Sapevate che: aceto di malto e aceto di birra
Esplorare i meandri in cui la birra artigianale si addentra è sempre divertente, anche quando l’argomento lascia almeno all’inizio un po’ perplessi. Prendiamo il binomio birra e aceto, o meglio l’incontro fra l’antica arte dell’acetificazione e una materia prima quantomeno insolita. In Paesi come Germania, Austria e Olanda gli aceti di birra e di malto sono maggiormente rintracciabili.
L’aceto di malto ha origine da un mosto simile a quello base per la birrificazione, ma privo di luppolo. Dopo la fermentazione alcolica, viene permesso agli Acetobacter di ossidare l’etanolo e trasformare l’alcol in acido acetico; quindi il risultato del processo subisce un periodo di affinamento prima di entrare in commercio.
Più costoso, ma anche più aromatico, è l’aceto di birra, che si produce partendo dal prodotto finale mantenuto a contatto con l’aria all’interno di acetaie. In questo caso l’affinamento è più lungo e la presenza del luppolo ne amplifica lo spettro aromatico, aggiungendovi sfumature particolari.
Vediamo i birrifici che, almeno dichiaratamente, si sono cimentati in materia.
La partenza in ordine cronologico è da Valdellatorre, in provincia di Torino, dove il birrificio Gilac, nonostante la produzione dell’aceto sia al momento sospesa (e con essa la possibilità di assaggio), si pone a tutti gli effetti come pioniere del genere. Avviato nel 2009 e portato avanti per tre anni in collaborazione con un’acetaia piemontese, il progetto che ha visto nascere l’”Aceto di birra” targato Gilac ha preso le mosse da Sophie, Ale rossa sui 5,5% vol. Il processo di acetificazione ha visto l’utilizzo di un’unica botte di rovere della capacità di 200 litri: ci sono voluti circa quattro mesi per la “prima”, mentre i prelievi successivi sono stati via via rabboccati con birra fresca, garantendo continuità produttiva.
Decisamente in corsa è invece il trevigiano 32 Via dei Birrai, che da sempre coniuga alla qualità dei suoi prodotti un’immagine fresca e accattivante, con spunti a volte geniali. Loreno Michielin e soci hanno guardato all’Emilia, terra che vanta una lunga tradizione in tema, trovando in Andrea Bezzecchi (già autore di esperimenti autonomi con la Grand Cru di Toccalmatto) dell’Acetaia San Giacomo, nel modenese, il loro partner operativo. Materia prima non la birra ma il mosto parzialmente fermentato di Audace, Belgian Strong Ale sugli 8,5% vol che offre una base di partenza sufficientemente alcolica e zuccherina. Il metodo utilizzato è quello “statico” o di “acetificazione superficiale”, il più lento e naturale possibile (differente da quello “sommerso” industriale, che utilizza alte temperature e aggiunta di ossigeno per velocizzare il processo, che chiude nel giro di 24 ore). Parte del mosto è messa all’interno di tank di acciaio da 10 qt, coperti da un telo di juta o cotone per favorire il trapasso dell’ossigeno: l’acetificazione parte in genere in maniera autonoma, senza necessità di aggiungere il cosiddetto “velo”(v. box), con le successive parti di mosto via via unite nelle settimane successive. La durata del procedimento varia in base alle temperature naturali dell’ambiente di lavoro, più lento dunque nel periodo invernale, aggirandosi comunque sui 7/8 mesi. Ad acetificazione ultimata il prodotto viene spinato e sottoposto a una grossolana filtrazione (altra differenza dal mondo industriale, che a questa, più spinta, affianca anche una pastorizzazione). La prima mandata di “Ace to 32”, ottenuta da 500 litri di mosto, ha fatto il suo esordio lo scorso dicembre dopo un percorso produttivo cominciato a maggio, mentre per fine aprile è in programma la prossima uscita con oltre duemila bottiglie. Bella la veste scelta, in linea con lo stile del 32, che vede l’utilizzo di bottiglie da sciroppo con vaporizzatore della capacità di 250 ml verniciate di un arancione acceso. Curiosa e interessata ci dicono essere stata anche la reazione del mercato, con richieste già in aumento specie da parte di gastronomie e ristoranti. Quello partito come gioco è diventato insomma un progetto commerciale vero e proprio, entrando a pieno titolo nella gamma aziendale con ben due buttate produttive previste all’anno.
A intraprendere per primo la strada emiliana è stato però Birra del Borgo, con il sempre vulcanico Leonardo Di Vincenzo a scegliere per la sua creatura il sistema produttivo più noto e affascinante, quello dell’Aceto Balsamico Tradizionale. Da lì il coinvolgimento della reggiana Acetaia Dodi, da oltre un secolo specializzata proprio nella produzione di Balsamico Tradizionale di Modena e Reggio Emilia, che ha messo a disposizione le proprie conoscenze avviando una sperimentazione che, dopo l’estate, porterà all’esordio ufficiale del “Maledetto”. Anche qui si è scelto di partire da un mosto, non fermentato in questo caso, particolarmente ricco dal punto di vista zuccherino, dalle sensazioni caramellate e leggerissima luppolatura: quello della Reale, APA “da corsa” del birrificio rietino, realizzato nel 2010 e fatto concentrare. In acetaia la fermentazione è stata portata avanti in recipienti di acciaio per una cinquantina di giorni, intervenendo sulle temperature per evitare il blocco dell’azione dei lieviti inoculati (cosa che non accade in genere con il mosto di vino, che per caratteristiche chimiche “frena” molto raramente). A passaggio ultimato il fermentato ha trovato posto nell’habitat classico del Balsamico Tradizionale, una batteria di botti in legno dalla capacità decrescente – dai 250 ai 10 litri – in cui l’aceto, via via travasato nei recipienti più piccoli, sta ultimando il suo lungo percorso di affinamento. Dai 500 litri di iniziali i tre anni di lavorazione consegneranno con una resa attorno al 30% suppergiù 150 litri di aceto, che saranno confezionati nelle bottiglie rotondeggianti, usati per la Sedicigradi, in formato da 125 ml. Tre prodotti profondamente diversi uno dall’altro come si diceva, ma ancora una volta un unico innesco che trova nella curiosità e nella voglia di sperimentare, “contaminandosi”, il filo conduttore. Gli integralisti della birra sono serviti: ancora dubbi su quale aceto portare in tavola?