Matrimoni birrari: hamburger gourmet
La polpetta di carne è probabilmente originaria dei porti anseatici tedeschi e più specificatamente della città di Amburgo, da cui prende il nome, portata negli Stati Uniti dai numerosissimi immigrati tedeschi all’inizio del XIX secolo. L’hamburger steak ha invece storia più remota e affonda le sue origini probabilmente nella consuetudine dei guerrieri tartari di piazzare un pezzo di carne tra il loro fondoschiena e il cavallo durante i trasferimenti, per averla perfettamente matura, “frollata” e più tenera.
In Italia le mamme degli anni ‘60 e ‘70 hanno sempre chiamato la polpetta di carne macinata, spesso di pollo o tacchino, la “Svizzera”, connotandole una vaga origine geografica nordica e forse anche una malcelata denigra- zione per la cucina dei Cantoni. Ma la vera invasione dell’hamburger e della sottocultura del fast-food in Italia è databile nei famigerati anni ‘80, epoca della Milano da Bere e, ahinoi, da mangiare. Solo allora capimmo di cosa si ingozzava il leggendario J. Wellington Wimpy, alias Poldo Sbaffini, che avevamo visto ingoiare questi strani panini tondi sotto gli occhi del vegetariano Braccio di Ferro. Mentre i genitori elevavano al rango di ricetta le pennette alla vodka, i figli “paninari,” con Moncler, cintura Charro e Timberland d’ordinanza, sostituivano la sana merenda italiana rimpinzandosi come oche nello scomparso fast-food Margy in via Torino. Più tardi arriverà la corazzata McDonald’s a colonizzare i centri commerciali, e purtroppo anche i centri storici, in tutta Italia, diventando parte fondante della dieta di una generazione di poveri bimbi sovrappeso. Ma non è di questo hamburger popolare, accessibile e predigerito, che vogliamo parlare, bensì di questa moda di ritorno per un panino pantagruelico, che in comune con i suoi omologhi da fast-food ha solo il nome e la ricetta, ma che già dal listino prezzi dichiara la sua differenza. Con la stessa cifra che serve per comprare uno di questi abnormi polpettoni salsati si possono comprare una dozzina di cheeseburger velocisti: questa, all’incirca, la scala di valori. Forse sono proprio gli stessi ex-adolescenti che si vestivano come la macchietta di Drive In interpretata da Enzo Braschi che, trent’anni più tardi, professionisti e manager affermati, cercano di rivivere la loro giovinezza tentando di mordere queste installazioni ipercolesterolizzate. Sì, perché si tratta di tentativi, destinati a fallire miseramente. Bisogna avere l’apertura mandibolare di un pitone africano o paragonabile a quella di Jenna Jameson per sperare di poter addentare, come si dovrebbe fare con un panino, questi hamburger moderni. Infatti, forse per dare una giustificazione dell’esborso che ci attende, vengono in genere già serviti con le posate, e il nostro tuffo nel passato ne perde un po’. Sono comunque di norma buonissimi, con carni scelte che vanno dalla Fassona Piemontese al Manzo Argentino fino alla Chianina della Catalogna (sic!). La polpetta, sempre molto sugosa e leggermente saignée, viene ricoperta di finissimi Cheddar fusi, arricchita con cetrioli giganti in agrodolce, cipolle di Tropea caramellate e affogata in salse barbecue prodotte sui monti Appalachi da casalinghe disperate. Un’ultima parola per il pane, sfornato da stars del panificato con farine manitoba, lievito madre e ricoperto di sesamo bruno. Insomma, una preparazione molto ricca in cui grassezza, succulenza e untuosità svolgono i ruoli principali, e che necessita di un abbinamento birrario di pari intensità e forza.
La scelta è caduta sulla Bush Ambrée, altrimenti conosciuta come Bush 12, alias per il mercato USA Scaldis Amber. Sì perché questa birra, su pressante e poco amichevole richiesta della Anheuser-Busch (titolare del capolavoro Bud Light), ha dovuto cambiare nome prendendo quello del fiume Schelde, la più importante via commerciale del Belgio che collega il porto di Anversa con l’entroterra. La famiglia Dubuisson ha cominciato a fare birra nel 1769, la Anheuser-Bush nel 1852, ma tant’é: ubi maior minor cessat! La Brasserie, che potete visitare a Pipaix, in Vallonia, produce una gamma variegata di birre tra cui occorre citare la versione natalizia, la Bush de Noël, e due straordinarie birre passate in botte, la Bush Pre- stige e la Bush de Nuits, affinata in pièces che hanno contenuto del Bourgogne de Nuits St Georges.
Tornando al nostro abbinamento, la Ambrée è una birra molto sottovalutata ma di grandissima esecuzione, come solo i Belgi sanno fare. L’alcool è davvero importante, e seppur non riesca totalmente a nascondersi, palesandosi in un’evidente nota etilica, la rende nobile, intersecato al grandissimo fruttato che il bouquet ci offre. La pesca, l’albicocca, l’ananas diventano dunque frutta sotto spirito, di grande eleganza e finezza, il tutto rinfrescato da una nota pepata molto evidente avvertibile anche a fine sorso. L’abbinamento è riuscitissimo: i 12 gradi fanno il loro lavoro e portano inesorabilmente via la liquidità degli umori della carne e della succulenza del pane. La generosa carbonazione ripulisce alla perfezione il grasso e il nascosto, ma presente, finale amaro bilancia la dolcezza dei carboidrati.