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Un birrificio faraonico: in Egitto torna alla luce un enorme sito produttivo di 5000 anni fa

Quasi tutti sanno ormai che la birra non era una semplice bevanda per l’antica cultura egiziana. Stiamo parlando di un cibo liquido che attraversava verticalmente e orizzontalmente la società: era apprezzata da adulti e bambini; era il nutrimento principale dei poveri egiziani; ma era protagonista anche nella dieta dei ricchi; era la paga degli operai, che ricevevano birra tre volte al giorno come parte del loro corrispettivo.

La notizia però che recentemente ha riportato l’attenzione su questa grandiosa civiltà del passato ha dell’incredibile: ad Abydos, 450 chilometri a sud de Il Cairo, un team di archeologi statunitensi e egiziani ha riportato alla luce quello che potrebbe essere il più antico birrificio conosciuto fino ad oggi. Se la datazione si confermasse corretta infatti il ritrovamento sarebbe riconducibile all’epoca di re Narmer vissuto intorno al 3100 a.C., il cosiddetto “re guerriero” (3150-2613 a.C.), sovrano la cui storia si fonde con il mito e a cui si deve l’unificazione fra Alto e Basso Egitto.

Secondo Matthew Adams, direttore della spedizione e docente presso l’Institute of Fine Arts della New York University, in base al numero di anfore e vasche di terracotta ritrovate la produzione avrebbe potuto raggiungere la sorprendente cifra di 22.400 litri a lotto. Un quantitativo decisamente enorme anche per i nostri tempi, che testimonia ancora una volta l’importanza della birra presso gli Egizi anche a livello religioso. Il birrificio sorgeva infatti vicino ad una importante necropoli ed area di culto e fin dai primi scavi del secolo scorso se ne era ipotizzata soltanto l’esistenza.

L’ottima conservazione del sito archeologico potrebbe inoltre rivelare importanti informazioni sulla metodologia produttiva impiegata. Gli studiosi all’opera hanno trovato infatti otto punti produttivi, ciascuno lungo 20 metri e largo 2,5 metri. Ogni unità comprendeva circa 40 recipienti di ceramica posizionati su due file, che venivano utilizzati per riscaldare una miscela di cereali e acqua per produrre birra. Un sito provvisto anche di forni per cuocere il pane visto che gli egizi realizzavano la bevanda a partire da un impasto molto simile a quello previsto per la panificazione. Il pane dopo essere stato leggermente cotto in vasi di terracotta veniva sbriciolato in piccoli pezzi prima di essere passato al setaccio con acqua, poi si aggiungeva zucchero sotto forma di datteri e si lasciava fermentare in una grande vasca aperta, per poi conservare in vasi di terracotta. Un mosto ante litteram che dava vita ad una liquido pastoso da sorseggiare direttamente dal vaso utilizzando una cannuccia con applicato un filtro all’estremità bassa, per evitare che il flusso venisse ostruito da eventuali sedimenti presenti nel recipiente.

 

L’antica birra egiziana non era particolarmente inebriante, ma piuttosto nutriente, densa e dolce. Tuttavia quantitativi elevati avevano il potere di regalare un’ebbrezza alcolica. Un mito popolare racconta di come la birra abbia salvato l’umanità quando l’ira di Sekhmet, venerata come divinità della guerra e rappresentata come donna dalla testa di leonessa, venne placata proprio con grandi quantitativi di birra colorata di rosso che lei aveva scambiato per sangue: divenne talmente ubriaca che svenne per tre giorni! Secondo un’altra leggenda fu Osiride che insegnò agli antichi egizi l’arte della produzione della birra, che, anche se non esclusivamente, era considerata un’attività femminile attraverso la quale le donne potevano anche guadagnare denaro per se stesse e le loro famiglie. Un altra conferma di quanto questa bevanda fosse amata e importante per gli egiziani? Una iscrizione datata intorno al 2200 aC recita: La bocca di un uomo veramente felice è piena di birra. Un motto che dopo quasi quattromila anni è ancora attuale!