Alta fermentazione: caratteristiche e stili
Dopo quella che possiamo definire come la lunga alba della birra, ovvero l’esteso periodo temporale (si parla di millenni: dalle prime esperienze fino alle soglie del XII secolo) durante il quale il processo di lavorazione rimase ancorato a tecniche ruotanti attorno a un processo di fermentazione spontanea, la storia della birra si accompagnerà per diversi secoli con il metodo dell’alta fermentazione. La raccolta della schiuma di lento gorgogliamento del mosto (ricca di microorgranismi) indirizzava infatti fisiologicamente verso la selezione di colture tendenti a riprodurre sé stesse, mettendo a disposizione insomma altrettante matrici (o madri) il cui impiego sistematico affrancava la produzione dall’aleatorietà del sistema selvatico puro, consentendo al contrario una più affidabile aspettativa di riproducibilità dei risultati.
Se per arrivare all’esplosione delle Lager sarebbe stato necessario attendere fino a poco prima della metà Ottocento, nel corso dei secoli tra il XII e il XIX, a scrivere il romanzo di pinte e boccali sono state le Ale. Una famiglia che fa perno sull’attività di lieviti appartenenti alla specie Saccharomyces Cerevisiae, utilizzata nella produzione del pane come del vino: le cui cellule prediligono temperature tra i 13 e i 25 gradi – maggiori rispetto a quelle preferite dal Pastorianus – e, nell’esercitare il proprio metabolismo, tendono ad aggregarsi in colonie, offrendo con ciò una superficie di spinta all’andride carbonica in tumultuosa risalita, il che le porta a muoversi verso l’alto e ad addensarsi in corrispondenza della superficie del tino di fermentazione (top fermentation in inglese; obergärung in tedesco).
Il nome d’arte delle alte fermentazione è appunto Ale, termine la cui etimologia rimanda probabilmente alla voce latino alere, ovvero alimentare, nutrire (da cui l’aggettivo altus ovvero alimentato e, dunque, cresciuto in altezza ); ma un’ipotesi alternativa preferisce puntare sulla parentela con il celtico alausa , forse definizione stante per il concetto di birra chiara. Dominatrici della scena per larghissima parte del secondo millennio dopo Cristo, le Ales possono essere immaginate come le appartenenti a un albero genealogico che ha avuto a disposizione molto tempo per ramificarsi in numerose direzioni: ciascuna delle quali corrispondente a una specifica tipologia birraria. Ecco perché molti degli stili storici, soprattutto inglesi e belgi (ma anche alcuni tedeschi, come le Weizen), appartengono alla progenie dell’alta fermentazione.
E veniamo ai tratti organolettici che costituiscono i comuni denominatori di questo ampio, estremamente ampio (e variegato) perimetro stilistico. Ovvero il privilegio di poter annoverare, nel proprio corredo olfattivo, quei toni fruttati che sono ascrivibili a sostanze chimiche (gli esteri) la cui formazione ha luogo, principalmente, appunto nel corso di dinamiche metaboliche (tipiche proprio dei lieviti facenti capo alla specie Saccharomyces Cerevisiae) condotte in regimi di elevate temperature.
Semplificando al massimo: la percezione di note rappresentabili attraverso descrittori quali banana, pera, mela, albicocca, pesca (e così via) in prima o piena maturità è una sorta di indice, di segnale, che induce legittimamente a supporre come la birra in assaggio possa probabilmente collocarsi nel recinto delle Ales. Attenzione, però: la deduzione non sia rigida o, men che meno, dogmatica; vi sono almeno tre dati di fatto da tenere presenti. Primo: alcuni ceppi di lievito ad alta sono sostanzialmente neutri, cioè assai blandamente esterificatori. Secondo punto: tracce di esteri sono riconducibili alla stessa qualità dei malti utilizzati in ricetta: tanto che la loro presenza è ammessa, in quantità minime, anche parlando di tipologie a bassa quali le Bock scure, le Doppelbock, le Baltic Porter e altre ancora. Terza questione: l’avvento sul mercato di luppoli nuovomondisti recanti temi riconducibili a polpe mature (pesca, pera, albicocca) ha in parte modificato il quadro di riferimento precedente, legato in sostanza alla diversa modalità operativa dei fermenti all’opera.