Le grandi famiglie birrarie: alta, bassa e fermentazione spontanea

Ale e Lager rappresentano i termini con cui si definiscono le birre rispettivamente ad alta fermentazione e bassa fermentazione. Nella quotidianità si tende ad associarle ad una tipologia specifica, ma Ale e Lager, in realtà sono termini che non identificano una singola birra né tanto meno una determinata tipologia, ma piuttosto una macro famiglia stilistica.

Si parla infatti di stile Lager, termine che deriva dal tedesco (lagern = immagazzinare) per comprendere tutte le birre prodotte con il metodo della bassa fermentazione e, spesso, immagazzinate e maturate a bassa temperatura. Il ceppo di lievito utilizzato è il Pastorianus o Carlsbergensis, che produce meno caratteri secondari rispetto ai lieviti per le Ale, fatto che permette agli aromi di malto e luppolo di emergere più nettamente. In fase di produzione questi lieviti sono contraddistinti da un range di temperatura di lavoro più basso rispetto alle Ale – tra i 5 e i 12 gradi – e da una tendenza a depositarsi sul fondo del tino. Le Ale identificano invece birre prodotte con il ceppo di lievito Cerevisiae, che in fase di fermentazione tende ad accumularsi sulla superficie del mosto, e a prediligere temperature più alte rispetto alle sorelle Lager – tra i 14 e i 25 gradi – producendo una discreta quantità di esteri responsabili degli aromi fruttati e floreali (erbaceo, ananas, mela, pera, rosa, prugna, ecc). Le Ale spesso presentano caratteristiche di ricchezza e complessità di aromi/sapori, che diventano in genere più spiccate con l’aumentare della gradazione alcolica.

La terza macrocategoria è quella della fermentazione spontanea, che diede vita alle prime birre prodotte dall’uomo. Il nome ci ricorda che la produzione avviene in maniera assolutamente spontanea, senza cioè alcun inoculo (inserimento del lievito nel mosto) da parte del produttore, innescata naturalmente dai lieviti presenti nell’aria.

Sebbene la manualistica di settore dia conto, in lena di massima, di tre grandi famiglie in cui poter ripartire la genealogia generale della birra, troviamo opportuno sottolineare la presenza di un ramo ulteriore: quello delle cosiddette fermentazioni ibride. Questa categoria è rappresentabile come una medaglia con le (ovvie) due facce: una corrispondente a birre per le quali si impieghino lieviti ad alta fermentazione (della specie Saccharomyces Cerevisiae) fatti lavorare però a temperature assai prossime al limite minimo (circa 13 °C) del ventaglio termico considerato ottimale per il loro metabolismo; l’altra faccia occupata idealmente da tipologie che, al contrario, si avvalgono di lieviti a bassa (della specie Saccharomyces Pastorianus) ma condotti a temperature equivalenti al limite massimo (gli stessi 13 °C) del range ottimale per la loro attività riproduttiva. Del primo gruppo fanno parte profili stilistici quali quelli delle Kölsch e delle Altbier tedesche; nel secondo troviamo specialità quali le California Common, le Cream Ale e le Blond Ale di ascendenza statunitense. Tratto comune a questo eterogeneo drappello è la messa in evidenza di un temperamento organolettico contrassegnato, su entrambi i fronti (anche se per ragioni opposte), da sottili espressioni fruttate dovute a una limitata formazione di esteri nel corso del processo fermentativo.