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Amore è: Arancina e American Amber Ale

Chiedete a dieci persone a cosa pensano quando dite loro “Sicilia”: cinque risponderanno “cannoli”, cinque risponderanno “arancini” (o per essere precisi: quattro diranno arancini, il quinto, invece, “arancine”. Ma questa è un’altra storia). Lasciamo stare ora i pur squisiti cannoli però, e concentriamoci sulle sfere (o coni-piramidi-ovoidi oblunghi) di riso ripiene, panate e fritte, perché in loro è presente un’essenza della sicilianità totale, dia-storica, onnicomprensiva. Nell’arancino c’è la dominazione moresca, riflessa nel riso e nei preziosi aromi dello zafferano; il primo coltivato storicamente in asciutto nella generosa Isola fin dai tempi degli Emiri, il secondo riserva mercantile importata dai segreti dei bazaar maghrebini. Poi, c’è il barocco carnascialesco della Sicilia orientale, che trasuda dall’opulenza dei sughi lascivi dei monsù, nel filare delle mozzarelle che circolavano nel Regno borbonico di Napoli e Palermo; c’è la pruderia cattolica e superstiziosa delle processioni del Venerdì Santo quando il ragù è bandito (ma l’arancino al burro, con una ricca farcia di besciamella, piselli e prosciutto cotto, quello invece no). C’è il profilo del Mongibello, madre, padre e padrona, nelle forme a pizzo delle creazioni più classiche, che inizia a fumare quando all’arancino, ancora rovente, si stacca la punta con il primo morso (se ammettiamo si cominci a mangiare dalla punta: molti se lo godono in forma “rovesciata”, e sostengono che cominciare dalla base sia pratica più conveniente e raccomandata). C’è l’eclettismo e la creatività di un piatto semplice ed economico, da mangiare per strada mentre si sbarca il lunario facendo interminabili faccende nei mercati, c’è l’arrangiarsi e riempire la forma con quello che c’è: potenzialmente con tutto, dagli scarti di macelleria, agli ortaggi, fino alle versioni con triglie e finocchietto di importanti chef stellati. Niente è siciliano come l’arancino. E io siciliano sono, e l’arancino è parte di me; contribuisce al mio corpo grande per il 15 percento in peso, almeno. E più spazio ancora occupa nell’anima e nelle memorie. Ecco, quindi, una ricetta particolarmente sentita e ricca di storie.

La scelta del riso
L’arancino richiede un riso a chicco tondo, dal buon rilascio di amidi collosi, che agevoli l’impaccamento e renda possibile la formatura delle sfere o piramidi farcite: per tali motivi le varietà ideali sono quelle a basso contenuto di amilosio e ad alta amilopectina. Pertanto indichiamo come varietà da prediligere il Roma o l’Originario, o ancora meglio una miscela delle due (50%-50%). Cultivar più pregiate, come l’Arborio, il Vialone Nano o il Carnaroli, sono per contro sconsigliate in quanto non rilasciano quantità elevate di amido gelificante a fine cottura, a causa dell’alta presenza di amilosio.

La cottura del riso
Analoghe motivazioni ci porteranno a prediligere un sistema di preparazione del riso su altri. Le varianti possibili sono: bollitura, risottatura, pilaf per assorbimento. La bollitura in acqua aromatizzata o brodo con successiva scolatura del riso va esclusa in quanto, eliminando l’acqua di cottura, ci troveremmo ad eliminare con essa tutti gli amidi rilasciati; buttando via in modo proverbiale “il bambino con l’acqua sporca”. Meglio la risottatura, che però conferisce un rilascio di amidi inferiore alla cottura pilaf. Quest’ultima, realizzata utilizzando come liquido un brodo vegetale aromatizzato allo zafferano e mantecando in chiusura con burro e formaggio grattugiato, è pertanto il metodo che adotteremo.

I condimenti
Il riso differisce, per esempio, dai supplì alla romana in quanto i condimenti non sono frammisti al riso, ma racchiusi in uno scrigno “neutro” di riso aromatizzato. Dopo aver realizzato la base, quindi, potrete sbizzarrirvi a farcirla come meglio credete: arancini al ragù di carne, “al burro”, alle melanzane o agli spinaci sono classici; ma niente vieta di utilizzare come ripieno ciò che più vi aggrada. Qui seguiremo la ricetta del “re degli arancini”, il classico con sugo di carne, formaggio filante e piselli.

La formatura
Quella della formatura degli arancini non è una scienza esatta. Le forme tradizionali sono la classica conica nel catanese e quella sferica a Palermo per gli arancini al ragù di carne, quelle oblunghe o ellissoidali per gli arancini al burro o agli spinaci. Sono venute ad essere, nel tempo, altre forme “contemporanee” (ovoidale a doppia punta, parallelepipedale etc.) per arancini conditi in maniera meno ortodossa. Le tecniche di formatura e di chiusura manuale, per ogni singola forma, sono disparate: se quella sferica è quella di più immediata comprensione (si forma una semisfera nell’incavo della mano, la si farcisce, si ricopre con altro riso e si compatta il tutto), formare “il pizzo” degli arancini conici è più difficile, e può essere fatto in diversi modi: anche lì, disponendo nel palmo della mano una base triangolare di riso, con la punta verso il polso, e ricoprendo con ulteriore riso dopo aver farcito (tecnica che per gli ultra-ortodossi equivale a barare), o in maniera professionale e quasi “magica”, partendo da un’unica palla di riso cotto che verrà incavata, farcita e modellata facendola ballonzolare con movimento rotatorio tra le mani, applicando leggera pressione con la base dei pollici. Difficile? Molto, ma è questo per inteso l’unico modo di ottenere una piramide perfetta e farcita omogeneamente su tutta la lunghezza. Scegliete la forma e la tecnica che preferite, se siete particolarmente pigri sono disponibili sul mercato anche attrezzi appositi per la formatura degli arancini (per quanto il risultato che restituiscono non sia dei migliori).

La pastella e la panatura
Lo scrigno dorato e croccante che ricopre gli arancini è una delle loro caratteristiche più golose. Anche in questo caso, le scuole di pensiero sono molteplici: c’è chi passa gli arancini formati in una semplice pastella acqua e farina, chi aggiunge alla stessa uova o latte, chi li passa successivamente nel pangrattato e chi no. Aggiungete pure, a queste varianti, le altre innumerevoli possibili che derivano dalla combinazione e dall’alterazione dei fattori elencati. Per la nostra panatura utilizzeremo una pastella acqua e farina arricchita con un uovo per miglior tenuta e resa cromatica. Passeremo successivamente gli arancini in un pangrattato a grana fine che li ricopra completamente e aggiunga una volta fritto un coefficiente di peccaminosa croccantezza.

Arancini alla carne: la ricetta

Ingredienti per 9 arancini.

Per il riso: 500g di riso (50% Roma e 50% Originario); 1,5l di acqua; una bustina di zafferano macinato; una noce di burro; 30g di Parmigiano Reggiano grattugiato; una cipolla; una carota; una zucchina; una costa di sedano; una foglia d’alloro; grani di pepe; sale.

Per la farcia: 500g di spezzatino di manzo o vitello tagliato in piccoli pezzi (per la versione palermitana, sostituire con 500g di macinato misto di manzo e maiale); una carota; una cipolla; una costa di sedano; un cucchiaino di concentrato di pomodoro; 500g di passata di pomodoro; mezzo bicchiere di vino bianco; 100g di mozzarella lasciata asciugare, provola o caciocavallo fresco; 100g di piselli; olio extravergine d’oliva; sale; pepe.

Per la finitura: 60ml di acqua; 60g di farina 00; un uovo; un pizzico di sale; 150g di pangrattato fine; 2l di olio di semi per frittura.

Preparate un brodo mettendo a freddo in pentola 1,2l d’acqua, la cipolla, il sedano, la zucchina e la carota mondati e ridotti in grossi pezzi, l’alloro ed i grani di pepe. Portate a bollore, salate e lasciate sobbollire per almeno mezz’ora. Quando il brodo è pronto, filtratelo e rimettetene sul fuoco un litro riservando l’eccesso: appena riprende il bollore aggiungete il riso e lasciate cuocere fino a totale assorbimento dei liquidi. Qualora il riso non fosse ancora del tutto cotto, aggiungete gradualmente un po’ del restante brodo. Un paio di minuti prima della fine della cottura, sciogliete lo zafferano in pochissima acqua calda o brodo e incorporatelo al riso. A cottura ultimata spegnete il fuoco, aggiungete burro e parmigiano grattugiato e mantecate. Rovesciate il contenuto in un recipiente largo (per esempio in una teglia) e lasciate raffreddare, una volta tiepido riponete in frigo coperto da pellicola per un paio d’ore. Nel frattempo preparate il ragù. Riducete la carne in piccoli cubi se usate il manzo a pezzi. Preparate un trito fine con la cipolla, la carota e la costa di sedano. Scaldate in una pentola un giro abbondante d’olio extravergine e ponete a soffriggere il trito di verdure. Dopo qualche minuto, a fiamma vivace, aggiungete i cubi di manzo o il tritato, e lasciate rosolare bene. Sfumate con il vino bianco o con la birra, indi una volta che i liquidi sono evaporati aggiungete il cucchiaio di concentrato di pomodoro, facendo sì che tosti, e solo successivamente la passata di pomodoro. Portate a bollore e fate cuocere a fiamma bassissima per un paio d’ore, finché il ragù non sarà decisamente ristretto e denso. Quando mancano circa venti minuti alla fine della cottura, aggiungete al sugo i piselli. Tagliate a cubetti il formaggio da inserire negli arancini. Lasciate intiepidire il ragù, nel frattempo recuperate il riso dal frigo e predisponete una ciotola con dell’acqua. Preparate una pastella sbattendo con una frusta la farina, i 60ml d’acqua, l’uovo ed un pizzico di sale. Quindi, inumidendovi di volta in volta i palmi delle mani, prelevate una pallina di riso, farcitela con il ragù con i piselli e con qualche pezzetto di formaggio, e chiudetela secondo la tecnica di formatura che avrete scelto. Una volta chiusi tutti gli arancini, passateli nella pastella precedentemente preparata e a seguire nel pangrattato. Friggete gli arancini in abbondante olio, girandoli continuamente con una schiumarola a rete per garantire una doratura omogenea. Una volta dorati, estraeteli dall’olio ed adagiateli su un piatto da portata ricoperto di carta assorbente, con la quale procederete anche ad asciugarli e tamponarli leggermente su tutta la superficie. Mangiate caldissimi!

Nel bicchiere
Esercizio di abbinamento difficile, quello con gli arancini, che richiede una birra in grado di sostenere la ricchezza del ragù interno e sia al contempo capace di sgrassare l’untuosità della frittura, il tutto rispettando un concetto di beva semplice che non appesantisca eccessivamente la fruizione immediata di un alimento “street” per eccellenza. Troviamo risposta a questo arzigogolato elenco di esigenze nelle American Amber Ale. Note di caramello e toffee moderate, forse qualche leggero estere da frutta, riescono a raccordarsi agevolmente con la concentrazione elevata del sugo sorreggendo la struttura della carne ed accompagnando il morso. Gli aromi da luppolo, specialmente le frazioni più resinose, aggiungono un twist retropalatale arricchendo l’aroma del piatto di una nota fresca che altrimenti mancherebbe. L’amaro, da contenuto a medio-alto, riesce a “lavare” via i residui di fritto concludendosi in gola con un lieve ritorno abboccato che lascia la cavità orale pronta a proseguire l’esperienza. Tra i tanti prodotti italiani consigliamo: Macca Meda di Barley, Cosmo Rosso di Birra Perugia, Spring di Hammer.