Birra anti effetto serra: la ricetta dagli USA per dimezzare la CO2
La nostra birra – anche lei, sì – qualche responsabilità, nei comportamenti che pesano sull’ambiente, ce l’ha: e bisogna prenderne atto. Come ha voluto fare lo staff dell’americana Migration Brewing di Portland, in Oregon: quando il responsabile delle sale cottura, Mike Branes, e gli altri si sono resi conto della quantità di anidride carbonica generata nell’arco dell’intero ciclo di gestazione dei loro prodotti, si sono messi a spulciare le voci dolenti (in senso ecologico) del procedimento e poi hanno agito su ognuna di esse, così da alleggerirne il “saldo inquinante”.
Risultato? Hanno abbattuto le emissioni in atmosfera addirittura della metà; e il messaggio che ne consegue, per tutti i colleghi della filiera (dai piccoli ai grandi, ai grandissimi), è inequivocabile: si può fare! In particolare, il conteggio stimato dei danni ambientali procurati da un solo fusto (considerando la coltivazione e la lavorazione delle materie prime, il brassaggio e la consegna) sarebbe di 57 chilogrammi di CO2, l’equivalente di 220 chilometri in automobile. Su quali tasti hanno fatto leva alla Migration? Efficienza dell’impianto (la birrificazione incide per una quota pari all’80%) e passaggio all’uso di un orzo locale onde ridurre la distanza dai siti di provenienza degli ingredienti di base (l’incidenza “antiecologica” del trasporto è del 15%).