Coltivare luppolo e rivoluzione in Emilia
E’ con un sentimento rivoluzionario accompagnato da una suggestione musicale degli Aria, che lasciamo il piccolo centro emiliano di Marano sul Panaro, che recentemente ha visto svolgersi una due giorni tematica molto partecipata, che ha mescolato e fatto incontrare contadini, effettivi o potenziali, e popolo della birra artigianale. Una festa ricca di contenuti, oltre le classiche spine di artigianali, pure di livello, con laboratori di degustazione comparativi tra “nuovi” luppoli italiani e “tradizionali stranieri”, e workshop. Festa vera, sincera, così come l’entusiasmo degli organizzatori, tra cui Eugenio Pellicciari, co-fondatore, assieme a Gabriele Zannini, di Italian Hops Company, prima azienda agricola italiana nata esclusivamente per coltivare e commercializzare luppolo (a Cognento, in provincia di Modena), e il sindaco di Marano, Emilia Muratori, felici nel vedere così tante presenze, variegate per esperienza ed estrazione.
Il partecipatissimo convegno del sabato mattina, Coltivando la rivoluzione, è stato il cuore scientifico dell’iniziativa. Al tavolo degli interventi, qualificati soggetti del settore: tra gli altri, oltre a pregevoli birrai e docenti dell’Università di Parma, Eugenio Signoroni, curatore della Guida alle birre d’Italia, Slow Food Editore, e Simone Monetti, direttore operativo di Unionbirrai. La moderazione del dibattito è stata affidata al noto gastronauta, Davide Paolini. Tra il pubblico, rilevanti le presenze di Chiara Gagnarli e Filippo Gallinella, parlamentari del M5S, principale promotore della recente legge sulla birra artigianale, che comprende un virtuoso allegato sullo sviluppo della produzione di luppolo, e alcuni dirigenti del ministero delle politiche agricole. E’ stato Tommaso Ganino, ricercatore dell’Università di Parma, il padre scientifico del luppoleto sperimentale di Marano e di IHC, a prendere la parola per primo. Nel suo stimolante intervento, ha parlato delle nuove varietà messe a dimora, nate dallo studio-selezione dei luppoli selvatici, e ha sottolineato il valore della scelta di non puntare solo sull’adattamento dei luppoli stranieri già in commercio, ma di creare un’italianità produttiva, partendo dalle numerose varietà autoctone. Perché, ha osservato Ganino, sarebbe impensabile competere con realtà produttive storiche di varietà da amaro che riescono a proporre prezzi impossibili per noi; e inoltre i luppoli da aroma hanno maggior prezzo e dunque permettono marginalità anche a chi lavorerà piccole superfici.
Interessante a contrasto, a questo proposito, l’esperienza raccontata da, Alexander Feiner di Hopsteiner, colosso germano-americano fondato nel 1845 (si rimanda al video from plant to package). Lo studio di Ganino e dei suoi collaboratori è ancora apertissimo: il campo, dove a latere del convegno è stata organizzata una visita molto istruttiva, misura 1800 m.q., è di proprietà del comune di Marano ed ha visto l’inizio dei lavori nel 2012. Vanta attualmente una quindicina di varietà, delle quali si studiano soprattutto resistenza alle malattie, produttività, necessità d’acqua. Ancora si sta cercando la quadra agronomica: per selezionare una pianta potenzialmente utile al commercio possono volerci 10 anni senza certezze di successo. Figlia di questi esperimenti è Italian Hops Company, i cui risultati commerciali sono notevoli. Eugenio Pellicciari parla delle cultivar utilizzate (Gianni, Tavernelle, Cinghio, giusto per fare qualche nome), frutto degli studi a Marano, e della scelta di lavorare in regime biologico. L’azienda vuole sostenibilità e caratterizzazione, a prezzi già ora abbastanza competitivi. Al di là di tutto, l’esperienza di Cognento dimostra che si può fare. Pensare che qualcuno sia riuscito a mettere assieme conti e qualità del prodotto luppolo, apre una nuova frontiera, per il mondo brassicolo, a livello culturale, ecologico, economico.
Sembra che l’Emilia stia cercando di riprendersi una tradizione bruscamente interrotta – causa fascismo – ricordando l’esperienza di Gaetano Pasqui: e ora anche l’UE ha riconosciuto l’area modenese come vocata alla coltivazione del rampicante della famiglia delle cannabacee. L’impressione è quella di una speranza enorme, di un grande entusiasmo, di un segnale forte, netto. Un lavoro che ha necessità di essere ampliato e implementato, basti pensare che, nel mondo, siamo l’unico paese di rilievo per le artigianali che non ha filiera sulle materie prime di produzione. E’ necessario farlo, per rendere sempre più stretto il rapporto tra agricoltura e birra, conferire certezze, risparmio sull’acquisto, qualità e identità tricolore ad un settore che diventa sempre più importante a livello occupazionale e rappresentativo dell’artigianato alimentare italiano.
Interessantissime prospettive che aprono un futuro anche per i miei 5 ettari (850 mt slm)
Da approfondire.