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All about Yeast: come scegliere i lieviti

Uno degli aspetti della produzione casalinga che mi ha creato più difficoltà all’inizio e che ha richiesto anni di esperienza prima che ne governassi, almeno in minima parte, le dinamiche, è la scelta del lievito per la fermentazione. Informazioni in giro se ne trovano, ma spesso noto che mancano le conoscenze a monte, quel mix di storia e tradizione in grado di indirizzare la prima scelta. A molti non è chiaro per esempio che aromi fenolici (chiodo di garofano, pepe), quando si fermenta con lieviti inglesi o americani, non se ne possono produrre. O che il termine fruttato è generico e va usato con cognizione di causa: l’arancia è diversa dal limone, l’ananas non c’entra nulla con la mela, così come il passion fruit e la banana sono lontani anni luce tra loro. Per non parlare della frutta rossa, spesso attribuita alla fermentazione (capita, ma non così spesso) piuttosto che alla miscela di malti (special B per esempio, ma anche i vari malti crystal). In questo articolo ho provato a fare una carrellata su alcuni dei lieviti che possiamo usare in casa per produrre birra, evidenziandone le caratteristiche in base alla regione di provenienza, che spesso può dirci molto sul loro comportamento e sull’espressività aromatica. Farò riferimento a produttori specifici, ma in rete è facile trovare tabelle comparative che associano un particolare ceppo alle versioni commerciali degli altri produttori (es. Wyeast vs White Labs). Ci sarebbe molto ancora da dire, altre regioni da coprire – come la Germania e le sue basse e alte fermentazioni – ma per motivi anche di spazio, meglio circoscrivere il campo d’azione e rimandare ulteriori approfondimenti.

Lieviti americani

Forse tra i lieviti più utilizzati nel mondo della rinascita della birra craft, proprio grazie al famoso ceppo di Chico, utilizzato da Ken Grossman di Sierra Nevada già dalle sue prime cotte all’inizio degli anni ottanta, in California. Questo ceppo prese il nome “Chico” proprio dalla location in cui è nato il birrificio. È caratterizzato da un profilo piuttosto neutro: produzione di esteri fruttati molto bassa, se lasciato fermentare nell’intorno dei 18°C, fenoli assenti. Non è equiparabile a un lievito a bassa fermentazione, ma in modo simile lascia il palcoscenico agli altri attori in gioco. Luppolo, soprattutto, che nelle versioni americane delle Pale Ale e India Pale Ale è l’indiscusso protagonista. La storia (o leggenda, non è chiaro) vuole che il ceppo che poi è stato chiamato “Chico” sia arrivato nelle mani di Ken Grossman da un altro birrificio americano: la Ballantine Brewery, birrificio storico ormai passato nelle mani della Pabst, un grande gruppo industriale. Da dove Ballantine abbia preso questo ceppo non è chiaro. Sembra si tratti di un lievito di origini europee, in particolare scozzesi, approdato nel birrificio molti anni dopo la sua apertura, grazie a un birraio scozzese che ne portò un campione direttamente dalla madrepatria.

Questo ceppo è uno dei più utilizzati a livello casalingo (ma anche nei birrifici) in quanto piuttosto semplice da gestire. È disponibile in diversi formati, tra cui il più diffuso è quello secco, in particolare la versione della casa produttrice francese Fermentis: il mitico US-05. Equivalente, si dice, a ceppi simili (se non del tutto identici) commercializzati da altri produttori quali l’M44 dei neozelandesi Mangrove Jack’s e il BRY-97 dei canadesi della Lallemand. Esistono anche le versioni in formato liquido, tra cui citiamo quelle dei due produttori più famosi: l’American Ale della Wyeast (WY1056) e il California Ale della White Labs (WLP001). Data la neutralità del profilo aromatico e le performance molto simili dei diversi formati, la maggior parte degli homebrewer (ma anche dei birrai) sceglie la versione secca di questo ceppo.

Esiste qualche altra variante di ceppi di origine americana, come il California V Ale della White Labs (WLP051) e l’American Ale II della Wyeast (WY1272). Il primo, nonostante il termine “Ale” presente nel nome, viene attribuito dalla stessa White Labs al genere “Pastorianus”, ovvero un lievito a bassa fermentazione. Non stupisce in questo senso il profilo fruttato che esibisce se lasciato lavorare a temperature da ale (18-20°C), che lo rende un po’ “atipico” per un ceppo americano. La seconda variante, quella della Wyeast, è invece piuttosto simile al classico ceppo neutro americano. Tra gli altri (non molti) disponibili, interessante il ceppo della Wyeast chiamato “Denny’s Favourite 50” (Wyeast 1450) che prende il nome da Denny Conn, famoso homebrewer e autore americano (in coppia con Drew Beechum ha scritto diversi libri). Denny racconta che acquistò questo lievito per la prima volta diversi anni fa da un fornitore che lo vendeva con il nome di CL-50. Se ne innamorò a tal punto da convincere Dave Lodgson (fondatore della Wyeast) a produrne una versione commerciale una volta che il ceppo non fu più disponibile in commercio per via della chiusura dell’azienda che per prima lo aveva commercializzato. Cosa che si avverò qualche tempo dopo, quando la Wyeast lo rese disponibile in forma stabile, chiamandolo “Denny’s Favourite 50”.

Lieviti inglesi

Con i lieviti inglesi ci spostiamo in un mondo più variegato e cangiante rispetto ai ceppi americani. Generalizzando, senza sbagliare troppo, possiamo descrivere i lieviti inglesi come ceppi con maggiore espressività aromatica. Similmente ai cugini americani non producono fenoli, quindi nessun aroma speziato è riconducibile alle loro fermentazioni. Tuttavia, a differenza delle controparti d’oltreoceano, i lieviti inglesi contribuiscono al profilo aromatico con una buona dose di esteri fruttati. Il range è ampio, ma spesso si esprime in modo talmente sottile da rendere difficile l’individuazione puntuale degli aromi. I descrittori che ricorrono frequentemente nelle birre fermentate con i ceppi inglesi sono banana matura (ahimè, capita, ma non è la loro caratteristica migliore), pesca, albicocca, mela (sia verde che gialla) e a volte anche tropicale (melone, ananas). Riescono a tirare fuori aromi di bacche rosse e prugne, ma c’è da dire che è difficile discernere questo tipo di sentori da quelli derivanti dai malti a tostatura medio-alta. A ogni modo, i lieviti inglesi si fanno sentire. Con eleganza, però, senza strafare né monopolizzare la scena olfattiva, quando la birra riesce bene. Basti pensare ai sottili aromi “fruttati” di una bitter inglese, quei ricordi di pesca, mela gialla e leggerissima frutta rossa che rendono così interessante il profilo organolettico di queste birre che sono comunque, per la maggior parte, caratterizzate dal malto e dal luppolo. Purtroppo basta poco per perdere il controllo della fermentazione portando sbavature nell’aroma con eccesso di fruttato, banana matura, addirittura solvente (alta concentrazione di particolari esteri). Sono fermentazioni delicate, quelle con lieviti inglesi, anche perché per la loro storia questi ceppi tendono a flocculare presto depositandosi sul fondo del fermentatore, a volte anche già al secondo giorno di fermentazione, lasciando il lavoro incompiuto. Molti birrifici tradizionali inglesi sono soliti rimettere continuamente in circolo il lievito, proprio per mantenerlo attivo e condurlo per mano a fine fermentazione. Processo che in alcuni birrifici avviene ancora oggi in vasche aperte e quadrate, per favorire la produzione di esteri.

La disponibilità di varianti sui lieviti inglesi è ben più ampia rispetto ai ceppi americani. In questo caso le versioni secche sono meno varie, da un punto di vista organolettico, rispetto alle versioni liquide. Tra gli homebrewer, i formati secchi più utilizzati sono l’S04 della Fermentis, il Windsor e il London della Lallemand o ancora il Liberty Bell (M36) o l’Empire Ale (M15) della Mangrove Jack’s. Solitamente si parte da una temperatura di 18°C per poi alzarla repentinamente dopo 1-2 giorni di fermentazione, proprio per stimolare l’attività del lievito ed evitare blocchi (con l’S04 molti partono addirittura da 16°C per contenere gli esteri). Tutti i lieviti inglesi tendono a produrre discrete quantità di diacetile (aroma burroso) che in genere viene riassorbito durante la fermentazione. Se la flocculazione è prematura, tracce di diacetile possono rimanere nella birra. Questo aroma, in dosi molto modeste, è in qualche modo tipico di alcuni stili inglesi (come Bitter, Golden Ale e Porter) ma “dosarlo” in modo adeguato controllando la fermentazione è molto difficile. In generale, meglio non averne per nulla che averne troppo. Altro problema tecnico con questi ceppi è la famosa “ripartenza in bottiglia”: spesso la fermentazione sembra finita, il lievito si deposita e l’attività finisce. Salvo poi ripartire una volta trasferita la birra in bottiglia, generando vere e proprie “bottiglie-bomba”. Per questa ragione è bene seguire attentamente le fermentazioni con questi ceppi, adoperando le buone pratiche del caso: curva della temperatura a salire, messa in circolo del lievito dal fondo, attese più lunghe del solito prima di imbottigliare.

Il panorama dei lieviti liquidi di impronta inglese è decisamente più ampio di quelli secchi. Molte le varianti in commercio, alcune con peculiarità specifiche, altre più standard. In genere, ma è un’affermazione che va presa con le pinze, si dice che i ceppi del nord Inghilterra (in particolare della zona dello Yorkshire) siano più espressivi e fruttati, mentre quelli del sud (nei dintorni di Londra), meno. Partendo da questi ultimi, in termini di referenza geografica, troviamo il classico London Ale (WY1028 o WLP013), con profilo di esteri moderato e una caratteristica interessante che troviamo in diversi lieviti inglesi: riesce a rilasciare un profilo aromatico che ricorda il legno, la vaniglia in particolare, come se la birra fosse passata in botte. Questa caratteristica è piuttosto marcata in un altro ceppo di origini anglosassoni, scozzesi per la precisione, lo Scottish Ale della Wyeast (WY1728). Rimanendo sempre nel sud dell’Inghilterra, troviamo il Thames Valley, sempre della Wyeast (WY1275), con un profilo di esteri piuttosto contenuto. Una eccezione tra i cosiddetti “ceppi del sud” è il London ESB (WY1968 o WLP002) che produce un profilo piuttosto fruttato, ideale per una ESB, appunto, ovvero una bitter muscolosa sia in contenuto alcolico che profilo maltato e luppolato. Si dice sia il ceppo della Fuller’s, lo storico birrificio di Londra che ha in linea la London Pride e la ESB, due birre iconiche. Salendo un po’ a Nord, nello Yorkshire, patria di birrifici storici come Woldtop, Theakstone, Timothy Taylor’s, Black Sheep, ci imbattiamo in un ceppo molto interessante: il West Yorkshire (WY1469), meno fruttato rispetto ai cugini del sud, dona un profilo morbido mettendo in risalto il malto e in particolare la dorsale nocciolata, colonna portante di qualsiasi bitter “nostalgica” e meno incline alla luppolatura spinta. Infine, per chi cercasse una buona attenuazione anche con un ceppo inglese, non dimentichiamo il versatile Dry English Ale della White Labs (WLP007), meno inglese degli altri ma più semplice da usare.

Lieviti belgi

Se il mondo dei lieviti inglesi può considerarsi piuttosto variegato in termini di espressività aromatica, in particolare se confrontato a quello americano, il Belgio è un vero e proprio carnevale di aromi, sfumature e sapori. Non a caso, i birrai belgi vengono considerati tra i più estrosi al mondo. Questa volta sono malti e luppoli a giocare in secondo piano, sebbene in molte interpretazioni moderne degli stili tradizionali del Belgio il luppolo abbia conquistato parte della scena, ma sempre a braccetto con un lievito piuttosto esuberante. Il range aromatico dei lieviti del Belgio è vastissimo, con descrittori fruttati e speziati, derivanti dalla miscela di esteri e fenoli che questi lieviti sono in grado di esprimere. Troviamo così frutta a pasta gialla, come pesca e albicocca, sia in polpa che disidratate, ma anche banana (in piccole dosi, non ai livelli delle Weizen tedesche), mela, tutto il mondo degli agrumi, dal limone al pompelmo all’arancia; a volte si incontrano note tropicali, come ananas e bubblegum (più vicino alla fragola); ma anche prugna, uva passa (queste spesso nelle birre scure, con il malto che ci mette lo zampino). Tutti i ceppi belgi producono fenoli, chi più chi meno, con aromi che spaziano dal classico chiodo di garofano (difficilmente netto come nelle Weizen tedesche) fino alla noce moscata, all’anice, al pepe bianco o nero. Tra le venature speziate dei lieviti belgi troviamo infinite variazioni, a volte anche difficili da descrivere, che spesso confluiscono in quel sentore definito da molti “rustico” che ricorda il pepe bianco, ma anche l’aia dove razzolano le galline (per i più romantici).

Chiaramente non è possibile elencare le caratteristiche di tutti i lieviti belgi in questa sede: è un’impresa che qualcuno ha affrontato dopo anni di viaggi, studio e assaggi, in libri dedicati all’argomento. Possiamo tuttavia provare a tracciare delle linee guida per chi vuole tentare di replicare Tripel, Dubbel, Saison o Quadrupel in casa, quantomeno per orientarsi nella scelta iniziale del ceppo. Partiamo da una iniziale presa di coscienza, molto importante: è difficile, se non quasi impossibile, lavorare gli stili belgi con un lievito secco. Semplicemente non si ottiene quella complessità e soprattutto quel bilanciamento tra esteri e fenoli indispensabile per equilibrare il profilo organolettico. Ci si avvicina – in parte – con le Saison, specialmente se quella che vogliamo riprodurre è l’interpretazione “French”, che si muove su una dorsale principalmente agrumata (limone e cedro) con una significativa controparte fenolica (accenno di chiodo di garofano e pepe nero, soprattutto). In questo senso possiamo sperimentare una produzione con ceppi secchi come il Belle Saison della Lallemand o il French Saison della Mangrove Jack’s. Lieviti molto attenuanti che lasciano un finale secco e povero di zuccheri residui. Fortunatamente producono significative quantità di glicerolo, un composto leggermente dolciastro che sostiene la bevuta. Si dice spesso che in Belgio il lievito lavori a temperature mostruose (anche 30-32°C): in parte è vero, in particolare per i ceppi Saison, ma non è sempre così. In questo caso specifico, meglio avviare la fermentazione a 24-25°C e salire gradualmente. Partenze a razzo potrebbero ingolfare di esteri il profilo aromatico, sconfinando nel temibile regno del solvente. Per un profilo Saison leggermente più rustico e complesso, il BE-134 della Fermentis è anche una scelta interessante. Altri lieviti secchi all’altezza dell’impresa non ce ne sono a mio parere, a meno del T58, sempre della Fermentis, che con utilizzo attento e dopo una sostanziosa maturazione (almeno tre mesi, ma spesso di più), può produrre Tripel e Dubbel accettabili. Difficilmente birre entusiasmanti.

Per navigare tra i ceppi liquidi, molto più variegati, si utilizza spesso il birrificio di riferimento da cui – teoricamente – il lievito commerciale avrebbe avuto origine. Il più famoso, e probabilmente il più utilizzato dagli homebrewer ma anche dai birrai, è il WY3787, il famosissimo Trappist High Gravity. Sarebbe il lievito utilizzato dal birrificio Westmalle delle Fiandre, che produce l’iconica e muscolosa Westmalle Tripel. Lo stesso lievito sarebbe utilizzato anche dal vicino Achel e da Westvleteren, all’altro estremo delle Fiandre. Il Trappist è davvero un gran lievito, molto indicato per produrre birre in stile Tripel. Esprime un fruttato con pochissima (se non nulla) banana e molta frutta che oscilla tra l’agrumato (limone) e il tropicale (ananas). Il fenolico è molto interessante, con note rustiche e di pepe bianco. In questo caso meglio partire bassi, intorno ai 24°C, salendo progressivamente per favorire l’attenuazione. Se invece si vuole produrre la cugina ancora più muscolosa delle Tripel, ovvero una Belgian Golden Strong Ale (pensate alla Duvel), il ceppo belga più indicato è probabilmente l’omonimo Belgian Strong Ale (WY1388). Rispetto al Trappist concentra il fruttato nel range agrumato (limone e arancia) e ha un fenolico più pepato. Per le Dubbel scendiamo nel Sud del Belgio, in Vallonia, precisamente nel birrificio Chimay. Il loro lievito, che dovrebbe essere il WY1214 (Belgian Abbey), esprime un profilo aromatico molto delicato, con note fruttate contenute che lasciano spazio alle sfumature maltate di prugna e frutta secca. Poca o nulla banana, leggerissimo agrumato. Il Belgian Abbery II (WY1762) dovrebbe essere invece il ceppo della Rochefort, sempre in Vallonia, che ha in linea ben due birre scure (la Rochefort 8 e la Rochefort 10). Piuttosto pulito e leggermente fenolico, lascia spazio anche in questo caso al malto ed è indicato per birre scure belghe ad alta gradazione, che richiedono una lunga maturazione (Belgian Dark Strong Ale, anche note come Quadrupel). Sempre per birre scure e alcoliche, si può usare il Belgian Ardennes, teoricamente proveniente dal birrificio Achouffe, piuttosto neutro se tenuto basso (intorno ai 20°C) ma più espressivo se lasciato partire intorno ai 24-25°C.

Per quanto riguarda le Saison, come già accennato, la principale differenziazione è tra i ceppi cosiddetti “French” e quelli “Belgian”. I primi hanno discreti esponenti anche nel mondo dei lieviti secchi, ma ovviamente troviamo anche la controparte liquida come il WY3711 French Saison. Il profilo è molto “schietto”, semplice nella componente agrumata con una controparte speziata vicina al chiodo di garofano con sprazzi di pepe nero. Un bel profilo, ma diverso dal classicone belga come ad esempio la Saison Dupont. Meglio farlo partire non troppo alto (24-25°C) ed alzare dal secondo giorno di fermentazione anche fino a 30°C-32°C. L’altra variante, quella Belgian, trova la sua massima espressione nel temibile WY3724, il “Belgian Saison”. Temibile perché non è facile farlo lavorare bene. Spesso si ferma prima che la fermentazione finisca, lasciando il birraio nel panico. Per evitare questo stallo è bene inoculare cellule in eccesso ma soprattutto partire alti con la temperatura: 26°C dal primo giorno in questo caso sono ideali, anche per stimolare la produzione di esteri che si esprimono con un profilo fruttato piuttosto complesso che oltre all’agrumato regala note di frutta a polpa gialla ma anche bubblegum e un filo di tropicale. Lo speziato è rustico, con note di pepe bianco.

Ultima nota prima di chiudere: non sperate di coltivare i lieviti belgi dalla bottiglia, nella maggior parte dei casi troverete un lievito neutro da rifermentazione. Molti birrifici belgi (soprattutto i birrifici trappisti) centrifugano le birre prima di imbottigliare, per poi aggiungere semplice lievito da rifermentazione in bottiglia (a parte Orval che aggiunge anche i famosi Brettanomiceti). L’operazione di recupero può riuscire dalle produzioni di birrifici più piccoli, come ad esempio Fantôme o De Dolle (ma sicuramente anche altri). Ho assaggiato birre fatte in casa con lieviti recuperati dalle bottiglie di Fantôme che mi hanno davvero stupito. Il ceppo De Dolle, che è stato oggetto anche di un articolo in questa rubrica, è stato usato anche in alcune birre di produttori piuttosto noti in Italia, con risultati sorprendenti.