Birre spaziali!
È proprio il caso di dirlo, il mondo della birra sta rompendo ogni confine, dagli stili a quelli geografici, tanto che addirittura la Terra sembra diventata troppo piccola… e allora si parte alla conquista dello spazio! La prima ad avere a che fare con le profondità siderali fu Sapporo che nel 2008 realizzò 100 litri di Space Barley, una birra prodotta usando esclusivamente orzo coltivato sulla Stazione Spaziale Internazionale (ovviamente la portata scientifica della coltivazione di piante nello spazio va ben oltre la produzione di birra, come si può leggere qui). Questa prima “birra spaziale” non si è potuta bere nello spazio a causa di un fastidioso fenomeno che coinvolge le bevande gassate consumate in assenza di gravità, noto come “wet burp” (una veloce traduzione chiarirà facilemte in che cosa consista il fenomeno).
Il secondo approccio spazio-birra si è consumato il 18 novembre, quando Danny e Rich, due fan della Natural Light (uno dei marchi di Anheuser-Busch), hanno spedito una lattina della loro amata bionda nello spazio. Dentro un box attaccato a un pallone meteorologico hanno collocato una lattina di “Natty Light” sigillata sotto vuoto, un gps e una videocamera che riprendeva l’esterno con in primo piano una lattina della stessa birra ma vuota. Dopo aver raggiunto l’altezza di 90 000 piedi il pallone è esploso precipitando sulla terra. I due hanno recuperato il box a 60 miglia dal punto di lancio con la loro lattina intatta! (video)
Ancora più ambizioso è il progetto di due aziende australiane: Four Pines, un microbirrificio della zona di Sidney, e Saber Astronautics, un’azienda aereospaziale. L’obiettivo di questa join-venture è quello di creare una birra che si possa consumare sulla superficie terrestre come in qualunque altro punto dell’universo. La birra prescelta dovrebbe essere una stout, stile che a detta degli sviluppatori potrebbe permettere di superare i due principali problemi legati al consumo di birra in assenza di gravità. Il primo, di cui abbiamo già parlato, riguarda la carbonazione e verrebbe aggirato proprio dallo stile, per definizione poco carbonato e ulteriormente “scaricato” per l’occasione. Il secondo riguarda invece il decadimento della percezione dei sapori, fenomeno documentato durante le permanenze degli astronauti nello spazio. La soluzione di questo problema è stata individuata nel creare una birra che avesse note aromatiche e gustative molto spiccate, altro aspetto in cui una stout con le sue note tostate si è rivelata particolarmente adatta.
Ma a che pro creare un simile prodotto? Il mercato di riferimento sembra essere quello del turismo spaziale, a quanto pare pronto a prendere il via già l’anno prossimo. Non ci resta che attendere con trepidazione lo sviluppo di una Mars Pale Ale o di una Lunar Imperial Stout.