Bassa fermentazione: caratteristiche e stili

Stiamo parlando delle birre più prodotte e bevute al mondo: le Lager, che occupano una quota di mercato pari al 90% circa, sulla scala planetaria; che dominano, per fare un esempio, la scena della maggior potenza europea (per volumi annui sfornati) ovvero la Germania, con i suoi 103 milioni di ettolitri sul ciclo dei 12 mesi; che presidiano in larghissima maggioranza gli scaffali dei punti vendita della Gdo, la grande distribuzione organizzata (ma, attenzione, non ci si fraintenda: non si sta qui tracciando un’equivalenza tra bassa fermentazione e prodotto di relativa qualità)   

L’espressione Lager trova origina dal verbo tedesco lagern, immagazzinare (che ricorda proprio la peculiarità della maturazione più lunga di queste tipologie), e comprende tutte le produzioni eseguite secondo il metodo della bassa fermentazione (bottom fermentation in inglese; untergärung in tedesco). Il merito della formulazione di questo conio così pregnante e fortunato, tanto da essere adottato universalmente, spetta ad Anton Dreher il vecchio (nato nel 1810 a Schwechat, nei pressi di Vienna, e qui passato a miglior vita nel 1863), il quale, tra 1840 e 41, progettò e mise in commercio una birra, la Dreher Schwechater Lager, la cui etichetta per prima esibiva una dicitura, quella di Lager appunto, che dopo di essa sarebbe passata a designare l’intera progenie di appartenenza. Progenie che riceverà l’impulso decisivo a marciare (tra Ottocento e Novecento) verso una graduale conquista del mercato grazie a due fattori: primo, l’entrata in scena, nel 1842, della Pilsen, ideata e lanciata a Plzeň dal birraio monacense Josef Groll, padre della prima Lager chiara della storia; secondo, gli effetti della rivoluzione industriale, tali da mettere a disposizione (a qualsiasi latitudine e in qualsiasi periodo dell’anno) attrezzature per la refrigerazione artificiale.

Protagonisti indiscussi della tecnica a bassa fermentazione sono i ceppi di lievito facenti capo alla specie denominata Saccharomyces Carlsbergensis o Pastorianus, che amano temperature di lavoro più basse (tra i 5 e i 12 gradi) rispetto alle varietà della specie Cerevisiae (con il quale si producono Ale)  ovvero le alte fermentazioni); e che, durante il processo, mantenendo le proprie cellule isolate (dunque non in grado di offrire una superficie di spinta all’andride carbonica in tumultuosa risalita) , tendono a depositarsi sul fondo del tino. 

La decisamente ampia categoria dei prodotti a bassa fermentazione comprende numerosi stili tradizionali dei repertori tedesco e ceco come Pils, Bock, Marzen, Vienna, Schwarz e via dicendo; ma anche generi più moderni e di diversa ascendenza geografica, quali le American Lager, le India Pale Lager, le Imperial Pils.

Tratto comune a tutte le Lager è la mancanza nel proprio corredo olfattivo (quantomeno in termini di incidenza realmente significativa), dei toni fruttati ascrivibili a sostanze chimiche (gli esteri) che si formano principalmente nel corso dei processi ad alta fermentazione, in virtù dello stesso regime di elevate temperature nel cui contesto operano i lieviti della specie Saccharomyces Cerevisiae. Peraltro, tracce di esteri sono riconducibili alla stessa qualità dei malti utilizzati in ricetta: tanto che la loro presenza è ammessa, in quantità minime, parlando di tipologie quali le Bock scure, le Doppelbock, le Baltic Porter e altre ancora; inoltre, l’avvento sul mercato di luppoli nuovomondisti recanti temi riconducibili a polpe mature (pesca, pera, albicocca) ha in parte modificato un quadro di riferimento i cui fondamenti, tuttavia, restano solidi: nelle birre a bassa fermentazione, i contributi a definire il profilo organolettico del prodotto vengono, essenzialmente, dai cereali di partenza e dagli appena citati luppoli impiegati in amaricatura e aromatizzazione.