Strano ma vero: metti una birra nel mare
Storia e leggenda delle IPA e dei loro viaggi dai docks di Londra al subcontinente indiano doppiando il Capo di Buona Speranza, sono ormai consolidate nella memoria di ogni appassionato di birra che si rispetti: basti qui ricordare ancora una volta che non si trattò dell’invenzione di un nuovo stile per adattarlo al lungo viaggio ma del successo nella perla dell’impero britannico di una tipologia preesistente chiamata October Ale e ribattezzata, dopo circa trent’anni di spedizioni, prima Pale Ale as Prepared for India e poi India Pale Ale.
La rinascita, sia pure sotto un vestito di luppolature americane e oceaniche, dello stile ha però dato vita a un paio di divertenti e interessanti esperimenti rievocativi in terra britannica.
Nel 2007, infatti, il beer writer Pete Brown convinse Steve Wellington, birraio di lungo corso all’epoca addetto alla produzione nel Museum Brewery della Bass a Burton on Trent, a produrre un piccolo batch di una IPA storica ispirata alla Bass Continental, una specialità brassicola la cui produzione era cessata dopo la Seconda Guerra Mondiale, con acqua di Burton non trattata, malti Pale e Crystal, una massiccia luppolatura, sia a caldo che in cask, effettuata con la varietà Northdown e due ceppi di lievito provenienti dal birrificio Worthington. Un cask da quattro galloni e mezzo della birra, chiamata Calcutta IPA e dotata di una gradazione alcolica di circa 7% ABV, fu poi condotto da Brown in un viaggio in nave seguendo l’antica rotta di circumnavigazione dell’Africa dopo aver toccato il Brasile e l’isola di Sant’Elena: il resoconto dell’avventuroso percorso è la trama del libro Hops and Glory. One man’s search for the beer that built the British Empire.
Un anno più tardi anche BrewDog iniziò il progetto Making a Real India Pale Ale recuperando una ricetta, vecchia di 210 anni, di una IPA da 8% di alcol in volume e luppolata con East Kent Goldings e Bramling Cross fino ad arrivare a 90 IBU, la birra fu poi affinata in botti di quercia trasportate sul ponte della nave North Atlantic Trawler per un viaggio di due mesi tra i fiordi norvegesi. Cinque anni dopo i ragazzi scozzesi lanciarono poi sul mercato la Old World India Pale Ale, con una ricetta leggermente rivista: 7,5% di alcol in volume, malti Maris Otter Extra Pale, Amber e Crystal, luppolatura con Bramling Cross e First Gold e, naturalmente, un bel viaggio in nave durante la maturazione.
A volte, ahimè, i bastimenti affondano e il loro carico viene recuperato solo dopo moltissimo tempo, dando l’opportunità di studiare l’evoluzione dei prodotti rimasti sul fondale per decenni o secoli. Due naufragi, in particolare, hanno dato vita a sperimentazioni birrarie.
Il primo riguarda l’affondamento della Sidney Cove, una nave della società coloniale inglese Campbell & Clark, avvenuto il 9 febbraio 1797 nei pressi della Preservation Island, a nord della Tasmania, lungo la rotta Calcutta-Sidney. Nel 2002 un gruppo di archeologi marini guidati da Mike Nash recuperò il carico, tra cui vi erano ventisei bottiglie di birra all’interno delle quali vennero individuati, mediante analisi di laboratorio, ceppi di Saccaromyces simili al lievito Trappist Ale nonché colonie di Brettanomiceti. Dopo lunghe sperimentazioni per “domare” questi lieviti inusitati, nel 2018 il birrificio australiano James Squire Brewery (il cui nome rievoca il pioniere della birrificazione nel Continente Nuovissimo, un uomo arrivato in Oceania da galeotto a bordo della nave-prigione First Fleet, a riprova che quasi tutti meritano una seconda opportunità nella vita) produsse una Porter ispirata alle originali inglesi del XVIII secolo: chi l’ha potuta assaggiare riferisce di gradevoli sentori di ribes nero, mirtillo e spezie calde.
Il secondo naufragio significativo è quello di un brigantino colato a picco nel 1842 al largo delle isole Aland, in acque finlandesi: il sub Christian Ekström e la sua squadra entrarono in azione nel 2010 e riportarono in superficie, insieme ad altre mercanzie, centosessantotto bottiglie di champagne e cinque di birra. I vini, a marca Veuve Cliquot Ponsardin, Heisdieck e Juglar, vennero battuti all’asta a circa quindicimila dollari a bottiglia dopo essere state studiati dal punto di vista organolettico e batteriologico: l’analisi del DNA sulle cellule di lievito rivelarono che gli champagne dell’epoca erano assai probabilmente meno alcolici e più dolci di quelli di oggi. Le birre, il cui produttore rimane ignoto, esibivano invece note aromatiche di tabacco e cereale congiuntamente ad off flavour sulfurei e di gomma bruciata: le analisi di laboratorio evidenziarono che si era di fronte a tipologie diverse perché una conteneva più residui di luppolo delle altre, le cellule di lievito presenti nel liquido erano tutte morte ma alcuni batteri erano ancora vivi e questo ha permesso al VTT Technical Resarch Center di Helsinki e all’Università di Lovanio di ricostruire il corredo di organismi fermentanti e di brassare, con la collaborazione del birrificio finlandese Stallhagen, alcuni birre sperimentali con essi. Ho potuto assaggiarne una in Finlandia nell’estate 2020 e devo dire che mi ha ricordato un lambic con meno complessità gustolfattiva (ricordo sentori di mela matura, petali di rosa e una nota burrosa) e più zuccheri residui.
Tra il serio e il faceto, si può chiudere citando la trovata, che pare più commerciale che altro, di Oliver Köhn, mastro birraio del microbirrificio Bierbrise di Cuxhaven, cittadina portuale della Bassa Sassonia, lungo l’estuario del fiume Elba. L’intraprendente Köhn ha infatti iniziato nell’autunno 2020 a lasciare qualche decina di bottiglie a mollo per dodici settimane alla foce del fiume al fine di farle ricoprire di cirripedi, piccoli crostacei marini che aderiscono al vetro. Una volte pulite dalle impurità e firmate a laser, le bottiglie aggredite dai cirripedi vengono poste in un cofanetto di legno, corredate di un paio di guanti per maneggiarle e aprirle senza procurarsi tagli alle mani e vendute a 59,90€: un bel salto di prezzo rispetto ai 9,80€ delle “ordinarie” bottiglie da 75 cl di Cuxhaven Bierbrise.
Il romanzo sentimentale tra mare e birra ci regalerà sempre nuovi capitoli, siatene certi!