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Marchio di qualità Consobir e disciplinare di produzione: il parla Teo Musso

Abbiamo scambiato due chiacchiere con Teo Musso, anima del Le Baladin e uno dei fondatori del Consobir (Consorzio Birrai Italiani Riuniti), per scoprire qualcosa in più riguardo al disciplinare di produzione del futuro marchio di qualità pentagonale.

Dunque Teo, qualche novità dal fronte Consobir? A che punto è il disciplinare di produzione?
Il disciplinare sarà pronto ad ottobre e verrà presentato a Torino nell’ambito del Salone del Gusto 2008, mentre a fine anno partiranno le prime adesioni. In questo momento stiamo discutendo intensamente la parte del disciplinare che affronta l’argomento della stabilità della birra collaborando anche con Slow Food, che si è dimostrata disponibile a mettere a disposizione la propria esperienza, oltre che con il CERB di Perugia.

La decisione di lavorare al progetto Consobir con soltanto otto fondatori ha suscitato qualche polemica tra i produttori, soprattutto per la stesura del disciplinare. Si mormora che la scelta sia stata dettata dalla volontà di creare un nucleo operativo iniziale snello ed efficiente. E’ così o ci sono anche altre motivazioni?
È indubbio che il numero ristretto ci ha permesso di avere una operatività e una concretezza maggiori. Vorrei però  sottolineare che Consobir è aperta a tutti, e per quanto riguarda la stesura del disciplinare se UnonBirrai vorrà dare il proprio contributo potrà farlo.

Affrontiamo il concetto di italianità: il produttore deve essere italiano, le materie prime il più possibile italiane. Non sembra più un’eresia insomma richiamare il concetto francese di terroir anche per la birra nostrana..
E’ importante che la birra italiana abbia una sua caratterizzazione e per far questo è necessario anche partire dalle materie prime. Per quanto riguarda il luppolo esistono molte varietà, ognuna con il proprio sapore, il proprio tipo di amaro e di aroma. L’idea è quella di avere un giorno un luppolo davvgero “nostro”, che lasci una sua impronta come fa il Golding nelle birre inglesi o il Saaz nelle Pils.

È partita la coltivazione di luppolo in Piemonte?
Purtroppo il progetto di coltivare due ettari di luppolo in Piemonte è saltato per un ritardo della Regione che doveva garantire i contributi. Ma abbiamo comunque iniziato piccoli esperimenti con varietà tedesche e inglesi per cominciare a capire quali sono i luppoli che più e meglio risultano modificati dal nostro clima e territorio.

Si parla tanto di luppolo italiano, al singolare. Non sarebbe più corretta in realtà una declinazione al plurale, anche pensando alle differenze che in futuro ci potrebbero essere coltivando la stessa varietà in zone diverse, ad esempio Sicilia e Piemonte?
Beh è ovvio che se io coltivo hallertau in Sicilia otterrò un luppolo differente dall’hallertau piemontese. Ma la mia idea è un’altra: io intendo individuare col tempo un’area in Italia vocata ad un certo tipo di luppolo, come può essere il Kent per l’Inghilterra, e lì piantarne consistenti quantitativi.

Passiamo ad un altro capitolo del disciplinare, contrassegnato dal termine “genuina”: la birra non deve contenere additivi chimici. Qual’è la strada da percorrere?
Noi diciamo che non devono essere utilizzati additivi chimici. Detto ciò è ovvio che il problema dell’equilibrio e della stabilità è il primo per un birraio. Per questo è importante per noi del Consobir confrontarci ed aiutarci l’uno con l’altro, così da accumulare quell’esperienza e quella cultura da trasmettere poi ai nuovi consorziati.

Si legge dal comunicato di presentazione: “ARTIGIANALE: sarà compito dell’evoluzione del “capitolato” di ammissione a questo Consorzio, definirne al meglio i parametri. Credo sia estremamente complesso tradurre in parametri e vincoli produttivi il concetto di artigianalità. Non vorrei essere al vostro posto…
Neanche io vorrei essere al mio posto! E’ un lavoro complesso e molto delicato.

Tra i vari parametri state discutendo anche di un limite minimo produttivo, giusto?
Sì, e penso che rimarrà. Stiamo valutando quale sarà il limite delle bottiglie, credo sulle 5.000 se il marchio verrà dato alla bottiglia o 20.000 se dato al birrificio. In questo modo intendiamo in sintesi discernere tra un prodotto che esiste e uno che non esiste, ovvero se si sta o meno facendo un prodotto che può stare sul mercato.

Marchio alla birra o al birrificio. Cioè?
Stiamo valutando se attribuire il marchio Consobir all’intero birrificio o alle singole bottiglie prodotte. Nel primo caso saranno analizzate le bottiglie dell’intera produzione, nel secondo soltanto alcune, quelle che vogliono essere fregiate dal marchio. Anche il tempo di verifica necessario per acquisire il pentagono è al vaglio: io propendo per due anni, altri per uno.

Birra “cruda”, ovvero non pastorizzata, una condizione imprescindibile dal prodotto birra artigianale. E la filtrazione?
La filtrazione è un discorso diverso, un approfondimento che richiama concetti come il biologico dei prodotti alimentari o come il biodinamico nel vino. Mi sembrerebbe un’estremizzazione. Penso ad una microfiltrazione e ad una rifermentazione in bottiglia. Non credo si possa parlare di prodotto morto, no? Non penso comunque sia questo il momento di parlare di ciò, soprattutto nella prima fase, è meglio adesso lasciare i vincoli più lenti.