Birra italiana: aumentano le accise, scende l’export
Le calorie di un succo d’arancia (45 in 10 centilitri sui 5,5 gradi alcoli), le accise che sarebbero degne di quelle applicabili su un metallo pregiato. E’ il paradosso della birra italiana: sull’economia della quale inizia a manifestarsi, in tutto il suo tangibile peso negativo, l’aumento sulle tasse alla fonte (il terzo in 15 mesi) disposto dal governo all’inizio del 2015. A fronte di volumi di produzione che si registrano stabili (13,2 milioni di ettolitri il totale annuo) e di consumi interni addirittura in leggero, pur lievissimo, aumento (+0.3 il dato percentuale, 17milioni e 504mila ettolitri quello assoluto: traducibile in un 29.2 litri procapite), arretrano invece le esportazioni: e, soprattutto, l’occupazione ruotante attorno al settore.
La quota destinata al di fuori dei confini nazionali cala infatti per la seconda volta consecutiva, scendendo a 1milione 927mila ettolitri (ben il -3,3%); mentre i posti di lavoro generati dalla filiera indietreggiano sensibilmente, e la cifra desta comprensibile preoccupazione, passando da 144.000 a 136.000 addetti, indotto compreso. Quanto alle importazioni, anche questa voce – con un conteggio globale di 6milioni e 175mila ettolitri (+0,3% il saldo) – torna a stabilizzarsi; e infine decisamente positiva (per chiudere con una nota d’ottimismo) è giudicata la dinamica della produzione di malto, come sempre interamente assorbita dalle imprese nazionali, che sale a 673.700 quintali (+3,8%), confermando il proprio andamento in crescita.