Torta sbriciolata con marmellata di susine e Weizenbock
Per la serie, brutte ma buone, nel nostro angolo dedicato agli abbinamenti birrari, stendiamo stavolta il proverbiale tappeto rosso a un dessert – tipicamente autunnale, ma godibile un po’ in tutte le stagioni – che ha numerosi estimatori e propugnatori a varie latitudini, anche se le sue origini, riconducibili alla sbrisolona, ci portano a puntare la bussola senza dubbio verso il Nord Italia e, in particolare, in direzione della bellissima città di Mantova, dove questo dolce (dalle radici povere) è attestato fin dai tempi della Signoria dei Gonzaga.
In questo caso, ne trattiamo una variante, la torta sbriciolata: nello specifico la sua variante guarnita con marmellata di susine. Il dna è quello: una consistenza non compatta, ma – appunto – granulosa, ottenuta impastando gli ingredienti di base in un amalgama coeso ma non del tutto omogeneo né, tantomeno, pressato. Tale materia prima lavorata (farina, zucchero semolato, olio extravergine, nocciole tritate grossolanamente e lievito, più qualche goccia di limone) viene utilizzata per stendere in teglia un primo strato, al quale si sovrappongomo prima la marmellata di susine (a sua volta integrata con del succo di limone e mescolata ben bene), quindi un secondo strato (la copertura) d’impasto farinaceo. Il tutto va in forno per una mezz’ora: il tempo (breve, onestamente) di farsi venire l’acquolina, per poi scatenare le mandibole.
Accompagnamenti? Un ventaglio discretamente articolato: perché anche un Barley Wine, un Wheat Wine, ona Old Ale o una Strong Belgian potrebbero andare. Ma, come si dice, la morte sua, è secondo noi una Weizenbock, preferibilmente Dunkel. Perché la sbriciolata ha struttura robusta, benché non solida, dunque chiama corporeità importanti; ha carboidrati e soprattutto grassi (all’olio si può sostituire il burro) di cui far pulizia, quindi esige funzioni sgrassanti, come la frizzantezza, l’alcol e l’acidità. Una componente sollecitata anche dall’uso del limone e dalla natura stessa della confettura che abbiamo scelto, la susina, nella cui polpa zuccheri e venature asprigne s’intrecciano indissolubilmente.
E poi, non dimentichiamoci, abbiamo di fronte un dessert, che, in quanto tale, chiede fondamentali di dolcezza (morbidezza almeno) anche da parte del bicchiere-partner. Insomma, l’identikit anonimamente tracciato fa volgere lo sguardo verso le birre di grano tedesche, nelle loro sensuali versioni maggiorate: scure preferibilmente, perché la cottura della ricetta e la presenza di nocciole cerca corrispondenti tostature nella birra accompagnatrice. Andando al sodo dunque, fuori qualche nome! Ne proponiamo quattro: la paradigmatica (per lo stile) Aventinus di casa Schneider (8.2 gradi); sempre, in Germania, la delicata – e meravigliosamente fruttata, con nitide venature di susina – Augustus della scuderia Riegele (8%); la scozzese Abstrakt AB:14 di BrewDog (10.2%); e infine, tra le non moltissime performances italiane in questo campo, la Sennora (9%) della gamma Lara (Sardegna).