Lieviti selvaggi e batteri: chi sono e come si manifestano nella birra
Come si comportano lieviti selvaggi e batteri nella birra e cosa apportano nel bicchiere? Eccovi una carrellata dei principali “mostri” che, al di là delle apparenze e della paura suscitata dai nomi, possono caratterizzare la bevuta regalando spessore e ricchezza gusto-olfattiva.
Partiamo con gli enterobatteri famosi per dominare la prima fase fermentativa del Lambic (nei primi due mesi circa) consumando zuccheri e trasformandoli in acido acetico, acido lattico e acidi grassi. Stiamo parlando dei responsabili dei sentori mielati e quasi burrosi che si possono riscontrare gustando uno jong lambic di meno di sei mesi e mettono la loro firma anche su molti off flavour caratteristici. Tra i loro numerosi sottoprodotti fermentativi troviamo infatti alcoli superiori, fenoli, sentori vegetali di sedano e pastinaca, il diacetile, tipico dell’Hafnia Protea, l’acido butirrico, dal caratteristico odore di vomito o deiezione di neonato, isovalerico, dato dall’enterobatterio Clostridium e contraddistinto da un violento aroma di burro rancido e formaggio pecorino vecchio, e caproico, che porta con sé sentori di burro rancido e capra, DMS, dimetil disulfide (simile al DMS e che ricorda la cipolla cotta), diossido di zolfo (odore di fiammifero) e, dulcis in fundo, mercaptani e indolo, generati dall’Escherichia Coli e recanti sentori enterici e fecali. Sembra una piccola bottega degli orrori, ma gli enterobatteri soccombono presto grazie all’abbassamento del pH del liquido e quindi i loro prodotti secondari sono trascurabili nella birra finita e se sono presenti in modo massiccio si tratta di difetti. Nella stessa prima fase sono presenti anche altri fermentanti come i Saccaromyces Dairensis e Globosus: quest’ultimo è usato anche per produrre vini frizzanti, ha un’elevatissima tolleranza all’alcol (fino a 18% ABV) e può sopravvivere anche nella fasi fermentative successive producendo ovviamente alcol etilico ed esteri fruttati. Un ulteriore batterio che interviene nella prima fase di una fermentazione spontanea è la Kloeckera apiculata che fermenta il glucosio ma non il maltosio e produce etilacetato (pera matura) ed altri esteri fruttati, floreali e agrumati. L’ultimo passaggio permette dunque di iniziare a capire perché uno jong lambic non sia necessariamente un’esperienza disgustosa, anzi, è sovente piacevole e approcciabile anche a chi non si trovi a proprio agio con l’acidità più tagliente e la secchezza di un oud lambic o di una gueuze: la chiave è la prevalenza di sentori mielati, di frutta a polpa gialla e di mela e pera uniti alla ancora percepibile presenza di zuccheri residui.
I pediococchi sono i principali responsabili dell’acidità dei Lambic e co-protagonisti, accanto ai lactobacilli, di quella delle Red Flemish e Oud Bruin tradizionali. Oggi sono non di rado coltivati in quantità e varietà selezionate da parte di birrifici che producono wild beers scegliendo la strada dell’inoculo anziché della fermentazione spontanea. I pediococchi fermentano il glucosio in acido lattico come il lactobacilli, ma, a differenza di questi ultimi, non producono anidride carbonica. Tra i loro sottoprodotti ci sono il diacetile, che viene quasi sempre riassorbito nelle fasi successive della fermentazione ed è infatti raro da trovare nelle sour “mature” (si è già accennato alla sua presenza nel lambic giovane) e l’acetoina, che dona un gradevole aroma di mandorle e panna fresca. Dal momento che l’acido lattico, da loro prodotto in grande quantità, è inodore, il contributo dei pedio è in gran parte gustativo e palatale, con la caratteristica acidità da yogurt magro e smetana che si riscontra in birre contaminate o inoculate da questa famiglia di batteri. Un altro effetto secondario importante dei pedio è la creazione di un microfilm viscoso di carboidrati, acidi grassi e proteine che ricopre il liquido nel recipiente di fermentazione, nei Lambic e nelle fermentazioni miste. Questo slime, oggettivamente poco gradevole da vedere, viene decomposto dai Brettanomiceti. Dal momento che i pedio sono più resistenti dei lacto alla blanda azione antibatterica dei luppoli, è tradizionalmente più frequente che siano protagonisti di contaminazioni indesiderate (spesso ad opera di un ceppo significativamente chiamato pediococcus damnosus) nei birrifici. Il damnosus è comunque un elemento tradizionalmente presente nei Lambic e nelle fermentazioni miste fiamminghe. Presso Rodenbach è stato individuato una specie particolare chiamata pediococcus parvulus, che inizia a riprodursi a pH più alti e temperature più basse rispetto ai pedio più diffusi ed è tra i responsabile della peculiare acidità delle birre della casa.
I lactobacilli giocano al contrario un ruolo da primattori nelle Gose e Berliner Weisse e nelle fermentazioni miste fiamminghe mentre sono marginali nel Lambic, anche se colonie di lacto sono presenti presso alcuni produttori (la schietta acidità lattica è una caratteristica che si può cogliere nei prodotti non dolcificati di Lindemans, ad esempio) e allignano tipicamente nelle botti più grandi, come i celebri foeder di Rodenbach. Esistono molte specie di lacto, alcuni, come il delbrueckii, fermentando zuccheri producono solo acido lattico, che, come già detto, è inodore, e offre quindi solo un contributo gustativo alla birra finita; altri come il brevis producono numerosi composti come acido acetico, isovalerico, butirrico e diacetile. La concentrazione di questi prodotti secondari determina se nella nostra birra ci sarà una piacevole freschezza acidula accompagnata da una rotondità palatale simile alla panna acida o se avremo sgradevoli e aggressivi aromi di formaggio stantio e burro rancido. La presenza di acido lattico in un mosto facilita inoltre la formazione di etil lattato, un estere che ha un gradevole aroma di frutta matura e cocco. Nelle Gose e Berliner Weisse si cerca sovente di dare una moderata acidità con la tecnica del sour mash o sour wort sfruttando l’elevata presenza di lactobacilli sulle glumelle dei chicchi di orzo maltato introducendone una modica quantità in mosto non luppolato (il delbrueckii viene ucciso dalle componenti batteriostatiche dei luppoli mentre il brevis può sopravvivere anche in presenza di discrete quantità di luppolo) e attendendo l’acidificazione. Molti birrifici, anche artigianali, invece preferiscono introdurre sbrigativamente acido lattico ma il risultato finale sarà indubbiamente improntato ad un’acidità più grezza e, soprattutto, caratterizzato da una minore complessità e profondità olfattiva e gustativa, dal momento che mancano i prodotti secondari del lavoro dei batteri lattici.
I brettanomiceti sono sicuramente la famiglia più interessante dal punto di vista olfattivo e gustativo, tanto per la loro presenza in tipologie tradizionali come i Lambic, quanto per il loro utilizzo, sia di derivazione sponteanea (specie sfruttando la loro presenza nelle botti) che tramite inoculo, nelle wild e sour che stanno conquistando l’attenzione e il mercato dell’attuale scena craft.La presenza della categoria Brett Beer al Great American Festival e alla World Beer Cup è senz’altro indice di una dinamica decisamente crescente delle birre caratterizzate da questi lieviti. Il primo equivoco da chiarire riguardo a questi simpatici microrganismi è infatti che si tratta di lieviti, al pari dei Saccaromiceti, e non di batteri, come gli altri precedentemente citati. Il secondo luogo comune riguarda il loro potere acidificante, che è in realtà molto ridotto se sono usati come lieviti da fermentazione primaria e senza introduzione di ossigeno dopo la fase lag (periodo impiegato dal microrganismo ad adattarsi all’ambiente): solo in presenza di rilevanti quantità di ossigeno (ad esempio tramite un passaggio in botte), infatti, i Brett producono acido acetico mentre il loro output più tipico sono esteri e fenoli. Queste due parole, ben note all’appassionato di birre, possono significare sia paradiso che inferno, dal momento che nella famiglia degli esteri si può passare da piacevoli aromi di pera, mela, banana, ananas a sentori pungenti di solvente; mentre tra i fenoli, a seconda della concentrazione, possiamo avere eleganti ricordi di anice, anice stellato, chiodo di garofano, pepe bianco o nero oppure assai meno aggraziati “profumi” di medicinale, plastica, disinfettante, pneumatico, fuoco elettrico. Le note animali di cuoio, pelle di salame, ematico, sudore, stallatico, pollaio, sella di cavallo o di capra sono un altro caratteristico effetto secondario dell’uso dei Brett, ma ancora una volta dipende quali ceppi di questi lieviti sono stati utilizzati, in quale fase della fermentazione e a quale concentrazione. Un’utile guida in questa selva odorosa è il lavoro di Chad Michael Yakobson, fondatore di Crooked Stave nonché microbiologo, enologo e laureato in birrificazione. Yakobson critica spesso i suoi colleghi per le imprecisioni nella nomenclatura ribadendo come esistono cinque specie principali di Brett di cui solo tre di grande interesse birrario: il Bruxellensis (chiamato a volte Lambicus Abstinens, Custersii o Intermedius), l’Anomalus (chiamato talvolta Claussenii) e il Custersianus; mentre i restanti due, Naardensis e Nanus, non rivestono particolare importanza nella birrificazione. Ogni specie si suddivide poi in molteplici sottospecie e ciò spiega le caratterizzazioni molto diverse che ogni maison di Lambic mostra nei suoi prodotti: si tratta di diverse sottospecie di Bruxellensis che posso donare tutta la gamma di aromi che vanno dall’agrume (il limone di Cantillon, il cedro di Drie Fonteinen…) o crostata di ciliegie fino ai sentori più aggressivi di sangue e stallatico. Sempre Yakobson ha osservato come nelle birre i Brett tendano a produrre fenoli dall’aroma di garofano e pepe mentre nel vino virino più spesso verso il medicinale a causa della maggior presenza di cellule di lievito nelle birre. Questa considerazione oltre a spiegare il maggior astio degli enologi verso questi lieviti, ciò fa dedurre come un pitching rate sufficientemente alto possa evitare molti off flavour. Un ruolo importante dei Brettanomiceti nelle fermentazioni spontanee è quello, già citato, di combinare gli acidi grassi dall’aroma poco piacevole (diacetile in primis) prodotti da enterobatteri, pedio e lactobacilli con gli alcoli generando profumi fruttati ben più gradevoli. Questo è il motivo per cui le Gueuze hanno spesso una maggiore finezza olfattiva e minori off flavour rispetto al Lambic piatto. Molto interessante è osservare come i Brett si comportino diversamente quando sono impiegati come lieviti esclusivi rispetto a quando intervengono dopo il lavoro dei Saccaromiceti ordinari. Quest’ultimo è il caso della celeberrima Orval, in cui il contributo dei Brett, che si esplica in sentori di tabacco, cuoio e vaniglia, incrementa con la maturazione in bottiglia ed è molto più evidente dopo 18-24 mesi dall’imbottigliamento rispetto a quanto lo sia nella birra fresca, oltreché delle fermentazioni miste tradizionali. Quando i Brett intervengono in seconda battuta hanno a disposizione per il loro lavoro solo zuccheri complessi non fermentati dai Saccaromiceti nonché esteri e fenoli prodotti da questi ultimi, composti dei quali sono abili “rimasticatori” e “trasformatori”. Si ha così un’evoluzione molto lunga, che può durare mesi o anni, una notevole complessità aromatica e sentori funky che possono essere piuttosto aggressivi.
L’uso esclusivo è invece il fulcro d’interesse delle moderne sperimentazioni con birre fermentate al 100% da brettanomiceti. Quando sono subito introdotti o inoculati nel mosto appena raffreddato questi lieviti lavorano in modo molto più rapido, attaccando in prima battuta gli zuccheri semplici e ottenendo una gravità finale stabile nel giro di settimane anziché di giorni (la tempistica più breve è ovviamente un grande vantaggio per il birrificio rispetto alla fermentazione spontanea o mista tradizionale). Mancando gli esteri e i fenoli generati dal lievito ordinario, il profilo aromatico di una birra fermentata al 100% con Brett sarà meno complesso e profondo rispetto a una fermentazione mista, ma gli aromi risultanti saranno più fini ed eleganti: ad esempio il Bruxellensis/Lambicus darà sentori di crostata di amarene anziché amarena fresca unita a note funky o di pelle di salame, il Claussenii/Anomalus quando viene inoculato in purezza al 100% non dona risultati troppo diversi da quelli di un lievito belga ordinario, con ricchezza di gradevoli esteri di frutta matura (ananas, pera, pesca sciroppata) e delicate note fenoliche o di aldeidi (mandorla, frutta a guscio). La strada che alcuni birrifici americani hanno trovato per unire finezza, complessità e, con un occhio al bilancio, rapidità di maturazione, è quella di condurre una fermentazione al 100% Brett su un mosto acidificato con sour mash o sour worting: i Brettanomiceti possono infatti proliferare ad un pH che sarebbe letalmente basso per i lieviti ordinari e l’acidificazione porta con sé acidi grassi e altri composti aromatici che il Brett prescelto va ad ingentilire. Gomma bruciata, fuoco elettrico e altri fenoli sgradevoli sono sovente causati da una fermentazione con Brett giocata a temperature troppo alte (Crooked Stave inocula a 20°C e lascia salire nei primi giorni al massimo a 23°C). Al fine di ottenere un profilo aromatico pulito è anche importante il rapporto tra ossigenazione, che se in eccesso può favorire l’acidificazione ma se in difetto moltiplica sentori funky che possono virare su note sgradevoli, e pitching, per il quale viene raccomandato un tasso a metà tra quello usato per le ale e quello tipico delle lager.
Profumo o puzza? Dipende dunque dalla familiarità, che ci permette di apprezzare aromi nuovi e inconsueti ma molto dal lavoro del birraio: più acido e più funky non sono sinonimo di più “schiettezza” o di maggiore artigianalità, spesso sono al contrario frutto di maggiore improvvisazione e minore competenza tecnica.