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Effetto botte: le conseguenze nel bicchiere del barrel aging 

Mi piace ascoltare i commenti delle persone che si approcciano per la prima volta alle birre in botte, così come le esperienze degli homebrewer che, affascinati dalle sour, si lanciano nell’acquisto di caratelli e il più delle volte si trovano a dover gestire qualcosa che esula dalle fermentazioni tradizionali, ritrovandosi nel bicchiere birre molto lontane dalle loro aspettative.

 

Miti e leggende

Quando propongo delle birre affinate in legno a persone che si sono avvicinate da poco alle produzioni artigianali il più delle volte le associano o a birre molto alcoliche con percezioni tanniche, o a birre acide e “puzzone”, lontane cugine dei vini a fermentazione naturale. La verità come ben sappiamo è diversa, erroneamente si associa alla parola “Brett” acidità e puzzette varie che sono tipiche dei Lambic del Belgio, dove oltre ai brettanomyces entrano in gioco altri microrganismi, soprattutto i batteri lattici come Pediococchi e Lattobacilli, a completare il bouquet aromatico tipico di questo stile. 

Soltanto quando si comincia a conoscere meglio i brettanomyces, si comprende che in condizioni aerobiche possono produrre acido acetico, contribuendo all’acidità finale. La fonte principale di nutrimento è il glucosio, ma sono in grado di metabolizzare zuccheri più complessi come disaccaridi, trisaccaridi, destrine e con il tempo anche la cellulosa. Per questo motivo le birre fermentate o affinate con questo lievito risultano molto attenuate e ipocaloriche. La capacità di metabolizzare anche la cellulosa li mantiene in vita nelle barrique vuote in ambienti molto umidi per molto tempo. In aerobiosi e con pochi nutrienti a disposizione riescono a metabolizzare l’acido acetico ed il metanolo come fonte di nutrimento, mentre in anaerobiosi riescono a produrre etanolo e sono resistenti sia all’alcol (13-15% vol) che a pH molto bassi (circa 3).

Per quanto riguarda l’apporto aromatico i brettanomyces producono sia fenoli che esteri, i primi sono responsabili delle tipiche “puzzette”, come il sudore di cavallo, affumicato, cuoio e anche medicinale. La parte degli esteri invece è quella che conferisce alla birra aromi fruttati. Ovviamente, in base alle condizioni in cui si trova e alla specie utilizzata, possiamo avere aromi che spaziano dalla frutta a pasta gialla, come l’ananas e la pesca, fino a note di frutti rossi.

Brett: come si usano e perché

Gestire questi lieviti non è una cosa semplice, perché in base a dove si trovano, e soprattutto nelle condizioni in cui si trovano, possono tirare fuori una gamma di aromi e sapori molto interessanti, ma anche fenoli poco piacevoli. Tralasciando il fantastico e complesso mondo dei Lambic e del Pajottenland, vediamo un po’ come si possono utilizzare:

  • All’Americana, ovvero come unico lievito. In questo modo il brett trovandosi anche in fase di aerobiosi e con molti zuccheri da metabolizzare sarà capace di produrre birre dal profilo acetico molto accentuato.
  • Brett & Saccharomyces. Questa è una delle tecniche più utilizzata dove la fermentazione primaria viene fatta da lieviti neutri o poco attenuanti e successivamente si inoculano i brettanomyces (non esclusivamente in botte ma anche in acciaio o in bottiglia come nel caso delle Orval) che grazie alle loro caratteristiche metabolizzeranno gli zuccheri disponibili, e trovandosi in un ambiente con poco ossigeno, si avrà un contenuto di acido acetico nullo o poco percettibile, quindi con pH intorno a 4. Questo tipo di tecnica abbinata ad un lievito molto attenuante è stata usata da diversi birrifici per creare birre Brettate in “sicurezza”. Inoculando direttamente questi microrganismi direttamente in bottiglia potranno metabolizzare nel tempo i pochi zuccheri residui disponibili. In questo modo si avrà un controllo sulla carbonazione ma i tempi di maturazione saranno molto lunghi. Avendo a disposizione più bottiglie dello stesso lotto, si possono fare assaggi nel tempo e osservare l’evoluzione. 
  • Brett & batteri lattici. Con questo mix si avranno birre con note acide molto pronunciate, date sia dall’acido acetico che da quello lattico prodotto dai lactobacillus.     
  • Legno, brett, batteri lattici e tempo. Qui le cose come abbiamo visto si complicano notevolmente e si possono avere diverse combinazioni.

Birra, legno e microrganismi

Una volta capito come si comportano i brettanomyces e la sua crew, possiamo andare a vedere gli effetti nel bicchiere, consapevoli di non aspettarci necessariamente una birra acida e con la “puzza sotto al naso”. Birre fermentate solo con Saccharomyces vengono affinate in barrique per due motivi. Il primo è quello di donare alla birra gli aromi del legno che vanno dalla classica vaniglia per il rovere, ad aromi di frutta rossa per il ciliegio o speziati come senape, cacao e resina per il castagno. Il secondo motivo è la micro-ossigenazione che tende ad ossidarle. Per le birre normali sarebbe un grosso problema mentre per le barrel è un “difetto” ricercato.

Quando parliamo di ossidazione in una birra subito ci viene in mente sensazioni di cartone bagnato; di cuoio, di polveroso o addirittura di muffa. Questo immediatamente ci porta ad associare l’olfatto a qualcosa di vecchio e anche visivamente ad un colore meno brillante. Basta pensare a cosa succede se osserviamo una mela tagliata in due pezzi, dopo pochi minuti comincia a scurirsi a causa delle reazioni di ossidoriduzione. Birre come Scoth ale, Old Ale, Barleywine invece, se sottoposte a maturazione in legno possono migliorare la loro componente aromatica. Sentori tipo “marsala” o “sherry”, possono venire fuori dall’ossidazione delle melanoidine prodotti dalla reazione di Maillard data dai malti utilizzati o da mosti che hanno subito lunghe bolliture. Le melanoidine combinandosi con l’ossigeno formano composti come il benzaldeide o anche l’ossidazione di alcuni alcoli superiori possono portare ad aromi che ricordano la mandorla o la nocciola.

Per le birre “sour” il discorso non cambia molto. Inserire una birra in una botte dove in precedenza sono stati inoculati brett ed altri microorganismi di sicuro porterà a delle contaminazioni. Ora solo il tempo e le condizioni climatiche giuste possono far evolvere in modo positivo la birra. Se le temperature sono troppo alte (sopra i 25°C) e con umidità relativamente bassa (sotto il 70%) si avrà una evaporazione superiore al 20% (chiamata la quota degli angeli) che favorirà la produzione di acido acetico e di esteri poco piacevoli come l’acetato di etile che ricorda il solvente. 

Ovviamente la componente principale delle birre barrel è il legno, ed è quello più difficile da gestire. Esistono legni differenti che possono avere una maggiore o minore tostatura, e anche lo stesso tipo di legno proveniente da diverse aree geografiche può rilasciare aromi completamente diversi. Questo è il caso del legno di rovere francese (Quercus petraea) che rilascia le note tipiche di vaniglia, mentre quello canadese (Quercus alba) si riconosce dalle caratteristiche note di noce di cocco. Anche il clima influenza la qualità del legno, si prediligono alberi delle foreste più a nord con climi freddi. In questo modo la crescita degli alberi è più lenta e hanno un legno più compatto e con porosità molto fini, ideali per micro-ossigenazioni lente. Si possono utilizzare altre tipologie di legno come quello di castagno, una volta molto in voga per i vini, che conferirà alla birra note speziate, di cacao e di senape, e che, grazie a una struttura del legno più compatta e con una micro-ossigenazione più bassa, ben si presterà a lunghi affinamenti. Il legno di ciliegio invece presenta una struttura meno compatta e più porosa. Viene usato per passaggi veloci in quanto lo scambio con l’esterno è molto veloce, e anche la componente aromatica è molto caratterizzante. Ci sono anche legni dalla struttura cellulare così compatta da essere poco porosi e poco aromatici come quelle di acacia, ideali per birre poco alcoliche e che non richiedono scambi con l’esterno.

Si possono barricare ed affinare tutte le birre? La mia risposta, sempre presa con le pinze, è SI. Come abbiamo appena visto, lieviti e batteri lattici combinati in modi e tempi differenti possono essere abbinati a legni di diverso tipo per ottenere prodotti non necessariamente sour, ma che con il passaggio in botte ingranano una marcia in più rispetto alle versioni “normali”. Qualche esempio? Si possono fare Dubbel in legno di rovere, Gose in legno di ginepro, Porter in legno di castagno e Blanche in legno di acacia. E perché non fare una American Pale Ale in barrique di acacia ex vino a bacca bianca? Basta saper dosare bene microrganismi, tempi e legni per ottenere davvero risultati inaspettatamente sorprendenti.

 

di Antonio De Feo