consumatori che, incuriosite dalla proposta craft, si sentono però – in America come in Italia – talvolta in difficoltà, in quanto vittime di un atteggiamento discriminatorio da parte di quegli appassionati inclini, erroneamente, a manifestare atteggiamenti di effettivo snobismo verso “chi ne sa meno”.