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Sformato di spinaci al caprino e double blanche

Sarà o no, lo spinacio, un attore largamente e frequentemente protagonista, sul palcoscenico delle tavole italiane? Ebbene, malgrado la risposta sia chiaramente sì, in realtà la sua storia, come presenza comune nei menù e nelle diete della Penisola, risulta abbastanza recente.

flan spinaci

Originario dell’Asia sudoccidentale e probabilmente dell’area iranica (dove fonti ne attestano la diffusione fin da due millenni prima di Cristo) è stato importato massicciamente in Europa solo a partire dai decenni a cavallo del passaggio tra X e XI secolo, ad opera sia degli Arabi (che in quella fase governavano ampie zone del continente), sia da parte dei crociati di ritorno dalle battaglie in Terra Santa. Da noi lo si prende a coltivare fra il Due e il Trecento; e ancora nel Cinquecento lo si cita – ad esempio in testi medici – come erba nuova. Sarà poi con il’Ottocento, e ancor più con il secolo scorso, che il nostro ortaggio s’inserirà stabilmente ai piani alti della classifiche di consumo più o meno in tutto l’Occidente: traendo fra l’altro – il dato è bizzarro, ma comprovato – grande popolarità (e quindi slancio nell’attecchire tra le abitudini alimentari di questo emisfero), dal suo ruolo nelle avventure di Popeye, il quale, cibandosene, acquistava la sua forza sovrumana. Ora, sebbene non così miracoloso, si tratta comunque di una pianta dalle grandi virtù: ricca di sali minerali (ferro in primis, appunto), di vitamine, di luteina (importante per la salute della retina oculare e quindi della vista), di fibre regolatrici delle funzioni intestinali.  

Protagonisti o coprotagonisti in tante specialità e tradizionali (dalla pasta ripiena alle torte salate), in questa occasione lo cuciniamo nelle vesti di sformato, cosparso con crema di formaggio caprino. Per inquadrare la ricetta partiamo da quest’ultima: la guarnizione si prepara con burro, latte, farina e caprino fresco; mentre il nucleo fondante del piatto, il flan, necessita di pangrattato, extravergine d’oliva, uova intere, formaggio stagionato (vaccino di preferenza), pinoli, sale e pepe. E dunque, chiamiamolo pure tortino, al diminutivo: ma sostanza ne ha tanta. Ha una bella dorsale di proteine e lipidi; ha intensità sensoriale complessiva da vendere (in impatto e persistenza); ha un respiro olfattivo importante, segnato dalle veraci note animali del caprino e dalle vegetalità carnose della nostra verdura. Scendendo nel dettaglio, il Dna gustativo è imperniato sui cardini della morbidezza dei latticini, della frutta secca e dell’olio (che neutralizzano quasi del tutto i tratti amaricanti dell’ortaggio); sulla sapidità dei formaggi; sulla lieve acidità ascrivibile (ancora) al caprino, oltre che all’Extravergine. 

Prese questFloreffe blancheo genere di misure, la scelta brassicola per l’accompagnamento del nostro sformato di spinaci al caprino potrebbe spaziare attraverso varie categorie; provando ad andare oltre le classificazioni più spesso gettonate, puntiamo la lente verso un ramo particolare della famiglia Wit: quello delle cosiddette Double Blanche ovvero le interpretazioni più muscolari e strutturate. Tali versioni conservano comunque – per svolgere la funzione sgrassante cui il sorso è chiamato – frizzantezza e guizzo acidulo (quest’ultimo mai a rischio di contrasto con interferenze amaricanti che, come anticipato, risultano praticamente mutizzate); ma al contempo possono mettere sul ring spessori corporei e stazza etilica all’altezza di un competitore la cui densità specifica, come visto, è tutt’altro che quella di un peso piuma. E poi, se lo sformato cala la carta dei profumi, coesi e incisivi, la nostra birra saprà rispondere da pari, grazie agli esteri del suo lievito selezionato e grazie alle spezie direttamente aggiunte come aromatizzanti supplementari.

Vabbe’, a questo punto gli identikit. Due belghe, per cominciare: l’ambrata Blanche des Honnelles, evergreeen da 6 gradi alcolici della Abbaye des Rocs (Montignies-sur-Roc, Hainaut); e la dorata Jan De Lichte (7.5%, con avena e grano saraceno, accanto a malto d’orzo e di frumento) targata Glazen Toren (Erpe-Mare, Fiandre Orientali). Poi una produzione a stelle e strisce, la Double Wit (8,1%) firmata da Great Divide (Denver, Colorado); e infine una performance tricolore: la Double Blanche della gamma Etnia (Pavia), che segna 7 gradi e che in ricetta prevede anche pepe di Guinea.