Degustare una birra: l’esame olfattivo
Il nostro naso è uno strumento d’importanza fondamentale per la degustazione di un qualsiasi alimento o di una qualsiasi bevanda: grazie all’organo olfattivo, siamo infatti in grado di riconoscere ben diecimila profumi diversi. Decisivo, per un suo proficuo utilizzo, diventano dunque l’allenamento e la costruzione di quella che potremo chiamare la nostra memoria olfattiva: un database di percezioni odorose che, ciascuna con il proprio nome (il proprio “descrittore”), ci fornisce “le parole per raccontare un birra”. Soprattutto all’inizio, quando ancora le abilità di degustazione non sono affinate, è inevitabile scandagliare i profumi, e cercare di riconoscerli, inserendo la sensazione corrispondente a ciascuno di essi in “categorie generali d’appartenenza”, in funzione della rispettiva natura: si dirà così che la birra in questione richiama impressioni di tipo erbaceo, fruttato, tostato, floreale, speziato e via dicendo.
Successivamente proveremo a descrivere in maniera più specifica una nota olfattiva (di tipo, poniamo il caso, fruttato), rispondendo a domande come: il frutto che abbiamo avvertito è maturo o acerbo? Ricorda una marmellata o una preparazione sotto spirito? E infine: ma di che frutto si tratta? Mela, pera, banana, ananas, altro ancora? Si è fatto l’esempio dei toni fruttati, in quanto categoria che ricorre assai frequentemente: tali aromi derivano generalmente dagli esteri, composti chimici naturali che si generano durante la fermentazione per la reazione, con gli alcoli, degli acidi organici presenti nel mosto. Come non riconoscere, ad esempio, le note di banana matura in una Weizen? Ma nell’esame olfattivo si avrà a che fare anche con altri interlocutori frequenti. Spesso s’incontrano profumi più dolci, paragonabili a note mielate: con ricordi di varietà quali l’acacia nelle birre chiare e il castagno in quelle più scure. Responsabili in questo caso sono i malti; i quali, in relazione alla loro tipologia (data essenzialmente dal tipo di essiccazione), regaleranno note morbide di panificato, tostate di frutta secca, dolci di caramello o addirittura intensamente cotte – di caffè, liquirizia o cacao – se la ricetta della birra in assaggio prevede l’uso di malti torrefatti. Ancora, nelle parti nasali più alte si avvertono maggiormente le note erbacee, piccanti o speziate, con il rispettivo grado d’intensità e le varie sfumature aromatiche. A seconda delle tempistiche con le quali emergono, possiamo collocare i profumi su tre livelli distinti. Al primo troviamo il profumo dominante, che prevale all’inizio per poi calare progressivamente; al livello successivo appartengono i profumi secondari, che si avvertono dopo il decadimento del primario; in ultima battuta, si colgono i profumi di fondo e le sfumature più sottili, avvertibili in seguito al decadimento dei profumi secondari.
Quanto alle modalità d’esercizio dell’apparato olfattivo, occorre tener presente come i suoi recettori tendano, dopo contatti prolungati, ad assuefarsi alle sostanze aromatiche, di natura volatile: si riesce insomma a riconoscerle, ma non ad avvertirle indefinitamente. Dopo un certo volgere di tempo, infatti, s’interrompe la catena di trasmissione al cervello i messaggi relativi all’odore: dopo aver fiutato troppo a lungo la stessa molecola, il naso si anestetizza. Ecco allora che si rende necessario identificare uno stimolo rapidamente: e questa è la vera sfida del degustatore; e l’incidenza del “principio di saturazione” risulta di vitale importanza nell’individuazione dei profumi che una birra può esprimere. Quando non si avverte più una nota olfattiva colta in precedenza, è opportuno allontanare il naso dal bicchiere e annusare altri oggetti (di solito indumenti di cotone o di lana) per poi tornare a “esplorare” la birra con i recettori “rigenerati”.